INTERNET, IL MUSEO PLANETARIO

Qualifiche dell'autore: 
docente del Politecnico di Milano, presidente di INET, fondatore di ETNOTEAM

Il titolo di questo convegno “Internet, il museo planetario” (4 dicembre 2001; VI convegno organizzato dall’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna e dall’Accademia di Belle Arti di Bologna), si compone di tre parole chiave, che non sono ancora state completamente esplorate nei loro potenziali significati. Internet è una realtà molto vecchia; dal punto di vista tecnologico nasce nel 1957, ma come fenomeno di mercato e di costume è molto più recente, nasce nel 1994, quando i browser, cioè gli strumenti che ci permettono di accedere a Internet, non richiedono più specifiche competenze d’informatica. Nello spazio di questi sette anni, Internet è stato un esempio di velocità di modifica del mercato, delle tecnologie e di molto altro ancora. Questo cambiamento ha la sua specificità nel fatto che Internet è uno strumento che si auto-aggrega e le informazioni non sono governate da nessuno. Internet diventa, quindi, una sorta di struttura auto-poietica che si auto-governa, si auto-regola e si auto-riproduce, completamente al di fuori del nostro controllo. In questo senso, è lo spaccato di una società planetaria e un museo di per sé. Internet, però, nella sua planetarietà è associato spesso al termine globalizzazione, per cui ci fa riflettere anche da un punto di vista etico: è la prima volta, infatti, nella storia dell’uomo, che abbiamo a disposizione uno strumento che permette di far sentire la voce al singolo, indipendentemente dalle sue disponibilità economiche; chiunque può essere in grado di pubblicare informazioni su Internet e tentare di ottenere successo sulla base della forza delle proprie idee. Peccato soltanto che questa globalizzazione di Internet, allo stato attuale, coinvolga il dieci per cento degli abitanti più ricchi della terra; non dimentichiamo che il sessanta per cento della popolazione mondiale non ha mai fatto una telefonata. 
Altro aspetto interessante è che all’interno di Internet le informazioni non hanno forma ipertestuale e da qui si apre un dibattito sul significato dell’ipertestualità. Una delle ipotesi che porto avanti nel mio libro Il bel programma. Percezione, struttura e comunicazione è che, dietro l’ipertestualità e la rilevanza delle relazioni tra le varie parti, siano nascoste sinestesie che sono il reale contenuto e il reale significato della comunicazione, in particolare estetica. Tale ipotesi mette in discussione molti aspetti della percezione per ricostruire su basi diverse dei criteri estetici che occorre riportare – dalla visione dell’arte e dei manufatti artistici – a tutte le operazioni prodotte dall’uomo, incluse la scienza, l’organizzazione e l’azienda.

Siamo di fronte a una rete di grande pervasività, planetaria, i cui meccanismi hanno più valenze e che di per sé sono un fatto infrastrutturale; però, il meccanismo travalica questo e fa pensare che ci siano realmente elementi che stiano fondando un nuovo linguaggio e quindi nuove letterature e nuove arti. Museo, un tempo, significava il luogo delle muse. Poi, è diventato il luogo di raccolta, collezione e esposizione. Internet, nella sua velocità di cambiamento e nella sua volatilità, modifica nuovamente questo vocabolo e lo riporta alle origini, facendolo diventare il luogo dove le cose accadono e non dove esse si raccolgono. Il termine relazione è presente sia nell’ipertesto come link sia in termini di accezione comune. Un libro che s’intitola The job of language parla di giochi di linguaggio – è scritto in inglese da un’italiana, ma non esiste la traduzione in italiano –, analizza i giochi di linguaggio, le barzellette, da un punto di vista linguistico e, tra le varie classificazioni, menziona anche la questione delle barzellette non traducibili, perché nella traduzione da una lingua a un’altra c’è anche un passaggio da un contesto culturale a un altro, che fa mancare i presupposti di ambiente comune secondo cui qualche cosa è divertente oppure no. Il contesto diventa molto importante per dare un significato alle cose, il contesto in cui forniamo un’immagine ne cambia completamente il significato, sebbene l’immagine sia evidentemente la stessa. Ma possiamo trovare relazioni contestuali addirittura all’interno di una poesia. Ci sono studi che mostrano come le strutture, ad esempio, di anagrammi o di permutazioni, che troviamo all’interno dei componimenti poetici brevi, in qualche modo tendano a caratterizzare gli elementi più significativi della poesia, attraverso cui si ha quella percezione che normalmente fa considerare una certa poesia opera d’arte o meno. Ciò che si scrive non è semplicemente la scrittura con il linguaggio, che sia un’annotazione musicale o un’annotazione scritta testuale, è anche l’insieme di relazioni che l’autore inserisce. 

