UN INVESTIMENTO PER L’OCCUPAZIONE: LA SUINICOLTURA

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presidente di Sami S.r.l., Vignola

Quanti sono gli imprenditori che sognano di vendere i loro prodotti senza dover fare centinaia di telefonate in cerca di clienti, soprattutto in un periodo in cui i cali di fatturato, più o meno drastici, non hanno risparmiato nessun settore? Questo sogno è una realtà per la Sami, una delle più note fra le aziende del suo Gruppo, che ha sfiorato un aumento di fatturato del 70 per cento nel 2014. Oltre alla qualità che contraddistingue i vostri salumi, non dimentichiamo che la lavorazione della carne di maiale per la vostra famiglia è un’arte antica...
Infatti, mio padre è stato pioniere in questo settore: nel 1943 ha aperto a Pozza di Maranello uno dei più grandi macelli della penisola, seguito poi da quelli di Viadana (Mantova). Molti dei salumieri oggi famosi hanno lavorato per lui e in qualche caso è stato lui a finanziare l’apertura della loro azienda. Io sono l’ultimo di ventuno figli, ho sempre vissuto in mezzo alla carne suina e, all’epoca, anche bovina. Anche se avevo iniziato a lavorare con mio padre, a ventidue anni però ho aperto un mio macello, perché volevo mettermi alla prova come imprenditore. Poi, insieme a un mio fratello, ho acquistato la Imas, l’azienda che ha inventato il marchio del maialino rampante (ora di proprietà della Sami), di cui era socio un altro mio fratello, insieme a Sante Levoni e Attilio Montorsi. Già all’epoca ho dato prova del mio talento commerciale: in cinque anni, l’azienda è passata da 90 a 7500 maiali venduti. Nonostante le vicissitudini che ci hanno portati a cedere l’azienda, nel 1986 ho aperto un altro macello per la lavorazione di carne estera destinata al mercato europeo.
Poi ho lavorato nel commercio, finché, nel 2007, ho avviato il Centro Selezione Carni, un’azienda che sta dando tante soddisfazioni a me, al mio socio, Amos Minghelli, e a mio figlio, Fabrizio, che la dirige: basti pensare che i dieci marchi più noti di grandi salumifici italiani comprano la carne da noi, perché trovano la massima garanzia di affidabilità e tracciabilità.
Ma quali sono le novità che stanno facendo decollare il fatturato della Sami?
Le novità in particolare sono due: l’Arrostichetto, un filetto di maiale avvolto attorno a un osso ricavato dallo stinco, e l’Anima di prosciutto, consigliata a bambini e anziani, perché altamente digeribile e talmente tenera che, come il tonno, si taglia con un grissino.
Il mercato ha bisogno di innovazioni e ne avrei una al giorno, anche perché ho la fortuna di dormire pochissimo e di notte posso pensare alle cose da fare nel mio Gruppo di sei aziende, guidato da me e dal mio socio, che occupa un centinaio di dipendenti, più almeno altri centocinquanta nell’indotto. E io sono solo un esempio dei tanti imprenditori italiani che s’ingegnano ciascun giorno per trovare nuovi dispositivi di riuscita. Ma l’innovazione richiede investimenti e purtroppo diminuisce sempre più, anziché aumentare, il sostegno delle istituzioni allo sviluppo. Prendiamo il nostro settore, per esempio: in Italia produciamo solo 15-20 milioni di suini, mentre ne consumiamo oltre 90 milioni. Se riuscissimo a produrne altri 35-40 milioni, potremmo risparmiare almeno 10 miliardi di euro, creando subito migliaia di nuovi posti di lavoro.
Perché non vengono incentivati gli allevamenti di suini nel nostro paese?
Bisognerebbe lanciare un programma ministeriale per favorire il ritorno alla suinicoltura, attraverso la costruzione di moderne stalle e porcilaie, che non inquinino le nostre falde come quelle di un tempo. Proprio per questo, già sette anni fa, ho brevettato un impianto per la trasformazione dei sottoprodotti animali, che produce concime ed energia in modo sicuro e sostenibile per l’ambiente. Negli stessi anni, ho anche acquistato un terreno di 300 mila metri quadrati a Serramazzoni, dove installare questo impianto e favorire l’avvio di allevamenti di suino leggero, completamente ecologici. Tuttavia, a causa dei tempi lunghi della politica e della burocrazia, non sono riuscito ancora ad avviare nulla. Mentre, nel frattempo, ho ricevuto interessanti offerte per installarlo in Austria o in Olanda, dove il problema dell’inquinamento è molto sentito. Finora ho rifiutato tutte le offerte estere, anche se ci sono già banche pronte a finanziare il progetto, perché vorrei continuare a fare impresa nel mio paese, ma se non si sbloccherà nulla entro il 2015, prenderò le mie decisioni. Se questo progetto fosse avviato, prima al nord e al centro e poi in tutta Italia, in un anno potremmo già allevare il 20 per cento in più di suini. Potrebbero essere utilizzati i fondi che l’Europa ha messo a disposizione per l’agricoltura, con la garanzia che arrivino veramente agli allevatori di questi suini leggeri, di circa 110 kg, a chilometro zero, che oggi siamo costretti a importare, per fare per salumi e insaccati, per un 35/40 per cento da paesi come Germania, Francia, Olanda, Danimarca e Spagna. La nostra missione è portare ai consumatori italiani e di tutto il mondo salumi realizzati in Italia, buoni, sicuri e con un rapporto qualità-prezzo che soddisfi i clienti più esigenti. Ci auguriamo che i politici incomincino a intendere questo messaggio al più presto, considerando che 30-50 milioni in più di suini comporterebbero da 700 mila a un milione di posti di lavoro in più, compreso l’indotto.