LE MALATTIE REUMATICHE: QUALI SONO E COME CURARLE

Qualifiche dell'autore: 
medico specialista in Reumatologia, Dirigente medico, U.O.C. Reumatologia, Azienda Ospedaliera Integrata di Verona, Policlinico G.B. Rossi

Qual è l’incidenza delle malattie reumatiche oggi in Italia? Se nell’ambito delle malattie reumatiche includiamo l’artrosi, l’incidenza è estremamente elevata; non c’è persona, infatti, che in età avanzata non presenti qualche dolore dovuto all’artrosi. Se, invece, ci limitiamo alle malattie reumatiche infiammatorie – come l’artrite reumatoide, l’artrite psoriasica, la spondilite anchilosante o le artriti reattive – l’incidenza è intorno al 2-4 per cento della popolazione.
Negli ultimi anni la percezione delle malattie reumatiche è aumentata: mentre in passato erano considerate di serie B e si pensava di dovere rassegnarsi ai “dolori” come a un destino ineluttabile, recentemente è aumentata la volontà di stare bene, soprattutto da parte delle donne, che sono più colpite da queste malattie.
Tuttavia, può accadere, per esempio, che una malattia reumatica sia scambiata per artrosi? In effetti, la reumatologia è una scienza abbastanza giovane e c’è ancora tanta disinformazione. Fino a pochi anni fa, l’invio al reumatologo avveniva con un ritardo tale per cui poi era difficile, se non impossibile, scongiurare danni di una malattia come, per esempio, l’artrite reumatoide, che oggi, invece, se diagnosticata e trattata precocemente, consente risposte terapeutiche molto valide. Tra le malattie reumatiche quella che viene diagnosticata con maggior ritardo è la spondilite anchilosante, che colpisce la colonna ed è scambiata spesso, da un occhio non esperto, per una semplice lombalgia. Questo ritardo favorisce il progredire della malattia che può arrivare fino al blocco completo della colonna.
Tra le malattie reumatiche autoimmuni, la più nota è il Lupus Eritematosus Sistemico (LES), una forma di connettivite.
Può citarne altre? Oltre alle malattie reumatiche infiammatorie articolari, di cui parlavo prima, c’è un gruppo abbastanza composito di malattie reumatiche, chiamate connettiviti, che hanno alla base l’autoimmunità, la quale non necessariamente sfocia in una malattia: gli anticorpi antinucleo, i markers delle connettiviti, possono rimanere inattivi o provocare una serie di patologie che vanno dalla cosiddetta connettivite indifferenziata, con sintomi abbastanza gestibili e limitati – secchezza degli occhi e della bocca, poliartralgia, artrite e, qualche volta, il fenomeno di Raynaud – a patologie più definite, come la sindrome di Sjogren, la sclerodermia oppure il lupus, che può colpire diversi organi come, per esempio, i polmoni e i reni.
Quali sono i campanelli d’allarme che devono spingere a indagare ulteriormente quando intervengono dolori articolari? Il dolore articolare può dipendere da molte cause, anche banali e limitate nel tempo. Vi sono alcune particolarità che devono suscitare allarme e indurre il paziente a sentire il reumatologo: il dolore presente anche a riposo, associato a tumefazione articolare, che è particolarmente accentuato all’inizio del movimento, ma si riduce dopo l’esercizio; la presenza di rigidità prolungata (almeno 30 minuti), presente soprattutto al mattino o comunque dopo che l’arto non è stato utilizzato per parecchio tempo; la simmetria del coinvolgimento articolare (per esempio, entrambe le mani o entrambi i polsi); l’associazione con sintomi sistemici quali febbricola e stanchezza e l’appartenenza al sesso femminile.
In alcuni casi, i dolori articolari, magari senza tumefazione, associati a manifestazioni quali, ad esempio, il fenomeno di Raynaud, possono far pensare a una connettivite. Un ulteriore campanello di allarme potrebbe essere l’inizio di dolori articolari in pazienti affetti da psoriasi che può caratterizzare un’artrite particolare, quella psoriasica appunto. L’attenzione a questi campanelli d’allarme consente di distinguere tra un dolore artrosico, benigno, e un dolore infiammatorio, più aggressivo e con una prognosi peggiore, che deve essere trattato tempestivamente.
Qualche anno fa, l’artrite reumatoide e il lupus destavano molta paura. Che cosa è cambiato nella possibilità di curare queste malattie rare? È cambiato il mondo: quando mi sono laureato, trent’anni fa, vedevo ancora persone con l’artrite reumatoide in carrozzina – perché in pochi anni le articolazioni venivano erose, diventavano inutilizzabili e il paziente non riusciva più a muoversi – e persone con il lupus distrutte dal cortisone, perché era l’unica terapia disponibile.
Negli anni novanta c’è stata la prima rivoluzione: sono stati messi a disposizione dei reumatologi farmaci mutuati dalla terapia di altre patologie, soprattutto ematologiche. E il farmaco che ha per primo cambiato la vita del reumatologo, ma soprattutto dei pazienti, è stato il methotrexate.
La seconda rivoluzione è intervenuta tra la fine degli anni novanta e il 2000, quando è iniziato l’uso dei cosiddetti farmaci biologici, molecole in grado di agire bloccando alcune vie dell’infiammazione, che hanno quindi un’attività a monte della patogenesi della malattia. Inoltre, questi farmaci sono stati studiati per l’artrite reumatoide, per l’artrite psoriasica e per il lupus in modo specifico, anziché essere presi a prestito da altre discipline. Quindi, dall’inizio del 2000 questi preparati hanno cambiato la storia naturale della malattia e ci hanno consentito di scongiurare il pericolo d’invalidità delle persone colpite. Non solo, oggi riusciamo a mandare la malattia in remissione, facendo sì che non causi danni per il paziente in futuro.
Allora questi preparati riescono a tenere sotto controllo l’infiammazione modulando la risposta immunitaria? Certo, pur non conoscendo ancora le cause di queste malattie, riusciamo, con questi farmaci, ad agire su particolari proteine che innescano e amplificano il processo infiammatorio, inibendo a monte quella cascata di eventi che porta alla produzione di sostanze che danneggiano le articolazioni o i vari organi. Si riesce in tale maniera a evitare l’invalidità, mantenendo il paziente in salute.