LA QUESTIONE VERDIGLIONE E LA NEGAZIONE DEL DIRITTO

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Qualifiche dell'autore: 
avvocato, cifrematico, brainworker

Le norme che presiedono alle verifiche fiscali esigono che la Guardia di Finanza interloquisca e comunichi con chi è sottoposto a verifica. Eppure, il recente processo contro Armando Verdiglione è iniziato il 18 novembre 2008 con una verifica della Guardia di Finanza che era tutt’altro che una verifica fiscale: le guardie che hanno indagato nelle varie sedi delle società del Gruppo si sono rifiutate di comunicare in alcun modo con l’imprenditore.
Il 24 marzo 2009 c’è stata la “calata dei marescialli” nelle varie sedi, a Milano e in altre città: le persone erano “fortemente stimolate” a dare un nome a chi decideva. “Chi decideva? Decidevi tu, decideva lui?”, questo volevano sapere. Un atto di una violenza enorme. Subito dopo sono incominciate le intercettazioni telefoniche. Intanto, la Guardia di Finanza andava nelle banche dicendo che stavano indagando sulle società “di” Verdiglione. Questo ha comportato la chiusura, in una decina di giorni, di tutti i conti correnti delle società e di chi collaborava per gli aspetti finanziari. È chiaro che le intercettazioni telefoniche di quel periodo vertevano intorno alle difficoltà indescrivibili che intervenivano nei nostri dispositivi organizzativi: non riuscivamo a capire come mai le operazioni intraprese fino al giorno prima, con assoluta lealtà e con l’assistenza dei funzionari delle banche con cui lavoravamo, improvvisamente venissero impedite, fino alla chiusura di tutti i conti correnti.
Dopo le intercettazioni, la chiusura delle indagini, il rinvio a giudizio e l’inizio del dibattimento. Intanto, notiamo che la formulazione dell’accusa è la trascrizione del verbale della Guardia di Finanza, che è un organo di polizia. Eppure, il Pubblico Ministero è un magistrato che dovrebbe compiere una lettura di un documento redatto da un poliziotto, perché ha una formazione culturale differente. Invece, in questo processo, nessuna lettura è stata fatta e il rinvio a giudizio corrisponde alla trascrizione del verbale di polizia. Alla prima udienza gli avvocati hanno rilevato che la formulazione dell’accusa era vaga e inconsistente: l’obiezione è stata accolta dai giudici che hanno invitato l’accusa a precisare le imputazioni e questo ha comportato un anno di rinvio e la ripresentazione della stessa accusa con allegate alcune fatture. Quando è incominciato il dibattimento, abbiamo constatato che i testi dell’accusa erano solo due marescialli, poi sono intervenute altre figure minori che non hanno detto granché. Quando sono intervenuti i testi della difesa, tanto gli avvocati quanto noi abbiamo avuto la sensazione che non interessassero ai giudici, i quali, anzi, erano infastiditi dalle dichiarazioni sia della difesa sia degli imputati. I documenti presentati dagli imputati e dalla loro difesa non sono stati letti e, all’ultima udienza, la camera di consiglio non si è tenuta, perché il dispositivo, sei pagine, era stato redatto prima ed è stato letto dopo pochi minuti.
Due i cavalli di battaglia dell’accusa: il primo è che la struttura imprenditoriale non esiste, perché tutto è riconducibile a un dominus e questo dominus è Armando Verdiglione; corollario di ciò, è che se anche la struttura esistesse sarebbe falsa, sempre perché riconducibile a un dominus, come se la “riconducibilità”, termine quanto mai vago, fosse reato; e il secondo è che questo processo sarebbe la continuazione del processo che si è tenuto nel 1985. Una cosa assurda. Questo processo ha comportato danni incredibili. Innanzitutto, ha provocato il fallimento di molte società e la chiusura della villa San Carlo Borromeo, aggredita il 26 giugno 2015, con l’irruzione di due curatori fallimentari, che hanno fatto sgombrare immediatamente tutte le camere dell’hotel dagli ospiti e le abitazioni degli associati che risiedevano nella villa da oltre trent’anni. La villa è stata chiusa, con gravi danni per le strutture.
Armando Verdiglione, non da solo, sta lavorando con alcuni investitori per trovare la via per chiudere i fallimenti, effettuando i pagamenti richiesti, e riaprire la villa. Questa è una cosa importante: alcuni interlocutori si stanno organizzando per intervenire, perché l’intellettualità nell’impresa, che noi chiamiamo brainworking, è il grande apporto della cifrematica e di Verdiglione. Il brainworking è stato molto attaccato nel processo, perché è un bene immateriale, non afferrabile, non misurabile “a peso”, e quindi suscita scalpore, e anche disgusto: se non c’è l’apertura intellettuale, vige il principio secondo cui “tutto ciò che non so è male o comunque io lo respingo” e “tutto ciò che non so non esiste e se esiste è falso, perché io non lo conosco”. La verità è che in questo processo la falsificazione è stata compiuta dai magistrati: i contratti conclusi secondo il diritto civile sono stati ritenuti falsi, è stata negata la qualifica di gruppo alle società che hanno rapporti commerciali e finanziari tra loro e, soprattutto, negata l’inesistenza della frode fiscale distorcendo la normativa e la giurisprudenza tributaria. Gli istituti del diritto civile coinvolti in questo processo non sono stati presi in alcuna considerazione dai giudici. Come se gli istituti disciplinati dal codice civile non esistessero, come se il codice civile non esistesse, come se il diritto d’impresa, il diritto bancario, gli istituti del diritto civile non esistessero. Per me, che sono avvocato e ho una sensibilità differente rispetto a questi temi, è stata una sorpresa tremenda.
Il nostro programma sta procedendo e sicuramente giungerà alla riuscita. Anche il tribunale ha riconosciuto in un provvedimento che per lo stato sarebbe un problema enorme acquisire la villa San Carlo Borromeo, perché non avrebbero né i fondi, né la capacità, né le strutture per potersene occupare e per poterla valorizzare. L’impresa è intellettuale o non è. Questa è la scommessa dell’Europa ed è ciò che la cifrematica e il brainworking propongono da più di quarant’anni.
 
L’articolo di Elisabetta Costa è tratto dal dibattito La materia del Paradiso, ovvero la questione Verdiglione, Bologna, 3 marzo 2016.