L’IS: LA SUA STORIA, LA SUA POLITICA, I SUOI FINANZIAMENTI
“I conflitti che
si nascondono dietro la maschera della religione sono un affare molto diffuso
nei secoli di arretratezza di pensiero delle società”, disse nel 1406 il
filosofo tunisino musulmano Ibn Khaldun. Partendo da questa frase, si può
cominciare a illustrare come è nato lo Stato Islamico e perché. Il nome Stato
Islamico, oggi siglato come IS, nasce come ISIS, acronimo di Stato Islamico
Iraq e Levante, in arabo Sham, ovvero
la zona del Medio Oriente legata a Damasco. La bandiera dell’IS è di colore
nero e riporta una scritta in arabo e un timbro, il timbro del profeta, il cui
originale, conservato a Istanbul, era nero con una scritta bianca, mentre
quello sulla bandiera dell’IS è bianco perché la bandiera è nera. Il nero è il
colore del Califfato degli Abbasidi, che storicamente ha seguito tutta l’espansione
dell’Islam in Medio Oriente. All’epoca d’oro del mondo islamico, iniziata
intorno alla metà del VII secolo, Damasco, in Siria, fu la prima città a essere
conquistata e fu la base della massima espansione del Califfato Islamico,
portato avanti dalla dinastia degli Omayyadi, anche in Europa, in Sicilia e
Andalusia. In questo periodo la bandiera del Califfato era bianca. Dal 750 d.C.
è seguito un secondo periodo, quello del Califfato degli Abbasidi, che ha visto
la conquista dell’Iraq da parte dell’Islam. Per questa ragione l’IS ha scelto
la bandiera degli Abbasidi, che era nera in ragione di un sentimento di
vendetta rispetto al Califfato di Damasco.
Attraverso i
dati aggiornati a nostra disposizione, possiamo renderci conto delle dimensioni
dello Stato Islamico. Il territorio occupato è di 13000 chilometri, più o meno
come il Belgio. Il numero dei combattenti è molto vario, negli ultimi cinque
anni è cambiato, si parla di un numero che va dalle 30 mila alle 50 mila
persone. I paesi teatro dei combattimenti sono Iraq, Libano, Siria, Giordania e
alcune zone della Libia e della Tunisia. Il capitale a disposizione dello Stato
Islamico è di 2 miliardi di dollari. Ogni giorno 3 milioni di dollari arrivano
all’organizzazione dalla vendita di gas e petrolio.
Come nasce lo
Stato Islamico? Nel 2004, un anno dopo l’invasione dell’Iraq, Abu Mus’ab
al-Zarqawi, all’epoca importante esponente di Al Qaida, si unisce al gruppo
Jamal at al Tawhid, che giura fedeltà ad Al Qaida e ne diventa espressione in
Iraq. Questo gruppo, unito ad altri, combatteva contro i militari occupanti,
soprattutto americani. Dall’unione di questi gruppi nasce il Consiglio della
Shura. Nel 2006 un raid aereo uccide al-Zarqawi e viene costituito un nuovo
gruppo che viene chiamato Stato Islamico in Iraq, guidato da Abu Omar
al-Baghdadi. Al-Baghdadi non è un vero cognome, come Abu Omar non è un vero
nome: Abu significa padre, Omar figlio, al-Baghdadi è un riferimento alla città
di provenienza. Il 19 aprile 2010 al-Baghdadi viene ucciso nei combattimenti in
Iraq, ma prima di morire lascia la guida dello Stato Islamico al suo braccio
destro, Abu Bakr al-Baghdadi. Questo piccolo gruppo, che combatteva insieme ad
altri, ha incominciato a prendere più potere e a dominare sugli altri. Il 16
maggio 2010 Abu Bakr al-Baghdadi si autoproclama principe dello Stato Islamico
in Iraq. Legato al salafismo, corrente radicale dell’Islam, Abu Bakr
al-Baghdadi ha rivendicato almeno cento attentati terroristici in Iraq, per
vendicare la morte di Bin Laden. Nel 2011 entra nella scena un altro
personaggio, Abu Mohammad al-Julani, il cui nome lo lega alla Siria. È un ex
combattente in Afghanistan e in Iraq, è stato incarcerato nelle prigioni
americane irachene ed è fuggito, come d’altronde al-Baghdadi. È riuscito a
evadere da una delle carceri di massima sicurezza più imponenti del paese, a
seguito di un attacco effettuato da alcuni gruppi combattenti. Abu Mohammad
al-Julani proclama la nascita di un nuovo gruppo, che si chiama al-Nusra, che
ha la bandiera simile a quella dello Stato Islamico in Iraq. Anche al-Nusra è
legato ad Al Qaida, ma nasce e opera in Siria. Siamo nel 2011, anno in cui
incomincia la crisi siriana, la cosiddetta rivoluzione. Abu Mohammad al-Julani
giura fedeltà a Ayman al-Zawahiri, capo attuale di Al Qaida. La matrice
ideologica che lega Al Qaida, al-Nusra e lo Stato Islamico in Iraq è la stessa.
