PIÙ RISCHIO D’IMPRESA E MENO BUROCRAZIA NELLE RISTRUTTURAZIONI

Qualifiche dell'autore: 
ingegnere, Modena

Da quasi trent’anni lei opera in tutto il territorio nazionale, con studio a Modena, nell’ambito del restauro di monumenti. Una passione antica…

Dopo la laurea in ingegneria, decisi di formarmi alla Scuola di specializzazione per lo studio e il restauro dei monumenti, a Roma. Subito dopo, incominciai a dirigere lavori di restauro monumentale e a prestare consulenze specialistiche in molte regioni fra cui Lombardia, Emilia Romagna, Veneto, Marche, Toscana, Campania e Puglia, sull’Appennino e in pianura, anche nel restauro del legno: per esempio, all’Arsenale di Venezia o a San Leucio, la città ideale dei Borbone, ho prestato consulenze per il recupero delle strutture lignee di fabbriche della seta; ma anche a Bologna alla Torre dell’Orologio, in Piazza Maggiore, e alla Salara; a Sabbioneta, nella città ideale di Vespasiano Gonzaga, alla Galleria degli Antichi, alle due porte fortificate Vittoria e Imperiale e Palazzo Forti. In Puglia ho collaborato al recupero di antichi borghi e ho fornito consulenze a proprietari di dimore storiche, a ordini religiosi e diocesi. Ho lavorato molto con la diocesi di Pesaro e con Monsignor Bagnasco, all’epoca in cui era vescovo.

Il settore del restauro è cambiato molto…

Per il restauro di edifici vincolati colpiti dal terremoto si fa riferimento alle direttive emanate dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in cui sono autorizzati soltanto interventi parziali in punti che hanno subito danni significativi. Il professionista opera quindi in condizioni molto difficili perché da un lato è obbligato a proporre interventi non risolutivi e dall’altro è responsabile nel momento in cui dichiara l’antismicità di un intero edificio e la sua messa in sicurezza. In caso di incidenti, aver seguito queste indicazioni rispettando le leggi non lo esenta da una responsabilità penale, anche se il progetto per rendere antisismico l’intero edificio era stato respinto. La conseguenza è che i professionisti evitano di sottoscrivere interventi parziali e i proprietari sono costretti alla demolizione. Anche per gli edifici di valore storico vincolati esclusivamente dai piani regolatori, la maggioranza, la sovrintendenza non si esprime, lasciando prevalere l’orientamento alla demolizione perché si considera più sicuro un edificio nuovo.

Come si può evitare questo?

Bisogna valutare l’entità del danno: se si possono conservare le strutture principali o recuperarle, quindi i muri perimetrali e i principali muri di spina, l’edificio si può salvare. Se il quadro fessurativo, che rileva le lesioni riportate dal terremoto, interessa superfici troppo estese e si è costretti ad abbattere alcune parti, diventa inopportuno pensare al recupero. Se non ci sono problematiche strutturali, secondo le leggi vigenti, è invece consigliabile tentare il recupero, anche perché con alcune tecniche d’intervento è possibile raggiungere valori prestazionali elevati paragonabili a quelli di un edificio nuovo, con il vantaggio di conservare la sua storia e le caratteristiche bioarchitettoniche – un edificio antico è costruito con materiali naturali – che un edificio moderno spesso non ha. Quindi c’è un valore aggiunto nella conservazione. Il proprietario di un bene non vincolato dalla sovrintendenza ha esigenze economiche e di funzionalità, più che di tutela, deve concertare le esigenze abitative con quelle produttive senza spendere ingenti capitali. Le banche non fanno credito e i vincoli sugli immobili danneggiati non li rendono garanzie sufficienti. Per il privato un’eccessiva esposizione economica potrebbe significare l’impossibilità di continuare a svolgere l’attività, soprattutto nel caso di attività artigianali e commerciali danneggiate dal terremoto che hanno la necessità di non perdere la clientela o scomparire dal mercato.

La nostra equipe propone un servizio “chiavi in mano” per il recupero dell’immobile, quando ci sono le condizioni, grazie alla collaborazione con imprese con una grande esperienza nel restauro, anticipando i fondi del finanziamento accordato. Il nostro intervento è quindi più imprenditoriale e meno burocratico. È una novità che comporta un rischio d’impresa tale per cui decidiamo caso per caso di sostenere la proposta nei confronti del cliente. È un percorso che facciamo insieme.

Anche nelle nostre campagne dovrebbe essere tutelato e salvaguardato il patrimonio storico, mentre diverse associazioni di agricoltori sono preoccupate per la tendenza sempre più diffusa a sostituire gli edifici danneggiati con altri più moderni, anche quando non è necessario e a volte con aggravio di spesa da parte del privato. Il nostro territorio è fortemente antropizzato ed è caratterizzato da canali, filari e case: nel momento in cui la maggior parte degli edifici fosse demolita, correremmo il rischio di trasformare questo paesaggio in uno scenario da periferia urbana. Al limite, sarebbe auspicabile autorizzare la costruzione di nuove strutture, evitando di demolire le vecchie.

Cosa si può fare per valorizzare il grande museo a cielo aperto che è l’Italia?

Occorre favorire la conservazione dei beni anziché il loro abbandono. Il problema è che il patrimonio minore, come quello rurale, ha un valore immobiliare marginale, per cui difficilmente vengono investite risorse per la conservazione e per la manutenzione. È essenziale consentire alle attività economiche locali il recupero dell’immobile danneggiato, favorendo così un’effettiva remunerazione dell’investimento. Non c’è valorizzazione del bene che non passi attraverso il suo utilizzo. Se il proprietario non ha la possibilità di continuare la sua attività, quel bene è destinato al degrado nei vent’anni successivi, anche in assenza di terremoti e altre calamità. Il terremoto più grande è l’abbandono.