PER ANDARE LONTANO, CAMMINIAMO INSIEME

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presidente di IMS S.r.l., Sasso Marconi (BO)

Leader mondiale nel settore della mammografia e in particolare della tomosintesi applicata in ambito mammografico, IMS, Internazionale Medico Scientifica, celebra i suoi primi cinquant’anni con la produzione dell’unica macchina nel pianeta che consente la diagnosi precoce del tumore al seno, grazie al dispositivo per tomosintesi mammaria, che implementa numerose e innovative soluzioni 3D, Giotto Class. Il suo inventore è di Bologna e l’azienda che produce Giotto, che ha salvato la vita a milioni di donne, non è una multinazionale ed è italiana. Ci racconta com’è incominciato e come prosegue il suo viaggio?
Sono nato a Bologna, dove ho conseguito il diploma di perito elettrotecnico mentre nel frattempo lavoravo in una storica ditta di apparecchiature per la radiologia, la Rangoni e Puricelli. Avevo ventiquattro anni quando l’azienda mi ha pregato di iscrivermi all’università per seguire un corso biennale per divenire tecnico radiologo. Percepivo così lo stipendio per l’intera giornata lavorativa, nonostante ne dedicassi una parte alla formazione pratica nelle sale raggi. Nel 1959 sono stato inviato in Libia per installare e avviare una serie di impianti per l’Inps libica. All’epoca, l’organizzazione del paese era molto carente, tant’è che, al mio arrivo, ho trovato gli impianti in strada perché non erano state ancora costruite le sale in cui installarli. Nella disperazione assoluta, trovai la lucidità per ordinare l’intervento di ventiquattro capomastri e ci mettemmo subito al lavoro. Un mese dopo, il 24 dicembre, mentre in Libia si festeggiava la ricorrenza della liberazione dall’occupazione coloniale italiana, avevamo finalmente concluso l’installazione dell’impianto. Per l’occasione invitai il re libico, Idris, nelle sale di radiologia e ricordo la sua grande emozione quando gli feci premere il pulsante d’accensione della macchina. Quell’immagine, fotografata e ripresa dalle telecamere, divenne il simbolo del progresso del paese.
La mia fortuna è incominciata quando, nel 1963, essendo l’unico vero tecnico di radiologia in Libia, fui chiamato con urgenza dal direttore dell’ospedale di Bengasi per riparare sei impianti radiologici di una ditta inglese. Concluso l’orario di lavoro, mi recavo nell’ospedale per rimettere in moto le apparecchiature guaste. Mi attenevo all’occorrenza senza calcolare le conseguenze del mio gesto, che consideravo un’opera di carità per salvare gli ammalati che potevano vivere solo grazie a quelle macchine. Ne riparai cinque su sei e fui convocato dal Governatore della Cirenaica, Hibraim Muntasser, che volle ringraziarmi personalmente, offrendomi una busta. Il contenuto della busta era tutt’altro che un souvenir, come avevo immaginato salutando il mio interlocutore. Quando aprii la busta e constatai che era piena di soldi, tornai dal Governatore declinando garbatamente l’offerta. Il Governatore volle allora lasciarmi il suo numero privato di telefono, manifestando la sua disponibilità per qualsiasi mia necessità. Non conoscevo le usanze del paese libico e tanto meno la loro lingua, pertanto imparai solo dopo che il mio gesto aveva prodotto per loro un debito di riconoscenza che prima o poi sarebbe stato saldato. Ero un bravo tecnico, ma non avevo ancora capito di essere anche un bravo venditore. Se ne accorse invece la ditta per cui lavoravo, che mi propose di cessare l’attività tecnica per dedicarmi a quella di vendita e m’inviò in Egitto, al Cairo. Qui incontrai un commerciante tedesco di diamanti, Hemil Henrich, che aveva diverse conoscenze nel settore ospedaliero egiziano. Grazie a lui, vendetti una tra le apparecchiature più complesse e innovative della nostra produzione alla più grande università del mondo arabo dell’epoca. Per uno strano caso, qualche giorno dopo, incontrai nell’albergo in cui soggiornavo il direttore dell’ospedale libico di Bengasi, che nel frattempo era diventato ministro della Sanità in Libia. Il suo collaboratore mi riferì che non era possibile rifiutare il dono del Governatore, ma ero giustificato in quanto straniero e aggiunse testualmente: “Il ministro ha un debito enorme con lei, ha indagato sul suo conto e ha scoperto che non è un imprenditore, come credeva, ma un dipendente. Il ministro ritiene che lei debba aprire una sua ditta. Deve andare alla direzione della sua azienda e riferire che il ministro della Sanità vuole che lei divenga imprenditore. Se la ditta rifiuterà, le sarà negato per sempre l’accesso in Libia”. Avevo già venduto alla sanità libica ben 58 impianti, che poi avevo montato e gestito io stesso, quindi ero in grado di aprire un’attività indipendente. Rientrato in Italia, riferii al direttore generale dell’azienda – che nel frattempo era stata acquisita dalla francese CGR, Compagnia Generale di Radiologia – il progetto di aprire la mia impresa, che fu accettato, a patto che continuassi a vendere i macchinari di radiologia per conto di CGR. Nacque così la IMS, inizialmente attiva nel settore delle forniture sanitarie di apparecchi chirurgici e di arredamento ospedaliero. Il ministro garantì in prima persona il mio operato, indicandomi come venditore privilegiato. Avevo 31 anni e correva l’anno 1965.