Nella prima lezione ai miei studenti, insegno linguaggi ipertestuali, comincio a parlare, poi, improvvisamente, mi siedo fra di loro e scardino la posizione delle sedie, per cui devono ricontestualizzare completamente la mia posizione, non è più una lezione, è un’altra cosa. Chiedo, ancora, di scrivere cinque pensieri brevi sul contenuto del corso. Quando hanno completato tutto, propongo di fare la stessa cosa in endecasillabi e gli studenti scoprono che nel primo caso scrivevano cinque pensieri mentre, nello scrivere il terzo verso, devono tornare indietro a cambiare i primi due, cioè stanno dando struttura: la rima pone dei problemi, c’è bisogno di una parola che però non ha più senso rispetto al contesto precedente e conviene, invece che cambiare quella parola, cambiare il contesto. Nel fare questa operazione, così presi dalla tecnica di mettere in piedi tutti questi legami all’interno del testo, dimenticano il contenuto, che sgorga in modo molto più naturale e creativo. La creatività non è la lavagna bianca, è un vincolo, una gabbia attraverso cui riuscire a esprimersi con un superamento di un certo insieme di regole. 
Quando scriviamo non scriviamo un testo, ma un testo con relazioni fuori dal testo e relazioni all’interno del testo, ma forse è la stessa cosa che succede quando un compositore compone musica. Le correlazioni che ci sono all’interno della musica sono state alla base della composizione musicale per secoli e quando qualcuno ha cercato di distruggere queste regole ha ripreso i quattro criteri fondamentali, l’inversione, la retrogradazione e la gradazione inversa, oltre che quella diretta, per ricomporre musica. Quando un pittore dipinge ha relazioni, link, legami con un contesto esterno e altrettanti con un contesto interno al quadro. Nell’opera di Chagall, notiamo subito come ci siano relazioni evidenti, che presuppongono anche una cultura ebraica per poter essere completamente comprese in termini di simbologia, quindi relazioni con un ambiente esterno, ma anche forti relazioni interne che sono fatte di forma, di colore e così via. L’artista in un modo non necessariamente consapevole, ma senz’altro volontario, introduce all’interno della sua opera relazioni che sono una parte del significato dell’opera molto rilevante, forse l’unica rilevante. 
La fruizione ipertestuale che Internet consente ha dietro anche problemi tecnici: per poter scaricare ogni volta una piccola parte, l’autore dell’ipertesto è costretto a esplicitare la relazione, che a questo punto diventa un pezzo del linguaggio. Dunque, quale dovrà essere il prossimo manufatto artistico in Internet? Non sarà un’immagine digitale, ma un ipertesto con una nuova modalità “letteraria” per esprimere contenuti che sono quelli antichissimi dell’uomo, che conosciamo, e quelli che non conosciamo, ma con un linguaggio che finora, dal punto di vista artistico, nessuno ha mai usato.
Lancio questa sfida ai giovani artisti, per vedere se c’è la possibilità della creazione di un manufatto artistico ipertestuale nel vero senso della parola.