BOLLA UNA GRANDE FAMIGLIA PER UN VINO MITICO: L'AMARONE DELLA VALPOLICELLA

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Il nostro viaggio nei territori che hanno dato i natali a grandi vini, cantati da celebri poeti e scrittori, ci porta fra i dolci declivi della Valpolicella, nella fascia pedemontana della provincia di Verona che si estende dal lago di Garda fino quasi al confine con la provincia di Vicenza, zona di origine dell’Amarone. Noto come vino pregiato già nell’antica Roma, dall’anno 1000, questo vino era considerato al pari del denaro per pagare i diritti feudali. Cassiodoro, nei primi anni del IV secolo, ricerca il vino Acinatico della Valpolicella per la mensa del re ostrogoto Teodorico. Come scriveva G. B. Peres nel 1900, si ritiene che fosse un “recchiotto amaro”, opinione coincidente con quella del Panvinio, che nell’Acinatico di Cassiodoro riconosce il Rètico di Cesare Augusto, e dello storico veronese Torello Sarayna (1543), che parla dei vini della Valpolicella “neri, dolci, racenti e maturi”.
Qui il clima e il suolo hanno un ruolo fondamentale: grazie alla protezione dei monti Lessini a Nord, alla vicinanza del lago di Garda e all’esposizione a sud dei terreni collinari e di fondovalle, i vigneti godono di un clima prevalentemente mite e non troppo piovoso, che si avvicina a quello mediterraneo. I suoli della Valpolicella sono costituiti sia dalla disgregazione di formazioni calcareo-dolomitiche sia da basalti e da depositi morenici e fluviali di origine vulcanica. Questa loro variabilità determina un diverso apporto idrico alla vite nei vari stadi di sviluppo e crescita dell’apparato fogliare e poi durante la fase di maturazione dell’uva.
La bellezza della natura gareggia con quella dell’arte, quando nel paesaggio della Valpolicella vediamo affacciarsi splendide ville venete, capitelli, pievi e corti, testimonianza di secoli di storia e fonte d’ispirazione da Dante (che soggiornò in Valpolicella e nel 1353 suo figlio Pietro acquistò una villa dove oggi sorge la Villa Serego Alighieri) a Hemingway, che definisce il Valpolicella un vino “cordiale come un fratello con cui si va d’accordo”. 
Questo vale particolarmente per l’Amarone, ottenuto dall’appassimento delle uve conservate in fruttai per 100/120 giorni, dove porta a termine la fermentazione degli zuccheri: chi lo produce deve saperlo aspettare, proprio come un fratello che non può deluderti. Ebbene, nonostante sia uno dei vini più antichi, per trovarne la prima etichetta e il primo documento di vendita dobbiamo arrivare al 1938, e solo nel 1953 troviamo la sua commercializzazione ufficiale da parte della storica cantina Bolla: era il vino preferito dal fondatore, Alberto, così fu imbottigliato dai nipoti in omaggio al suo ottantesimo compleanno. 
Abbiamo pronunciato un nome che ha portato l’Italia nel mondo: Bolla. Basti pensare che nel 1997 Rudolph W. Giuliani, sindaco di New York, indisse un incontro per celebrare i 50 anni di presenza del marchio Bolla nel mercato statunitense. E qui abbiamo la fortuna che il nostro viaggio può avvalersi di una guida d’eccezione: Annagrazia Bolla, figlia di Giorgio e nipote di Alberto. Con il suo libro, I miei Bolla. Storia di una grande famiglia del vino, Annagrazia ci porta nel 1872, quando il suo bisnonno Abele sposò Giulia Venturi, da cui ebbe quattro figli maschi – tre dei quali avrebbero presto raggiunto i cinque milioni di veneti emigrati in vari paesi – e tre femmine. Insieme gestirono la trattoria Al Gambero (tuttora nei pressi delle mura medievali di Soave), già di proprietà della giovane consorte. La storia del primogenito, Alberto, che rimase per aiutare i genitori nella conduzione della locanda ha dell’incredibile. Fu Alberto che a soli dieci anni prese l’iniziativa di vendere il vino Soave alla gente del posto, “caricandosi sulla piccola schiena delle brente più grandi di lui”. Era il 1883 e con questa iniziativa nasceva di fatto la ditta Fratelli Bolla. E fu Alberto a richiamare i suoi fratelli Giulio ed Enrico in patria per ampliare l’attività e aprire a Venezia quelle che sarebbero diventate le famose osterie del Calice, mete di artisti, giornalisti e uomini d’affari già alla fine dell’Ottocento, che potevano gustarvi i migliori vini del veronese, fra cui il bianco secco Soave, il pregiato Valpolicella e il celebrato Recioto. Anche il poeta Vincenzo Cardarelli era un assiduo frequentatore della lussuosa bottiglieria del Calice che era stata aperta nella zona di San Marco. Ma mentre i fratelli Giulio e Enrico gestivano le osterie, che prosperavano a Venezia, Alberto era impegnato a Soave nello sviluppo dell’attività di produzione e commercio dei vini, coadiuvato dal fratello Luigi Albano. E i riconoscimenti non tardarono ad arrivare: nel 1909 alla fiera di Bologna la Bolla ottenne la medaglia d’oro per i suoi vini di qualità.
