L’IMPRESA, LA FAMIGLIA, LA SCUOLA

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socio e responsabile commerciale di Vale Spa

Con questo numero del giornale si apre il dibattito L’impresa, la famiglia, la scuola. In che modo la vita dell’impresa può dare spunti anche ai dispositivi educativi che possono instaurarsi nella famiglia e nella scuola?

Stiamo parlando di tre nuclei fortemente interdipendenti, composti di persone: sia la scuola sia la famiglia sia l’impresa esistono grazie ai loro attori che, tra l’altro, possono essere i medesimi in tempi diversi. Questi tre nuclei hanno funzioni differenti, che però s’intrecciano nel risultato, nel momento in cui la funzione familiare – che è educativa nell’esempio e prepara alla partecipazione, al contributo, al confronto ma anche al comando e all’obbedienza – si rispecchia nei dispositivi che s’instaurano nella scuola e nell’impresa, dove esiste una gerarchia che, seppure ampiamente democratica, presuppone il rispetto dei ruoli. C’è stato un momento difficile, di grande cambiamento – quando si è passati da una scuola fortemente autoritaria a una maggiormente di confronto, fino a esagerare, nei casi in cui si è arrivati a un’assenza di direzione tout-court –, che si è riflesso anche nei rapporti all’interno dell’impresa.

Oggi il mondo imprenditoriale è molto cambiato, ha bisogno di altri strumenti, che non sostituiscono quelli precedenti, ma sono di complemento. I singoli nuclei non devono mai abdicare ai loro impegni, ai loro compiti, perché le cose cambiano, ma la natura dell’uomo rimane la stessa.

Fino a vent’anni fa, soprattutto nei piccoli centri, all’interno delle imprese c’era un rapporto di tipo prettamente padronale, alla figura del titolare veniva riconosciuta all’unanimità la volontà, la necessità e soprattutto il diritto di dire sempre la cosa giusta e non c’era non solo la possibilità, ma spesso neppure la volontà da parte dei collaboratori di mettersi in contrapposizione o anche solo di confrontarsi. Con l’aumento della scolarizzazione e il venir meno delle gerarchie all’interno della famiglia, i nuovi collaboratori non erano più disposti a prendere per buono tutto ciò che diceva il titolare e non si sentivano più debitori del lavoro che veniva loro offerto. Ecco perché, laddove la mentalità imprenditoriale è rimasta tale e non è stata pronta ad affrontare la trasformazione in atto, sono sorti conflitti che hanno causato molti danni all’interno delle imprese, che così hanno perso importanti potenzialità.

Negli ultimi dieci anni, c’è stata una parziale sostituzione degli imprenditori prima maniera, ma nel frattempo è cambiato l’approccio al lavoro, perché purtroppo si è tornati a pensare che sia una concessione, visto il tasso di disoccupazione crescente.

L’economista Emilio Fontela, nel suo libro Come divenire imprenditore nel ventunesimo secolo (Spirali), già nel 2000 rilevava la tendenza del lavoro a essere sempre meno dipendente e sempre più un contributo che ciascuno dà alla società…

In questo senso l’impegno della famiglia e della scuola è essenziale per aiutare i giovani a valorizzare i propri talenti, anziché continuare a considerare un privilegio il posto fisso e il lavoro certo, che ormai non esistono più in nessun settore. Se incominciamo a insegnare ai ragazzi a seguire le proprie aspirazioni – e non è sempre facile capire che cosa si ama fare, ma si possono provare diverse strade per capirlo –, a puntare sul costante aggiornamento tecnologico e a utilizzare lo spirito d’iniziativa che mettono in gioco nei loro hobby per “inventare” un lavoro, allora aiutiamo l’impresa a trasformarsi e a entrare nella logica di una minore rigidità, non per diventare più permissiva, ma perché così può mettere i collaboratori nelle condizioni, differenti per ciascuno, di dare il meglio.

Per divenire imprenditore occorre cimentarsi nella vendita. A partire dalla sua esperienza nei mercati di tutto il mondo – non solo negli ultimi quindici anni da quando ha fondato con altri soci la Vale Spa, ma già negli anni ottanta quando svolgeva la funzione di direttore commerciale alla Best Company –, quale consiglio darebbe a un giovane per giungere alla riuscita nell’incontro con i clienti?

Per sviluppare la propensione alla vendita per me è stata importante l’opportunità di seguire un corso di marketing alla fine degli anni settanta, con grande anticipo rispetto ad altri che poi se ne sono occupati negli anni successivi: ho acquisito una grande apertura intellettuale e ho sviluppato un forte interesse per capire i meccanismi che muovevano i mercati ed erano la base della vendita. A questo sono seguiti quella curiosità e quell’entusiasmo che non possono assolutamente mancare nell’incontro con il cliente, insieme a un’altra cosa, ancora più importante: l’umiltà, anche se questo non sempre corrisponde agli insegnamenti della famiglia e della scuola, anzi, purtroppo molto spesso un figlio cresce con l’idea di avere sempre ragione, tranne quando parla con i genitori… 

Nel migliore dei casi, nel peggiore anche quando parla con i genitori: tutto gli è dovuto, perché lui è il bambino magnifico che loro sognavano…

Certo: "Come si può non amarti, se sei il nostro ideale incarnato?" Questo è un pregiudizio che non depone a favore della vendita, perché non può esserci nessuna accoglienza del cliente da parte di un bambino magnifico che basta a se stesso.