Il 9 aprile 2011 Abu Bakr al-Baghdadi annuncia in un messaggio vocale la
fusione di al-Nusra con lo Stato Islamico, proclamando lo Stato Islamico Iraq e
Levante, l’ISIS. Abu Mohammad al-Julani non vede di buon occhio questa fusione,
concordava su un’alleanza ma non su una sottomissione del suo gruppo a quello
di Abu Bakr al-Baghdadi, considerava il suo capo ancora Ayman al-Zawahiri di Al
Qaida. Da questo momento si verifica una spaccatura segreta all’interno di
al-Nusra: alcuni accolgono la fusione con lo Stato Islamico, altri la rifiutano
e rimangono sotto la guida di al-Julani, altri ancora decidono di proseguire da
soli. La parte più violenta dell’organizzazione si aggrega allo Stato Islamico.
I territori in
cui si è espanso lo Stato Islamico sono racchiusi dai confini di Turchia a
nord, una parte della Siria a est e l’Iran a ovest, e comprendono il nord della
Siria e dell’Iraq sotto il Kurdistan. La città di al-Raqqa, nella Siria del
nord, diviene terreno di scontro tra gruppi diversi nel 2013. Lo Stato Islamico
la invade e attacca le milizie che non vogliono sottomettersi al suo dominio.
La maggior parte dei combattenti a quell’epoca erano stranieri, non siriani, i
cosiddetti foreign-fighters, tunisini, libici, sauditi, europei, ed erano in
conflitto con al-Nusra, che invece aveva una maggioranza di siriani al suo
interno. Lo scontro tra queste formazioni, una vera e propria guerra tra
combattenti di diversa provenienza, porta a un rafforzamento dello Stato
Islamico, fino alla fuga, nel 2014, di al-Nusra da al-Raqqa, che diviene la
capitale dello Stato Islamico. La chiesa armena della città è stata dipinta di
nero e al posto della croce è stata issata la bandiera dell’IS. Poiché lo Stato
Islamico comprende combattenti provenienti da Libia e Tunisia, dichiara di
essere presente in quei territori, ma, in realtà, le milizie che combattono nel
nord Africa sono piccoli gruppi autonomi che hanno giurato fedeltà a Abu Bakr
al-Baghdadi. Questo tipo di strategia è divenuta oggi un importante punto di
forza dell’IS: anche un gruppo autonomo e lontano, se giura fedeltà, viene
considerato parte dello Stato Islamico. In Libia e in Tunisia si tratta
principalmente di combattenti che operavano in Siria e che sono successivamente
tornati nei loro paesi di origine. In Tunisia, prima delle ultime elezioni, il
governo era a favore del rovesciamento del regime di Bashar al-Assad in Siria,
per questo non bloccava nessuna fuoriuscita di combattenti dal proprio paese
verso la Siria. La Libia, invece, dall’inizio della guerra civile e dall’abbattimento
del regime di Mu’ammar Gheddafi, è un paese completamente fuori controllo. Chi
seguiva da vicino le vicende siriane sapeva da tempo che la maggior parte dei
combattenti stranieri che entravano nel paese per combattere Assad provenivano
dalla Libia. I combattenti libici inoltre portavano con loro le armi che erano
state loro consegnate dai governi europei durante la guerra, oltre alle armi
sottratte all’esercito di Gheddafi. Oggi lo Stato Islamico è presente in nord
Africa sotto questa forma e ci minaccia con le nostre stesse armi.
I gruppi più
feroci dello Stato Islamico sono i “mohajerin”, i foreign-fighters. Molti di
loro provengono dalla Russia, dall’est Europa e dall’Afghanistan: hanno tutti
una grande esperienza di combattimento alle spalle.
