FAMIGLIA E LAVORO POSSONO CONVIVERE

Qualifiche dell'autore: 
responsabile del Centro Audioprotesico Audiologika, Bologna

Da oltre dieci anni nel settore audioprotesico, lei ha voluto dotare il centro Audiologika delle strumentazioni più all’avanguardia, fin dall’inizio dell’attività. Come si è accostata a questo settore e quali sono le innovazioni degli ultimi anni?

 Nel 2000, nonostante abbia scoperto il mondo dell’audioprotesica in modo piuttosto casuale, mi sono impegnata in questo settore per gli aspetti tecnologico-sanitari e i loro riflessi sulla qualità della vita delle persone. La maggior parte degli utenti del centro ha superato i 65 anni e si confronta con la presbiacusia, un calo fisiologico proprio dell’età che, con i moderni presidi medici, può essere recuperata con successo nel maggior numero di casi. Ma una significativa parte dell’utenza è costituita da persone giovani che per patologie o traumi specifici manifestano cali dell’udito. L’approccio ai due distinti tipi di pazienti è differente. Mentre l’anziano giustifica e accetta di buon grado l’applicazione della protesi acustica, considerandola al pari della presbiopia, il giovane vive in maniera più acuta il problema estetico, anche in virtù dei contatti quotidiani che mantiene nell’ambito lavorativo. Dobbiamo considerare che la sordità, per quanto sia un indiscutibile handicap, a differenza di altre patologie come la cecità o le difficoltà motorie, che provocano reazioni positive nel prossimo, non è visibile e non viene generalmente percepita da terzi per ciò che è in realtà.

Negli ultimi anni, l’eccezionale miniaturizzazione degli apparecchi acustici e l’incredibile aumento delle loro performance consentono, a fronte di una quasi totale dissimulazione del presidio, una serie di collegamenti bluetooth con il televisore e il telefono cellulare, evitando l’uso delle cuffie o degli auricolari aggiuntivi. Sempre in bluetooth, è possibile il collegamento con microfoni che facilitano la partecipazione a meeting o riunioni di lavoro.

La formazione dell’audioprotesista prevede un percorso di studi specifico?

È una formazione universitaria obbligatoria, che si conclude con un esame di abilitazione professionale. Nel mio caso, avendo ripreso gli studi universitari in età adulta, dopo essermi sposata, mi sono impegnata con una maggiore consapevolezza, ottenendo così i migliori risultati auspicabili. Mi sono laureata a Bologna con lode, anche grazie a uno straordinario corpo docente che mi ha seguito attentamente per tutto il percorso. Ho poi fatto pratica in ospedali pubblici, cliniche e ambulatori privati e, in seguito, ho collaborato con diverse realtà audioprotesiche locali e internazionali. Ho maturato così la convinzione che ci fosse spazio per proporre un approccio diverso da quello strettamente commerciale che avevo sperimentato. Per questo ho investito in Audiologika: nel mio centro l’utente è una persona, non solo un cliente, e questa differenza è percepita e apprezzata. Le persone hanno storie interessanti, che ascolto con attenzione, per capire come viene vissuta la patologia. Spesso accade che, dopo i controlli e la protesizzazione, i pazienti tornino per salutarmi, per portare fiori, piccoli doni o per presentarmi i loro familiari. Credo che mi sentano al loro fianco e questo è il quid in più che nelle aziende in cui ho lavorato non ho e non hanno trovato. La mia strategia non punta sulle offerte commerciali, ma sulla professionalità e l’attenzione alle esigenze dei singoli. 

Considerando che il settore è sempre stato prevalentemente a conduzione maschile, ha trovato difficoltà in questo senso?

In questo settore si manifestano le stesse difficoltà riscontrabili in molti altri. Senza volermi unire al coro fin troppo numeroso di donne deluse nelle proprie aspirazioni da una società ancora profondamente maschilista, voglio sottolineare che l’impegno, se c’è, premia ciascuno, anche il cosiddetto sesso debole. Spesso occorre mostrare una preparazione eccellente più di quanto non sia richiesto ai rappresentanti dell’altro genere e mettersi in gioco comporta scelte non sempre facili. La gestione di un’attività esige impegno e dedizione e va combinata con le esigenze della famiglia, cui non ho certo abdicato. Sono madre di tre figli e per una parte della mia vita ho dedicato a essi molto del mio tempo; poi, quando sono maturate le condizioni necessarie, ho ripreso e concluso gli studi e mi sono lanciata nell’attività professionale. Certo oggi, necessariamente, prediligo la qualità alla quantità del tempo dedicato alla famiglia, ma i figli sono cresciuti e credo di dare loro un esempio, che ritengo educativo, di impegno extra-familiare, per provare che famiglia e lavoro possono convivere e che anche una donna può trovare la propria strada, senza essere prima “figlia di”, poi “moglie di” e infine “madre di”. 

Questo è il messaggio che vorrei dare alle donne, affinché non assumano eventuali sensi di colpa verso la famiglia, che inizialmente possono derivare dalla paura di mettersi in gioco.