ALINA, FIGLIA DI FIDEL CASTRO, RACCONTA

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scrittrice, dissidente cubana

Lei è nata a Cuba nel 1956, e se n’è andata nel 1993. Che condotta aveva con lei suo padre, Fidel Castro? Era diversa rispetto a quella che aveva nei suoi discorsi alla televisione?

Cercherò di rispondere con una certa leggerezza. Da ragazza guardavo spesso i cartoni animati, seduta sulla mia sedia e circondata dai miei giocattoli. Un giorno i cartoni animati sono scomparsi e abbiamo iniziato a vedere signori con la barba armati di fucili e di rosari al collo, con la divisa verde. Arrivavano alla guida di macchine spaventose e carri armati. Queste immagini sono state trasmesse per tanti giorni, i cartoni animati non sono più tornati in televisione e i barbuti sono venuti a casa nostra. Il più alto ha continuato a venire frequentemente a casa nostra, anche se lo vedevamo più spesso in televisione. Parlava a lungo: il discorso più lungo tenuto da Fidel Casto in televisione fu di dodici ore. Un altro, per festeggiare la vittoria, durò ben sette ore, normalmente i suoi discorsi duravano cinque ore. 

La sua presenza a casa nostra non era costante, ma sapevamo sempre dove fosse; in questo senso la mia esperienza è molto simile a quella di tutti gli altri cubani, anche se la mia vicinanza era più stretta. Dal momento in cui i cartoni animati sono scomparsi dalla tv, lui andava in giro con tanta gioia e entusiasmo. Nel momento della vittoria della rivoluzione, c’era tanta allegria, ma quando poi, ancora bambina, ho visto per televisione una persona fucilata in piazza, le cose sono cambiate. Ma, solo una volta giunta a Miami ho saputo che si vedevano realmente le fucilazioni e le esecuzioni in televisione. Ricordo benissimo un uomo con le mani legate, la cui camicia si è riempita di macchie scure ed è caduto per terra. 

Lei ha raccontato che durante tutti quegli anni dopo la venuta al potere di Fidel, a scuola era trattata come figlia di Fidel Castro…

Sì, in realtà mia mamma e Fidel non si sono mai sposati. Io sono nata nel 1956, quando mia mamma era sposata con Orlando, di cui porto il cognome, che ho conservato persino quando volevano cambiarmelo: ero adolescente e mi sembrava ridicolo arrivare a scuola e dire agli amici che non mi chiamavo più con il mio nome. A scuola sono sempre stata Alina Fernández Orlando ma tutti sapevano chi fossi. Era fonte di grande fastidio per me, soprattutto durante l’adolescenza, un’età in cui ciascuno cerca di capire quale sia la propria identità. 

Era trattata dagli insegnanti con riguardo e rispetto?

Poiché era risaputo che Fidel Castro venisse a casa nostra a trovarci, c’era un’enorme quantità di gente che ci consegnava lettere da recapitargli. E così ho iniziato a leggere: erano le lettere di persone che vivevano situazioni tremende, che avevano parenti in prigione, che avevano perso la casa, che stavano aspettando di lasciare il paese per riabbracciare i loro cari. Erano lettere tristissime. Ho sempre saputo, fin dagli inizi della rivoluzione, che c’era questo binomio: da una parte si prometteva la felicità e dall’altra c’erano persone che vivevano esperienze tremende.