INDUSTRIA, AGRICOLTURA E TRASFERIMENTO TECNOLOGICO NEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO

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socio di ABL S.r.l., Cavezzo (MO)

Con questo numero del giornale intitolato I seguaci della terra, ci proponiamo di esplorare il contributo dell’industria alla valorizzazione dei prodotti dell’agricoltura attraverso tecnologie sempre più all’avanguardia. È il caso di ABL, nata nel 1978, per progettare e costruire macchine per la lavorazione industriale delle mele, quando ancora non esistevano in Europa. Ne avete fatta di strada da allora...
Infatti, oggi le nostre macchine riescono a pelare una tonnellata di mele al minuto e abbiamo una gamma molto vasta di macchine per pelare, tagliare e lavorare diversi tipi di frutta — pesche, ananas, melone, kiwi, mango, arance — e alcuni tipi di verdure, come peperoni, patate, pomodori e zucchine. Prima di costituire l’ABL, trentasei anni fa, mio padre aveva acquisito una grande esperienza nel settore come responsabile tecnico di un’azienda americana. Riusciva a riparare talmente bene le macchine dei clienti ai quali forniva assistenza che gli proposero di mettersi in proprio per costruirle direttamente, assicurandogli che le avrebbero comprate da lui. Allora la sfida era quella di progettare una macchina completamente nuova che permettesse di lavorare la frutta di seconda e terza scelta. Mio padre la vinse molto presto, ma da allora non si è più fermato: ciascuna macchina venduta è stata ed è una sfida, perché si tratta sempre di rispondere alle esigenze specifiche di clienti che ormai vengono da tutto il mondo: gli unici paesi che non serviamo sono il Medio Oriente, l’Africa nera e qualche isola sperduta del Pacifico. Con serietà e coerenza abbiamo saputo conquistarci la fiducia della piccola, della media e della grande industria su scala globale.
Il nostro mercato è ovunque ci sia bisogno di migliorare i processi, anche in assenza di un tessuto industriale evoluto. Per esempio, stiamo lavorando con il Costa Rica, per fornire la tecnologia più adatta alla frutta semilavorata.
Oggi riusciamo a eseguire tutte le lavorazioni senza alterare le proprietà della frutta, anzi, esaltandone colore e sapore, soprattutto nelle confezioni monodose. Posso garantire che è al naturale al cento per cento, gli unici additivi sono acqua e zucchero. Negli Stati Uniti e in Inghilterra invece la frutta è confezionata a secco in vaschette, con una vita al massimo di un paio di giorni, e questo comporta un investimento non indifferente nella logistica.
In che modo l’agricoltura trae vantaggio economico dalla vendita della frutta e delle verdure lavorate?
Sicuramente, il consumo di frutta e verdura aumenta nel momento in cui viene aumentata la loro fruibilità anche fuori casa, in luoghi in cui non c’è la possibilità di pelarla e tagliarla, mantenendo un grado elevato di igiene. Apparentemente, la frutta e la verdura lavorate costano di più, ma se ci pensiamo hanno il vantaggio di ridurre gli scarti, di garantire l’assenza di contaminazioni e di assicurare la massima qualità del prodotto acquistato.
Se poi consideriamo che le popolazioni di molti paesi in via di sviluppo spesso non hanno mezzi di sostentamento, mentre, paradossalmente, sono costrette a far marcire ingenti quantità di prodotti della loro terra, perché non hanno ancora acquisito gli strumenti per la loro lavorazione e conservazione, allora, possiamo immaginare fino a che punto potrebbe spingersi l’apporto dell’industria all’agricoltura.
Uno dei temi dell’Expo 2015 dovrebbe essere proprio quello dello sviluppo del settore agroalimentare nei paesi poveri, attraverso il trasferimento tecnologico...
Infatti, il tema della sostenibilità alimentare, a cui si dedica l’Expo, dovrebbe riguardare anche i mezzi e i modi con cui alcuni paesi ricchi di risorse, ma poveri economicamente, possono essere aiutati a raggiungere l’indipendenza alimentare, attraverso collaborazioni e scambi commerciali, che permetterebbero loro di crescere e di acquisire gradualmente un know how indispensabile al loro ingresso nel mercato globale.
L’estrazione dell’acqua di cocco, per esempio, coinvolge una parte povera dell’economia globale. Ormai è una bevanda molto fashion, ampiamente diffusa e pubblicizzata: è tonificante, energetica e molto usata dagli sportivi. Un’azienda americana si è proposta di promuovere un’attività di agricoltura intermodale per la sua estrazione, in zone scomode da raggiungere, dove non sono presenti cooperative per il commercio equo e solidale. Attraverso un progetto di intermodalità, si possono portare nelle piantagioni container in cui sono allestiti laboratori per la lavorazione primaria del cocco e fare in modo che aumenti il margine di ricavi destinato alla gente del posto.
Quale impatto avrebbe un impianto industriale per l’estrazione dell’acqua di cocco e quali investimenti esorbitanti richiederebbe? Solo le multinazionali potrebbero permetterselo, mentre l’intermodalità consente di trasmettere i primi rudimenti alle popolazioni del posto e, se si riesce ad avere le spalle abbastanza larghe, si può anche incontrare il governo di una nazione e cercare di nazionalizzare la produzione, in modo da assicurare al paese la tecnologia di processo che poi si spera possa portare all’industrializzazione.