Come si finanzia
lo Stato Islamico? Alla fine del 2014, Joe Biden, il vicepresidente americano,
ha accusato direttamente l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, il Qatar e la
Turchia di finanziare lo Stato Islamico. Dopo questa esternazione, ha smentito
e chiesto scusa. Possiamo comunque sostenere che questi paesi hanno i loro
interessi a finanziare l’IS, non sappiamo se attraverso manovre dirette dei
governi o mediante altre forme. L’interesse di questi paesi è di giocare sulla
scacchiera del Medio Oriente contro il governo siriano. Il governo di Assad è
infatti legato a quello di Hassan Rouhani, in Iran, paese in aperto conflitto
con l’Arabia Saudita. Da moltissimo tempo, i due paesi sono rivali e in
conflitto religioso: l’Iran è sciita, l’Arabia Saudita è sunnita. Per l’Arabia
Saudita l’Iran e lo sciismo rappresentano una minaccia e, per questa ragione, s’impegna
a cambiare i governi filo-iraniani, legati all’Iran o ai paesi che si trovano
nella zona di conflitto. Quali paesi vengono considerati una minaccia dall’Arabia
Saudita, perché sciiti o filo-iraniani? L’Iraq, che è a maggioranza sciita e
confina per larga parte con l’Iran. La Siria, che ha una maggioranza sunnita,
ma è governata da una famiglia sciita. Infine il Libano, dove uno tra i partiti
più rilevanti, Hizb Allah, è sciita. In Libano, metà della popolazione è
cristiana e metà musulmana. All’interno della parte musulmana, metà è sciita e
l’altra metà sunnita. Tra i cristiani, metà appoggiano il sunnismo, metà lo
sciismo. La separazione all’interno di questo paese è molto netta e crea un’empasse
difficile da superare. Da un anno il Libano non ha un presidente della
Repubblica, perché la costituzione prevede che sia cristiano, ma condiviso da
tutte le altre componenti etniche e religiose. Iraq, Siria e Libano
rappresentano la cosiddetta “Mezzaluna sciita” che parte dall’Iran, attraversa
l’Iraq, passa in Siria e arriva in Libano. Questo è lo spettro della minaccia
per i paesi del Golfo, che s’incontrano per affrontarla.
Il finanziamento
dell’IS è legato a un’altra questione. Esistono moltissime organizzazioni,
fondazioni, missioni islamiche, che sostengono al-Da’wa, il proselitismo
musulmano. Il confine tra aiuto benefico e finanziamento di formazioni militari
sembra molto labile. All’interno di molti stati mediorientali, ma anche
occidentali, operano queste organizzazioni, che hanno rapporti con i gruppi
terroristici. La forza dello Stato Islamico sta nel fatto di pagare i
combattenti, di pagarli molto bene, da 500 a 1000 euro al mese. In un momento
di crisi globale e di disoccupazione totale, con un livello di analfabetismo al
70 per cento, si può immaginare la portata della seduzione di uno stipendio
così alto.
Le risorse
energetiche della Siria si trovano esattamente nella zona occupata dall’IS. I
pozzi di petrolio in Siria e in Iraq si trovano nelle regioni del nord occupate
dall’IS. Ci sono stati addirittura conflitti molto duri tra le diverse
formazioni terroristiche per controllare quelle aree. È evidente che lo Stato
Islamico vende gas e petrolio e di conseguenza ha dei compratori. Il confine
più probabile attraverso cui sfruttare queste risorse è quello settentrionale,
e dunque quello con la Turchia. Non sto affermando che il governo turco
sviluppi direttamente questo commercio, ma senz’altro non fa nulla per
contrastarlo. Chi vende petrolio all’Europa dal Medio Oriente passa
necessariamente dalla Turchia e poi dai paesi dell’est.
Un’altra forma
di finanziamento utilizzata dall’IS è il saccheggio di banche, amministrazioni
e uffici governativi. Quando Mosul, in Iraq, è stata attaccata e occupata, è
stata anche completamente saccheggiata. Le caserme sono state svuotate dalle
armi dell’esercito governativo, armi che erano state fornite dall’esercito
americano. In questi giorni al-Nusra ha attaccato tutte le zone di confine tra
Siria e Giordania, sequestrando moltissimi camion di armamenti, insieme agli
autisti che li guidavano. Oggi sono stati rilasciati grazie al pagamento di un
riscatto.
I riscatti sono
un’altra fonte di finanziamento. Oltre ai sequestri che regolarmente si
verificano nelle zone occupate, a danno delle famiglie del posto, ci sono
quelli che coinvolgono i paesi occidentali, come l’Italia. Pagare questi
riscatti è come dare in mano a un pazzo un coltello.
L’ideologia
dello Stato Islamico è molto semplice: si chiama salafismo. Il salafismo è la
Jihad armata. La Jihad, differentemente da quanto si crede, significa fare uno
sforzo interiore per raggiungere la perfetta fede musulmana, attraverso la
spiritualità. Per il salafismo il raggiungimento della fede perfetta deve
avvenire attraverso un cambiamento politico che può essere realizzato soltanto
attraverso la forza. La realizzazione perfetta della fede islamica secondo il
salafismo è l’applicazione della shar’ia e la ferma intolleranza verso le altre
religioni. Infatti, quello che sappiamo è che nelle zone occupate dall’IS si
sta verificando una vera e propria pulizia etnica e religiosa. Lo Stato
Islamico costringe le persone a giurare fede al Califfo o a pagare dazio. Ad
al-Raqqa accade proprio questo: molte famiglie cristiane hanno abbandonato la
città, ma chi non aveva la possibilità di fuggire è dovuto rimanere e paga una
tassa per la propria sopravvivenza.
