L’ITINERARIO IN DIREZIONE DELLA CIFRA

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docente di Filosofia del linguaggio all’Università di Bari

In direzione della cifra. La scienza della parola, l’impresa, la clinica (Spirali, 2011) di Sergio Dalla Val prende l’avvio dal congresso organizzato da Armando Verdiglione, La follia, che si svolse a Milano nel 1976 (1-4 novembre). Era la prima volta che Dalla Val partecipava a un congresso organizzato da Verdiglione. In questo, come in quelli precedenti e, alla stessa maniera, non professionali, non identitari, senza oggetto identificante, accomunante, unificante, – Psicanalisi e politica (8-9 maggio 1973), Follia e società segregativa (13-16 dicembre 1973) e Psicanalisi e semiotica (23-25 maggio ‘74) –, si ponevano “le basi di una psicanalisi non medica e di una clinica della parola, non psipatologica” (p. 13).

Una messa in discussione della psichiatria, della psicanalisi compromessa con la psichiatria e la psicologia, dell’ideologia segregativa, del ricorso agli psicofarmaci e della nozione stessa di “malattia mentale” era stata già avviata da Thomas Szasz, Michel Foucault e Jacques Lacan, ma senza nessuna incidenza sulla vita culturale e pratica. La stessa psichiatria nelle sue forme “democratiche” conservava la sua funzionalità nel sistema complessivo della gestione del potere.

Il viaggio intellettuale intrapreso nel 1973 da Armando Verdiglione, insieme al collettivo freudiano Semiotica e psicanalisi, ebbe fin dall’inizio una grande capacità di coinvolgimento perché apriva un dibattito inedito, non settoriale, non corporativo e caratterizzato dall’incontro di pratiche e teorie diverse.

Ma, come si può anche vedere dallo stato attuale delle cose, le idee e le pratiche dominanti hanno una notevole capacità di resistenza, collegate come sono con il profitto e il controllo sociale. E il tentativo di scardinarle comporta, come di fatto comportò, l’accusa mediatica e psichiatrica di “intellettualismo” e di “irresponsabilità”.

A questo proposito, facendo diretto riferimento al Malleus maleficarum – il manuale pubblicato a Strasburgo nel 1486 per definire e combattere la stregoneria, alla cui traduzione dal latino (Il martello delle streghe, a cura di Verdiglione, Spirali, 1977, ried. 2006) aveva partecipato anche l’Autore – nota (p. 14): “Del resto il Martello delle streghe […] non sosteneva che chi non crede nell’esistenza della stregoneria va accusato di eresia?”. Questo libro si presta a essere letto, egli scrive, come espressione di un’ideologia ancora attuale: “C’è una presunta modernità che, credendo nella segregazione, si batte per la liberazione dell’Altro, dopo averlo presunto schiavo. Ma già nel Quattrocento Insistor e Sprenger sostengono che le streghe […] vanno messe la rogo a fin di bene, affinché siano liberate dal demonio. Una guerra di liberazione ante litteram!”.

Dalla Val denomina i primi incontri organizzati negli anni settanta da Verdiglione “Congressi della materia” (pp. 27-37). L’espressione La materia non semiotizzabile, che in Follia e società segregativa fa da titolo al testo di Verdiglione, è già impiegata nella sua relazione Sulla mitologia psichiatrica, al convegno Psicanalisi e politica; Il godimento della materia è il titolo della relazione per Psicanalisi e semiotica; La materia freudiana (novembre 1975) è il titolo di un altro testo fondamentale di Verdiglione (riedito con il precedente e con La sembianza, “Vel”, 1, 1975 – il cui primo paragrafo s’intitola Una materia impensabile – in La psicanalisi questa mia avventura, Marsilio 1978, Spirali 1997).

Che la materia sia “non semiotizzabile” sta a indicare la sua alterità, la sua irriducibilità. Quello della materia e/o massa considerata amorfa, inerte, indifferente, e, come tale, pienamente gestibile, padroneggiabile, automaticamente obbediente è uno dei luoghi comuni del discorso. Su di esso si basa la giustificazione della necessità della guida, della cura, della correzione, della vera interpretazione, del “giusto rapporto” con l’Altro, insieme ovviamente all’assunto del “reputarsi savio”, che Bertoldo di G. C. Croce, come ricorda Dalla Val (p. 19), qualificava come “la più grande pazzia dell’uomo”. Tutto questo per “il bene” dell’Altro; e la “finalità del bene” fa parte dell’ideologia del controllo.

Nel 1988 (anno del primo numero della rivista “La cifra”) l’esperienza che andava svolgendosi dai primi anni settanta viene indicata come “cifrematica”. La cifrematica, scrive Dalla Val (pp. 135 e 137), “riconduce la psicanalisi di Freud sulla scia del primo rinascimento”. “Il rinascimento: incontro dei monoteismi ebraico, cristiano e islamico con il testo greco e quello romano […]; l’irruzione delle donne nell’arte e nella cultura, del romanzo (Ludovico Ariosto), dell’arte e della scienza (Leonardo da Vinci), della politica (Niccolò Machiavelli), l’avvio del commercio internazionale, delle banche, della finanza, dell’industria, i viaggi planetari, prima di Marco Polo e poi di Cristoforo Colombo”. Rispetto al discorso dominante – il discorso della pretesa padronanza sulla parola, sulla vita, sull’Altro –, “quella che si è costituita nel pianeta, e non solo a Milano, è quella scienza nuova che, da Leonardo a Vico e a Peano, veniva intuita e che noi abbiamo enunciato, formulato e specificato con il secondo rinascimento, la scienza della parola”. La cifrematica: scienza della parola, della libertà della parola, scienza dell’ascolto, della “scommessa dell’ascolto”.