IL BILANCIO COME SCRITTURA PER LA COMUNITÀ

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docente a contratto presso il Dipartimento di Economia Marco Biagi dell’Università di Mo- dena e Reggio Emilia, presidente di PRM (Professionisti Revisori Modena)

La città e la comunità sono costituite da infinite storie di imprese, storie di uomini e donne che lavorano per mettere a frutto il patrimonio d’ingegno, di scienza, di arte e di cultura che distinguono una comunità dall’altra. Costituita nel 2003, la PRM (Professionisti Revisori Modena) offre numerosi e qualificati servizi di controllo contabile e revisione legale e volontaria di bilancio alle imprese di diversi settori fra cui abbigliamento, produzione di ceramiche per l’edilizia, costruzioni civili e opere pubbliche, chimico, meccanico, alimentare, editoriale, bancario, informatico, cooperative e enti senza scopo di lucro. In che modo la scrittura del bilancio e la sua revisione danno un contributo all’impresa e alla comunità pragmatica, che si costituisce attraverso il fare, anziché basarsi su ideologie e pregiudizi?
La revisione del bilancio è un modo per valorizzare un’attività meritevole. Attraverso il bilancio, l’impresa dichiara la propria situazione patrimoniale e finanziaria e il risultato economico della propria attività. Il giudizio del revisore legale serve ad attestare se il bilancio è corretto, completo e veritiero. Il valore di tale giudizio per la comunità sta nel fatto che dà una tutela alla fede pubblica, perché i vari stakeholders possano avvalersene per le loro scelte economiche: il risparmiatore che compra azioni di una società quotata in borsa, l’investitore che decide di entrare in partecipazione nell’azienda, l’istituto di credito che decide di affidare l’azienda, il fornitore che decide di dare credito al suo cliente, ciascuno basa le proprie scelte economiche anche sui dati del documento bilancio che ha una sua credibilità perché è stato valutato da esperti revisori legali.
Purtroppo, in alcuni paesi, compresa l’Italia, non è ancora stato capito il valore aggiunto del giudizio del bilancio, che è strumento di informativa verso terzi. È il primo strumento, il più efficace e il più prezioso, per un imprenditore e per un’impresa, al di là dei messaggi pubblicitari di ogni tipo, che comunque occorrono, per comunicare ciò che un’azienda fa e come lo fa.
Considerando l’ampio ventaglio di settori di attività delle aziende vostre clienti, voi avete la possibilità di analizzare le tendenze del mercato, attraverso i dati di bilancio.
Certo, abbiamo una posizione privilegiata di osservatorio dell’economia all’interno delle comunità in cui operano i nostri clienti: i dati dei bilanci che controlliamo e verifichiamo non sono casuali, ma vengono forniti seguendo regole, leggi e principi contabili di informativa, quindi hanno una certa omogeneità e comparabilità, e possono essere la base per considerazioni successive. Si può constatare se i volumi di vendita crescono nel mercato nazionale, europeo o mondiale, se migliora o peggiora la marginalità della produzione, se aumenta o diminuisce l’occupazione. Sono dati che gli istituti preposti alle indagini oggi utilizzano, perché in Italia tutte le società iscritte al registro delle imprese hanno l’obbligo di rendere pubblici questi dati, insieme al nostro giudizio.
A proposito di tendenze, è stato ipotizzato che Industria 4.0 causerà la perdita di circa cinque milioni di posti di lavoro nel nostro paese.
È verosimile che la rivoluzione digitale possa cancellare cinque milioni di posti di lavoro perché le macchine sostituiranno gli uomini in molte attività. I politici dovrebbero governare questo passaggio dal vecchio al nuovo, anche stimando quanti nuovi posti di lavoro possono creare le nuove tecnologie. Se questa trasformazione è lasciata a se stessa, temo che possa prodursi una società senza più gli scambi, in cui ognuno fa ciò che sa fare, nel proprio piccolo, e poi lo utilizza. Forse, proprio ciò che avevano predetto alcune utopie in passato.
Quanto all’eventualità che la manifattura venga spazzata via dalle nuove tecnologie digitali, mi sembra piuttosto improbabile, anche se è quello che vorrebbero farci credere coloro i quali si sono arricchiti in modo smisurato con la new economy o la finanza. Non dimentichiamo che di Steve Jobs ce n’è stato solo uno, e così di Mark Zuckerberg e di Eric Schmidt. Così come sono pochi coloro che si sono arricchiti con la finanza, hanno saputo cogliere il momento giusto. Però, in una comunità, non uno o pochi, ma ciascuno deve avere l’opportunità di essere utile e di valorizzare la propria particolarità. E la politica deve gestire e regolamentare questi cambiamenti, altrimenti lascia il potere decisionale a chi ha saputo capire e utilizzare la finanza e la tecnologia.
Come nelle botteghe del rinascimento, ciascuno deve avere l’opportunità d’inventare, avvalendosi della mano, che non è senza cervello.
Purtroppo, veniamo da un lungo periodo in cui il lavoro della mano è stato svilito a vantaggio del lavoro intellettuale, come se si potessero scindere. Ma la mano e il cervello sono strettamente collegati: la mano è mossa dal cervello, ma la mano stimola il cervello. Se la mano deve fare un gesto, il cervello deve pensare come farlo e, se ripetuto, deve cercare di ottimizzarlo. Il lavoro intellettuale è stato spesso inteso come un’attività volta a semplificare, alleggerire e addirittura eliminare il lavoro manuale, ma, per fabbricare macchine che svolgono il lavoro manuale, il cervello ha dovuto seguire il lavoro della mano ed elaborarne i processi, i movimenti, la struttura, fino a esserne influenzato.
Oggi, forse, le opere degli artisti del Rinascimento possono essere riprodotte identiche attraverso le macchine: basta una stampante 3D per realizzare una bella scultura. Allora, potremmo chiederci: che ne è e che ne sarà della mano? Eppure, la tecnologia digitale vive di rendita, si nutre delle invenzioni che sono intervenute nelle attività della mano. Se non ci fosse stata la mano, non saremmo arrivati fin qui.