SCOMMETTIAMO SUL VALORE DELLA TRASFORMAZIONE

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Qualifiche dell'autore: 
direttore commerciale, Volkswagen Financial Services
In un momento in cui la tendenza al ribasso nei consumi provoca la stagnazione della produzione, Volkswagen Financial Services registra un notevole tasso di crescita anche per il 2014. Quali sono i fattori che hanno contribuito al raggiungimento di questo risultato?
Nel mondo del credito al consumo, in cui opera una banca anomala come la nostra – una “captive”, che finanzia l’acquisto di un’automobile, offre prodotti assicurativi e linee di credito particolari –, siamo in controtendenza. La nostra attività si concentra sul finanziamento al cliente finale delle auto del Gruppo Volkswagen vendute sul nostro territorio; lo facciamo applicando tassi di interesse molto più interessanti rispetto al mondo normale del credito e con uno spirito di supporto alla vendita, per dare un vantaggio a tutti gli attori coinvolti, prima di tutto al cliente finale, che deve avere la consapevolezza non solo di avere comprato un’auto di grande appeal, ma anche di trovare in tutti gli altri aspetti che ruotano attorno all'automobile, la medesima qualità, ovvero finanziamenti, leasing e servizi assicurativi e un buon rapporto con la rete di assistenza costante nel tempo.
È una filosofia che obbliga tutti i partecipanti alla catena di questo valore a lavorare costantemente e a non accontentarsi del livello raggiunto, quindi a innovare, a mettere in discussione i processi che fino a ieri avevano assicurato successo in determinate aree, a smontarli e ricostruirli, immaginando necessità dei nostri concessionari e dei nostri clienti a due o tre anni. Occorre che coloro che stanno ai vertici, animati da questo spirito, riescano a trasmetterlo ai secondi livelli e ai collaboratori, in modo che tutti si sentano partecipi dei processi innovativi e dei successi dell’azienda, comprendendo che questi non sono arrivati per caso, ma sono stati pianificati, cercati e perseguiti.
A questo proposito, il libro sulla storia del Gruppo, Volkswagen, dalle origini ad oggi, che lei ha curato affiancando l’autore, Marzio Cavazzuti, è una testimonianza storica e culturale del fatto che la riuscita dipende dallo sforzo di quanti hanno spinto in una direzione…
Il libro è nato con l’obiettivo di iniziare un processo di identificazione culturale nei 1700 venditori del Gruppo Volkswagen, tutti collegati attraverso “Salesbook”, una piattaforma molto moderna di cui parleremo prossimamente: è importante che si sentano parte attiva di un processo, di un’azienda la cui attuale realtà è frutto del lavoro di tantissime persone nel corso di oltre settant'anni. Il racconto si sofferma anche sul contesto dell’epoca, non solo sull'Azienda, con aneddoti che mostrano come la grande forza di alcune persone si sia trasmessa anche ad altre, coinvolgendole nel cambiamento di rotta necessario in quel momento. È ciò che definisco la spinta innovativa, che non può nascere da una sola persona illuminata che adotti una strategia, ma dalla grande capacità di comunicare e di condividere un progetto e soprattutto di tenere informati tutti del suo sviluppo, rendendoli partecipi di ciascun avanzamento.
Proprio come dovrebbe avvenire nel governo di una nazione…
Purtroppo, non è il caso dell’Italia, dove i consumi si sono fortemente ridotti a causa dell’incertezza del futuro e della disoccupazione, da una parte, e della paura di perdere le risorse acquisite dall'altra. Non dimentichiamo che un terzo dell’Italia gode ancora di un discreto livello di benessere economico – anche se un po’ inferiore a quello di dieci, quindici anni fa – per proprietà immobiliari, per tipologia di lavoro, per importanti risparmi messi da parte. Eppure, ha cambiato le sue abitudini di spesa, evita di ostentare e pondera maggiormente gli stessi acquisti che in passato faceva con estrema disinvoltura. La mancanza di fiducia che si respira in tutti gli ambiti della vita pubblica blocca questa parte dell’Italia finanziariamente solida, costringendo sempre più cittadini e aziende a cambiare abitudini e a volte addirittura paese. Abbiamo un’infrastruttura sociale, politica e fiscale che non solo non produce occupazione, ma scoraggia nuove idee e nuovi progetti, con la conseguenza che, oltre alle aziende virtuose, anche molti giovani cervelli si dirigono all'estero, anziché trovare la forza per lavorare qui e alimentare il “made in Italy”. Corriamo il rischio che da noi rimangano solo aziende con la cassa integrazione, con pesi impossibili da smuovere che renderanno la situazione ancora più complessa. 
Per questo, occorre un moltiplicatore di efficienza, occorrono leggi, occorrono investimenti e cultura, occorre spiegare ai giovani che dobbiamo spingere in direzioni diverse da quelle in cui abbiamo spinto finora. Basta con l’impossibilità di trovare lavoro, basta con i sussidi di disoccupazione, basta con il sistema scolastico e universitario che non prepara i giovani per le battaglie che dovranno combattere nel mondo globalizzato: non è più possibile che al termine degli studi non abbiano imparato almeno una seconda lingua e siano molto distanti dal mondo del lavoro, tanto più perché oggi le aziende non possono permettersi di aspettare due anni per portare i collaboratori al livello minimo desiderato. Così perdiamo competitività, perdiamo terreno nei confronti delle altre nazioni ed economie. 
A questo si aggiunge la persistente negatività espressa da tutti i media, che presenta costantemente un’immagine disastrosa del nostro paese, in cui tutto sembra ancora più difficile e senza via d’uscita. Non meravigliamoci se poi si respira un clima di sfiducia generale e l’iniziativa imprenditoriale è ai livelli minimi. 
Valorizzare le realtà che stanno ottenendo risultati importanti nel nostro paese allora è più che mai essenziale…
È essenziale alimentare la cultura “Italia” e promuovere i valori della trasformazione, per mettere a frutto le energie disponibili e far rinascere l’entusiasmo, senza cui non ci sarà nessun investimento e nessuna riuscita. 
Potrei dire che la vera ragione per cui il nostro Gruppo è in controtendenza risieda proprio nella nostra spinta innovativa. Ma vorrei aggiungere il livello di soddisfazione delle persone con cui ci relazioniamo: normalmente il successo di un’azienda si misura con il PBT – profit before tax –, io credo invece che la cosa più preziosa per un’azienda sia nel poter misurare costantemente un alto livello di soddisfazione delle persone che lavorano all'interno, di quelle che usufruiscono dei nostri servizi e dei nostri concessionari. Quando le aziende si preoccupano solo dei principali indicatori economici, ma non si guardano attorno per verificare se tutti gli attori che partecipano a produrre fatturati e utili siano soddisfatti, hanno vita breve. È quello che dovrebbero capire anche coloro che ci governano, anziché arroccarsi nella loro eterna autoreferenzialità.