LA BELLEZZA È NELLA SCRITTURA

Qualifiche dell'autore: 
imprenditore, membro del direttivo di FITA, Confindustria Emilia Romagna

La lettura di un libro rimanda sempre ad altri già letti. Nel libro di Marco Maiocchi, Il bel programma. Percezione, struttura e comunicazione, che ho appena letto per l’occasione di questo interessante Convegno, si ritrovano i tanti personaggi, artisti e poeti che ho avuto modo di incontrare personalmente (alcuni) o conoscere attraverso la lettura di altri libri (molti).

La lettura di un libro è sempre, in qualche modo, la ri-lettura di tutti i libri già letti e la re-visione di tanti incontri. Così è stato, ancora una volta per il “Bel Programma” di Maiocchi.

Maiocchi è un imprenditore-calcolatore-artista, un tecnico-poeta, un uomo che passa di continuo dal pensiero calcolante al pensiero meditante. Il pensiero calcolante, proprio della scienza e della tecnica, tenta di interpretare la natura attraverso formule che essa non ha in sé, ma che l’uomo le attribuisce per darsi dei fondamenti, dei punti fermi.

L’autore, in questo libro, descrive e porta a sintesi il suo rapporto con l’essere al mondo, quindi un rapporto forte. La bellezza nel calcolatore, o la bellezza nel software, è un pretesto per porsi delle domande, e quelle di Maiocchi sono cruciali.

La natura ama nascondersi e il suo darsi e sottrarsi – come avviene per le stagioni – è l’eterno ritorno di Nietzsche, è l’eterno ritorno dell’uguale, anche se non lo percepiamo come tale. L’uomo (nel senso dell’umanità occidentale) ha sviluppato un pensiero che deriva dalle interrogazioni che la natura pone e, per corrisponderle, cerca attraverso formule, di trovare la “ragione” che presuppone sottesa ad essa: questo è ciò che ha fatto diventare l’uomo calcolante e calcolatore, prima ancora che inventore di calcolatore elettronico, calcolatore nel pensare, quale estensione (attrezzo) dell’uomo.

La natura non ha ragioni e, se mai le avesse, noi non potremmo scoprirle. Per questo, Maiocchi, come tutti gli scienziati e come tutti noi, cerca di vivisezionare i testi della scrittura, le immagini che sono nei quadri, da Toulouse-Lautrec a Bacon, per cercare di trovare quelle ragioni, anche non dette, di un particolare modo di scrivere o di dipingere.

Maiocchi affianca al suo pensiero calcolante, sviluppatosi nel percorso di una Laurea in Fisica, un pensiero meditante che emerge dalle frequentazioni e citazioni di poeti, artisti e musicisti.

Pensiamo perché scriviamo e non scriviamo perché pensiamo. E lui, Maiocchi, scrive in un linguaggio comprensibile e arricchente sia per ciascuno di noi che per i tecnici del software; in entrambi i casi, il pensare è frutto della scrittura.

Il pensiero arriva, non è un “prodotto” dell’uomo. Si riesce a mantenere la concentrazione su una data questione solo per pochi minuti. Siamo esseri pensanti, solo perché c’è qualcosa che ci dà da pensare. Non c’è qualcosa che pensiamo autonomamente, a parte ciò che concerne la stretta utilità. Il pensiero delle cose importanti, dell’amicizia, dell’amore, della poesia, è un pensiero che ci arriva e accade perché ci rendiamo disponibili a questo pensare, cioè ci mettiamo "in ascolto" del pensiero. Scrivere è un modo per mettersi in ascolto del pensiero. Se ci si mette a scrivere di una cosa è molto facile che si faccia un salto del pensiero, che si cominci a fare più di quanto non si sia fatto fino a quel momento su quella cosa, soltanto pensando.

La scrittura, quindi, è una necessità del pensare e lo è per tutti noi. Non a caso la poesia di Leopardi si dice pensante, perché dà da pensare; lo Zibaldone è costituito da pensieri poetanti che rimandano alla poesia, non solo a quel modo di poetare, ma anche a una poesia che è il modo di sentire e di essere sulla terra, di progettare e costruire mondo.

Nel libro di Maiocchi, trovo il pensiero poetante quando l’autore cerca di capire perché siamo sulla terra, perché ci sia l’eterno ritorno, perché la natura ami sottrarsi per ridonarsi, per venire tutti gli anni con le nuove stagioni: si sottrae, diviene e scompare. L’uomo è mortale, ma poi riappare; e l’infinità, quella catena umana che ci rende vivi ormai da milioni di anni, sta in questo darsi e sottrarsi della natura.

Il pensare ci è donato e ci arriva perché siamo in questa metafisica, un altro modo per dire filosofia, cioè un modo di rappresentarsi il mondo. C’è differenza fra terra e mondo; la terra è quella cosa su cui camminiamo e che è lì imperturbabile da milioni e milioni di anni; il mondo, invece, è una cosa molto più recente, che esiste per l’occidente solo da duemila anni, è ciò che noi pensiamo sia il mondo. “C’è ancora chi crede che la realtà sia quella che si vede” diceva Montale. Ciò che si vede è solo una parte della realtà che ciascuno crede esista.

