MAGGIORI INVESTIMENTI, PIÙ POSTI DI LAVORO

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docente alla Northwestern University di Chicago, Premio Nobel 2010 per l'economia

In che modo la crisi internazionale incide sull’occupazione?

Se analizziamo i segnali del mercato del lavoro, nel breve termine notiamo molto rumore di fondo, che non ci permette di stilare una proiezione semplice, ma, per quanto riguarda la creazione di nuovi posti di lavoro, i dati sono sconfortanti. Negli Stati Uniti, dopo alcuni mesi di crescita, pari a duecentocinquantamila posti nuovi al mese, nell’ultimo mese ci sono state solo cinquantamila assunzioni. Per avere un termine di misura, in condizioni di mercato normali, contiamo trecentomila nuovi posti al mese. Ma oggi la domanda dei consumatori è molto debole e le grandi imprese internazionali non reinvestono, probabilmente perché sono preoccupate della politica governativa, ma soprattutto perché sono convinte che nel prossimo futuro i consumatori non saranno pronti a spendere in modo sostenuto. Occorre ricordare che non è vero che le grandi aziende non hanno utili: in questo periodo generano profitti e hanno anche meno spese, perché beneficiano di un costo del lavoro inferiore ma, non avendo fiducia nel futuro, non rilanciano. Se il futuro migliorerà, gli USA sapranno uscire da questa impasse molto velocemente, creando da quattromila a un milione di nuovi posti di lavoro in un mese.

Il venir meno del posto fisso può comportare anche effetti interessanti, per esempio può costringere ad avviare nuove imprese?

Storicamente, durante le recessioni, nascono più imprese del normale, anche come reazione alla situazione difficile del mercato del lavoro, perché una delle possibilità che hanno coloro che perdono il posto è mettersi in proprio. L’altra faccia della medaglia è che molte di queste nuove imprese non riusciranno nei loro intenti e falliranno, quindi non possiamo aspettarci che queste nuove realtà migliorino la situazione economica generale. Oggi abbiamo bisogno di investimenti solidi e sostenuti nel lungo termine, com’è avvenuto negli anni scorsi nel settore immobiliare. Come in ogni corsa agli investimenti, c’è la tendenza negativa a perdere il controllo, ma l’effetto immediato è quello di mantenere sostenuta la domanda: un investimento considerevole in nuove attività produttive comporta maggiori investimenti anche in attrezzature informatiche, immobili, sedi, abitazioni per i dipendenti e così via. Il mercato dei beni di produzione trascina tutto il resto.

 Oltre alla disoccupazione, c’è anche un problema di qualificazione del lavoro?

Vorrei fare una distinzione tra il lungo e il breve termine. Se consideriamo il lungo termine, prima della recessione, in tutte le economie occidentali, ci sono state almeno un paio di grandi rivoluzioni. 

Nel nostro caso, per un verso, abbiamo avuto la rivoluzione informatica, che ha avvantaggiato nel mercato del lavoro le persone con maggiori competenze e con una maggiore formazione professionale, e così ha alzato il livello generale della domanda; per l’altro, la globalizzazione ha prodotto un mercato planetario dei beni, e ancora una volta sono state favorite le persone con migliori competenze ed esperienze formative. Sul lungo termine ci aspettiamo un equilibrio tra domanda e offerta di lavoro, su cui occorre puntare per accelerare la ripresa del mercato del lavoro. Infatti, sia negli Stati Uniti sia in Italia, le aziende dovrebbero investire di più in training e in formazione, per cercare di colmare questo divario tra una domanda sempre più sofisticata e un’offerta sempre più specializzata. Se l’impresa non investe in formazione per effetto della recessione, proprio questo progresso del mercato del lavoro tende a rallentare ancor di più. 

Qual è la specificità della situazione italiana?

Il mercato del lavoro in Italia è caratterizzato da un tasso di disoccupazione non molto alto, ma la mancanza di lavoro coinvolge persone che restano fuori dal mercato per molto tempo, e la maggior parte dei disoccupati è costituita da giovani. Una politica utile per contrastare questo dato è l’adozione di contratti brevi, a progetto, ma nell’ambiente accademico sembra diffuso il parere che la soluzione adottata non sia sufficiente. Anche se i contratti a breve termine sono vantaggiosi per le donne di età matura, perché offrono loro l’opportunità di entrare nel mondo del lavoro, i giovani non hanno tratto grandi benefici da questa nuova disciplina contrattuale. Per questa situazione del mercato del lavoro occorre fare di più.*

*Il testo di Dale Mortensen è tratto dalla conferenza stampa in occasione del suo intervento al Centro di formazione manageriale e gestione d'impresa della Camera di Commercio di Bologna (24 giugno 2011, Camera di Commercio, Bologna).