Il libro di Annagrazia Bolla, attraverso la storia della famiglia, ci porta nella storia del nostro paese, dalla grande guerra fino al 1939, quando la Casa Reale di Savoia concedeva alla ditta Fratelli Bolla il brevetto di potersi fregiare dello stemma reale e di entrare tra i rari fornitori della Real Casa. 
Impossibile riassumere tutte le fasi di sviluppo, le avventure e le vicende di questa storica Cantina, che dalla sede di Pedemonte in Valpolicella, dove si trasferì nel 1931 e dove è rimasta, divenne vera ambasciatrice del made in Italy nel pianeta. L’Autrice esplora i documenti e le immagini trovate nel baule del padre, Giorgio Bolla, nato nel 1917 dal primo matrimonio di Alberto e scomparso prematuramente nel 1972. E restituisce con semplicità la complessità di eventi degni di una vera e propria saga. Dal suo libro potrebbero nascere altri libri e qualche film, per chi ama la poesia dell’impresa, con le sue battaglie, le sue scommesse e le sue vittorie. E il cinema non sarebbe una novità per Bolla: ricordiamo le bottiglie che proponeva la Cantina negli anni della Dolce Vita e che allietavano le cene di attori e registi, da Sofia Loren a Giulietta Masina, da Marcello Mastroianni a Federico Fellini. 
Ma torniamo al viaggio internazionale di questo nome così corto con una vita così lunga e proiettata all’infinito: nel 1946, Ercole Sozzi, proprietario della Fontana Hollywood, rinomato ristorante di New York, visitò le cantine Bolla ed effettuò un cospicuo ordine che accelerò l'introduzione dei vini Bolla nel mercato statunitense. Nel 1951 l’azienda divenne membro permanente della Camera di Commercio statunitense; quattro anni più tardi ricevette la stessa onorificenza dalla Camera di Commercio britannica. 
Nel frattempo cresceva il numero di estimatori dei vini Bolla. Nel 1958 Frank Sinatra rifiutò di mettersi a tavola senza il Soave Bolla. D’altronde anche Gabriele D’Annunzio, come racconta Antonio Gioco, chef del ristorante Dodici Apostoli di Verona, voleva sempre in tavola “lo ambrato vin delle cantine Bolla”.
Gli estimatori dei vini Bolla crescono e anche il mondo del cinema contribuisce al suo successo. Nel 1967, la multinazionale Brown-Forman Corporation (proprietaria di marchi quali Jack Daniel’s e Tuaca), con sede in Kentucky (USA), divenne il distributore di Bolla per il mercato americano, quattro anni più tardi acquistò il 40 per cento del brand e nel 2000 il 100 per cento.
Ma le radici culturali non si dimenticano: alla fine del 2006, il Gruppo Italiano Vini (GIV), compra la cantina di Pedemonte, continua la produzione dei vini Bolla e diventa distributore per il mercato italiano, mentre nel 2009 acquisisce il 100 per cento del marchio da Brown-Forman e Banfi Vintners, della famiglia Mariani, diventa partner esclusivo per il mercato USA. Grazie al GIV, oggi l’avventura continua, contribuendo alla valorizzazione dei territori a cui questo patrimonio appartiene.