La realtà non è quella che si vede.

La realtà è il venire dal nascosto e le cose vengono alla verità, si disvelano. Per noi occidentali il mondo è il nostro modo di vedere e di pensare le cose secondo un modello generato dagli antichi pensatori greci. Un modello, questo, che relaziona “l’atto del pensare” alla tecnica, che - essendo anche arte – finisce per coincidere con “l’atto del fare”. Proprio come accade per il pensiero prodotto dalla scrittura.

Da duemila anni, il pensare e, quindi, il fare ha privilegiato ciò che si vede rispetto a ciò che non si vede; per questo, quando analizziamo la scrittura o Internet, abbiamo come riferimento il pensiero originale frutto di complesse stratificazioni culturali di stampo occidentale.

Dunque, il nostro modo di pensare non ci appartiene, nasce insieme al linguaggio e si cristallizza come immutabile nei suoi principi fin da quando ancora piccoli lo acquisiamo. Sono questi gli strumenti che ci danno le basi e, allo stesso tempo, i limiti del nostro lavoro.

Oggi accade che questo modo di pensare, generatore di questo mondo, stia diventando globale, prevalendo su altre culture di pensiero di altre parti della terra. In questo senso Internet, facendosi portatore della scrittura e della cultura occidentale, ha un ruolo fortemente globalizzante. La bellezza, cui il titolo del libro di Maiocchi si richiama, è anche quella del non conosciuto, dell’indicibile, presente anche in ogni nostro atto. Nel dire una cosa, operiamo una scelta, seppure inconsapevolmente, sulla base del pensiero che generato in quel momento, in base alla nostra esperienza o alla nostra cultura. Questa è la ricchezza del linguaggio e della libertà di poter dire tante cose. “Non si dice tutto” dice Lacan. La verità non si può dire, non perché non si voglia, ma perché è impossibile da dire. Tutto non si può dire perché c’è una riserva di non detto che è quella che ci permette di continuare a parlare. Il cercare la bellezza nella scrittura, come fa Maiocchi, è questo tentativo mai finito di dare un significato etico alle cose che facciamo.

Joseph Brodskij, uno dei più grandi poeti russi del novecento e premio Nobel per la letteratura nel 1987, riprendendo Dostoevskij, dice che la bellezza salverà il mondo. La bellezza è spesso intesa in senso fisico, cioè propria alle cose che si vedono. Maiocchi sottolinea col suo libro che la bellezza è anche nella scrittura, nelle relazioni tra le cose, che sono più importanti della comunicazione, perché c’è una metacomunicazione che è negli oggetti che senza parlare ci dicono delle cose.

Brodskij è stato in un campo di lavoro in Russia fino all’età di diciotto anni, perché non voleva iscriversi al sindacato degli scrittori per essere riconosciuto poeta; si reca prima in Inghilterra e poi negli Stati Uniti dove, pur avendo imparato un’altra lingua, continua a scrivere poesie nella lingua madre. Quando ricevette il Nobel in Svezia, Brodskij, sottolineò che “molto spesso la strada più breve non è la migliore e certamente non lo è per la poesia”, mettendo a confronto la sua esperienza poetica con la sua esperienza fisica. Il linguaggio dice il nostro pensiero, e il pensiero viene dalla scrittura; non a caso nel momento in cui fu inventata la scrittura e si passò dalla tradizione orale a quella scritta ci fu un’accelerazione fortissima anche nella scienza. La scrittura accelera il processo di trasmissione del sapere, di globalizzazione e, oggi con Internet, del modo di pensare occidentale.

Gli artisti, i poeti, i musicisti, i pittori cercano la verità nella bellezza, ma proprio perché la verità non può esser detta tutta, questa è una ricerca destinata ad essere senza risultati finali, come è per l’analisi e per il linguaggio. L’arte, come la letteratura, più si comunica e più le si fa del bene. Più si fa vedere quel che c’è nei musei, anche attraverso Internet, più avremo visitatori di musei. A differenza di tutti gli altri prodotti dell’uomo, che, a causa di un eccessivo consumo, non danno più soddisfazione e non sono più acquistati, il consumo di cultura e di arte ne favorisce una sempre maggiore richiesta; più si accumulano strumenti di conoscenza e più si va alla ricerca di altro sapere. Frequentando musei o leggendo bei testi forse non raggiungeremo la bellezza ma ci saremo molto vicini.

Voglio ringraziare tutti voi, che in questa mattina di Dicembre ci avete permesso di parlare e pensare sulla comunicazione della scrittura, dell’arte e di internet.

Grazie a Marco Maiocchi per il suo libro, ora anche nostro, e per la sua presenza nella scrittura e per essere qui; e grazie agli amici del Secondo Rinascimento che mi hanno invitato a questo Convegno. Buon proseguimento in questa giornata di dicembre, soleggiata e pungente. Grazie a tutti.