È importante
capire quali sono le origini dell’ideologia salafita. Il salafismo wahhabita è
piuttosto antico e venne adottato dall’Arabia Saudita dal 1700 al 1900. Il
principio di fondo di questa scuola di pensiero islamica è il connubio tra la
spada e la fede, secondo l’insegnamento del predicatore settecentesco Muhammad ibn
‘Abd al-Wahhab. All’origine del Regno dell’Arabia Saudita, fondato
nel 1932, vi fu esattamente questo approccio: le tribù non salafite della
regione vennero sterminate e ‘Abd al-’Aziz ibn Al Sa’ud si
autoproclamò re. Questa stessa ideologia venne ripresa dal salafismo jihadista,
nato negli anni settanta in Egitto, che rappresenta la matrice sulla quale si
sono strutturate le organizzazioni terroristiche da Al Qaida all’odierno Stato
Islamico.
Per Al Qaida il
regno della legge della shar’ia non doveva avere confini, ma essere ovunque. Lo
Stato Islamico invece ha l’ambizione di governare propri territori definiti da
confini. Oggi, infatti, l’IS e Al Qaida sono in conflitto anche per questa
contrapposizione ideologica.
Lo Stato
Islamico è guidato da circa cento persone, organizzate in una struttura simile
ai servizi segreti, con il compito di eliminare ogni dissidente. I gruppi
armati che non accettano di giurare fedeltà al Califfo vengono annientati
attraverso l’assassinio dei loro capi. Questa è tra le principali ragioni dell’espansione
dell’IS in Siria, dove tanti gruppi armati di matrice islamica sono, di fatto,
stati costretti a confluire nello Stato Islamico. La dirigenza dello Stato
Islamico è formata al cento per cento da iracheni. Questo fatto è motivo di
grande conflitto tra l’IS e al- Nusra: sono gli iracheni a dettare le regole,
mentre i siriani devono accettarle. Il consiglio militare è composto da una
decina di esperti, molti ex ufficiali dell’esercito iracheno, e segue la
strategia del terrore, della violenza e della difesa della regione governata
dall’IS. È bene ricordare che quelle che noi consideriamo atrocità dal nostro
osservatorio europeo non hanno lo stesso significato nel mondo arabo: dall’inizio
del 2015 in Arabia Saudita sono già state eseguite 40 decapitazioni. Nello
stesso giorno in cui i leader europei e mondiali sfilavano per le strade di
Parigi in nome della libertà di stampa e di espressione, per condannare l’attacco
subito dalla rivista “Charly Ebdo”, tra gli sfilanti spiccava l’ambasciatore
dell’Arabia Saudita e nel suo paese veniva decretata la condanna dello
scrittore Raif Badawi a dieci anni di detenzione e mille frustate. Per il
momento lo scrittore ha subito cinquanta frustate, perché se gli esecutori
fossero andati avanti sarebbe morto. La colpa di Raif Badawi è quella di aver
affermato nel suo blog la necessità di modernizzare l’Islam.
Perché la Siria
rappresenta un problema per lo Stato Islamico? Gli anni d’oro del Califfato
Islamico sono quelli in cui la dinastia che lo governava era quella degli
Omayyadi e la sua capitale era Damasco, città aperta, variegata, ricca di
culture e costumi differenti. All’epoca, il Califfato Islamico era aperto e
moderno: basti pensare che uno dei Padri della Chiesa, Giovanni Damasceno, era
ministro omayyade e faceva parte della corte del Califfato, pur essendo
cristiano. La Siria si è sviluppata nei secoli seguendo questo modello ed è
stata, fino all’inizio della guerra civile, un paese aperto, tollerante,
culturalmente ricco e vario: un mosaico equilibrato di religioni ed etnie. Per
questa ragione la Siria rappresenta una minaccia e deve essere distrutta: per
il modello che ha rappresentato nel corso dei secoli, in netta contrapposizione
a quello portato avanti dal salafismo dello Stato Islamico e delle monarchie
arabe. Inoltre, non va dimenticato che la Siria si trova in una posizione
strategica molto importante, è una porta verso l’Occidente, in particolare per
il passaggio di gasdotti. Oggi noi stiamo vivendo, in diverse zone del mondo, tra
cui l’Ucraina, ad esempio, una vera e propria “guerra del gas”.
L’articolo di Naman Tarcha è
tratto dal dibattito Dalla Siria al
mondo: l’avanzata dell’ISIS, organizzato dall’Associazione Impegno Civico
il 16 aprile 2015 a Bologna.