OGNI VITA È UNA STORIA

Qualifiche dell'autore: 
psicanalista, scrittore, ricercatore (New York)

Intervista di Anna Spadafora

Può dirci qualcosa della psicanalisi oggi negli Stati Uniti, a New York in particolare?

 

È un’ottima domanda, perché si riallaccia al tema del nostro congresso. Io vivo a New York dove ha sede la più importante associazione psicanalitica freudiana, L’“American Psychological Association”, fondata nel 1911. Ha dominato la scena americana per diversi decenni, fino a una ventina di anni fa. Ma oggi ha perso molto del suo potere, anche in seguito alla competizione che si è scatenata fra i vari gruppi e le connotazioni politiche della scena americana. Si basava su una stretta ortodossia freudiana, mentre nell’ambito della psicologia americana stavano intervenendo cambiamenti radicali, come quello della scuola relazionale, per esempio. Oggi, diverse posizioni ideologiche sono sorpassate e, avendo perso parte della loro identità, cercano di riacquistare terreno, tentando di rifarsi una nuova identità attraverso le neuroscienze. Uno sviluppo in questa direzione si è avuto a New York con l’istituzione di una neuropsicanalisi generale, anche a partire dagli studi delle lesioni organiche del cervello. Le vecchie malattie organiche del cervello oggi vengono resuscitate nel tentativo di dare criteri scientifici alla psicanalisi. Freud ha scritto il Progetto per una psicologia scientifica che non ha mai pubblicato. Io ho scritto un saggio su questo testo, per dimostrare che non ha niente a che fare con la neurologia e molto a che fare con la psicologia. Verdiglione ha scritto che il Progetto è un saggio molto importante. Anche se è stato pubblicato soltanto nel 1950, segna la transizione di Freud dalla neurologia alla psicanalisi e poi alla metapsicologia. Il capitolo 7 è una continuazione del Progetto. Ma ritorniamo al “modello neurologico”. Il “modello neurologico” oggi è considerato importante per la psicanalisi e questo per me è assurdo, perché la psicanalisi non ha nulla a che fare con il cervello, nulla a che fare con la localizzazione, né con le funzioni cerebrali. L’apparato psichico freudiano non è localizzabile. Ma, come ho già detto, nella crisi d’identità che si registra nella psicanalisi, attaccata dal sistema sanitario americano perché non può dimostrare la propria efficacia, si finisce per cedere ai ricatti: “Se volete che la psicanalisi sia scientifica deve diventare una scienza neurologica o una combinazione di neurologia e psicanalisi”, cosa che non mi piace affatto e non mi trova per nulla d’accordo.

 

Qual è il contributo delle sue ricerche sul testo di Schreber per la pratica di ciascuno?

 

Mi piace molto questa domanda, perché ormai per me Schreber è diventato un progetto di vita. La prima volta che lo citai in un mio scritto era il 1982 e ora sono vent’anni che ci lavoro, anche se ho iniziato intensamente solo dal 1987. È una completa rivalutazione dell’interpretazione di Schreber, basata sulla ricerca storica della sua vita e della sua epoca. Il sottotitolo del libro è L’assassinio dell’anima in psichiatria e il titolo In difesa di Schreber, ma adesso che sto preparando l’edizione tedesca il sottotitolo è diventato il titolo: L’assassinio dell’anima in psichiatria. È una rivalutazione, una difesa di Schreber, ma anche una storia culturale della psichiatria e della psicanalisi, con particolare riferimento al caso di Schreber. Un vero e proprio libro di testo. Vorrei che ciascuno potesse imparare da questo caso per la propria pratica, e la cosa più importante che può insegnarci è come ascoltare l’analizzante, perché non è importante chi interpreta ma l’analizzante stesso, ciò che egli dice e l’assoluta sacralità del suo testo. Chi interpreta può dare solo un contributo, ma il principale interprete è l’analizzante stesso. Se leggiamo il testo di Schreber con attenzione, vediamo che egli interpreta ciò che gli accade, e che non aveva nulla a che fare con l’omosessualità, ma molto a che fare con il concetto dell’androgino – come nota Verdiglione – e il significato filosofico e psicologico che tale concetto ha per lui, nel suo contesto personale e filosofico, perché Schreber era un filosofo. Penso che le lezioni di Schreber siano varie, una psicologica, una filosofica e una per la psicanalisi. Se partiamo dal presupposto che una psicanalisi è lo studio della biografia dell’analizzante, in cui però lasciamo che sia egli stesso a correggere i propri errori per arrivare al “vero quadro”, il mio tentativo di arrivare al “vero quadro” di Schreber è per me anche un esempio di come trovare la vera storia di un analizzante. Questo è uno dei significati…

 

Ma questo contribuisce anche alla salute?

 

Se partiamo da un approccio narrativo, secondo cui ciascuna vita è una storia, allora noi siamo alla ricerca della vera storia di quella vita e questo di per sé è già un grande valore.