L’impresa riuscì e ottenni perfino una commessa per il rinnovo di tutti gli ospedali della Libia, arrivando a fatturare 8 miliardi di lire l’anno. Nel 1969 scoppiò la rivoluzione e circa sei mesi dopo Mu’ammar Gheddafi fece un tour negli ospedali per i quali intimò l’ordine di reperire subito dalla IMS tutte le attrezzature necessarie per la loro modernizzazione.
L’avventura della radiologia mi ha consentito di viaggiare in diversi paesi del mondo. Nel 1970, per esempio, mi trovavo in Brasile per un breve soggiorno: in pochi giorni avviai alleanze e incominciai a lavorare al marketing dell’azienda, confrontandomi con multinazionali già operanti nel paese, come Philips e Siemens. Le nostre apparecchiature erano migliori di quelle dei due colossi e costavano il 48 per cento in meno. Feci tradurre tutti i depliant della CGR in portoghese e allestii il salone del Copacabana Palace di Rio de Janeiro, in cui si sarebbe svolto il congresso latinoamericano del settore, con la nostra strumentazione radiologica. Grazie a quell’iniziativa, in soli tre giorni stipulai ben 17 contratti per la vendita degli impianti. Durante la serata di gala, proposi al presidente dell’azienda di licenziarmi per divenire rivenditore di CGR in Brasile, ma non mi accordò questa possibilità e il mattino seguente presentai le dimissioni. Incominciai allora a lavorare come tecnico per l’ONU con la produzione IMS e nel 1987 avviai la ricerca per la costruzione di apparecchiature per la mammografia. Dopo due anni di studi, producevamo e commercializzavamo mammografi analogici e poi i più innovativi digitali, facendo concorrenza ad altre aziende del settore.
Oggi siete gli unici al mondo a progettare, produrre e vendere le apparecchiature per la tomosintesi con tecnologia 3D, che permette di eseguire una lettura a strati dell’area senologica da analizzare con una perfezione quasi assoluta...
La nuova macchina si chiama Giotto Class ed è speciale anche per la mobilità che consente nello svolgimento della tomosintesi. La struttura inclinata dell’apparecchio permette al seno della donna di entrare quasi completamente nel campo radiografico, consentendo il rilassamento della muscolatura. Questo è molto importante nel caso ci fosse, per esempio, una lesione retro-mammaria, che la tensione dei pettorali potrebbe nascondere. Con Giotto Class è possibile anche fare la biopsia per aspirare completamente la lesione. Attualmente, è l’unico dispositivo al mondo 2 in 1, coperto da brevetto, che utilizza lo stesso rilevatore per mammografia e per biopsia con paziente in posizione prona o verticale.
In Italia abbiamo venduto circa 130 macchine e nel mondo 6.800. I principali acquirenti nel paese sono enti privati, mentre il settore pubblico ha ancora qualche difficoltà a fare investimenti di questo tipo. È un peccato, anche perché abbiamo costi meno elevati di altri con apparecchiature che ci rendono leader nel settore, di cui le donne italiane potrebbero avvalersi. Anche in ambito istituzionale ci sono donne che possono testimoniare la scoperta di un tumore al seno solo grazie all’utilizzo di Giotto. La mia vicenda mi ha fatto intendere che c’è un destino che si compie secondo logiche non immediatamente comprensibili, per questo ho imparato che se vogliamo pensare in modo lungimirante dobbiamo camminare da soli, ma se vogliamo andare lontano dobbiamo camminare insieme. L’Italia è un grande paese in cui operano grandi uomini che ciascun giorno inventano e costruiscono in solitudine, ma occorre che siano sostenuti dal loro paese, perché insieme possiamo fare una lunga strada.