L’ERITREA, L’ITALIA E L’IMMIGRAZIONISMO SELVAGGIO

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scrittore e drammaturgo eritreo

Viviamo in un’epoca in cui, in Italia, in Eritrea e altrove, sono premiati troppi apologeti dei diritti umani e troppi paladini dell’umanitarismo, tra cui soprattutto i giornalisti favorevoli alla causa dell’immigrazione selvaggia. Mi chiedo cosa abbiano mai fatto questi giornalisti per meritarsi l’appellativo di “colombe per la pace”. Hanno forse risolto qualche conflitto mondiale? No, hanno semplicemente svolto il loro lavoro di giornalisti, anche male, perché hanno spesso scritto per sentito dire.
Di sicuro, quei premi umanitari hanno contribuito a dar loro più credibilità agli occhi dell’opinione pubblica per poter vendere meglio il pacchetto immigrazione.
In quattro anni di attivismo, non ho fatto altro che raccontare la verità su quanto accade in Eritrea. Alcuni miei concittadini, ovviamente in collaborazione con l’Etiopia, facevano parte della rete di trafficanti e, armati di telefoni satellitari, intendevano portare in Europa tutta la popolazione eritrea.
Molti erano trasportati in pullman verso il confine con il Sudan e da lì avrebbero dovuto proseguire a piedi attraverso il deserto della Libia, un tragitto a ostacoli formato da trafficanti di esseri umani, beduini sequestratori, guide corrotte e profughi dalle prigioni libiche. L’ultima prova sarebbe stata quella di sopravvivere a un incidente in mare.
Ma perché è stato deciso di fare loro intraprendere questo percorso pericoloso? Perché nel frattempo è stato allestito un lavoro mediatico per convincere l’opinione pubblica internazionale della bontà di questa pratica. Infatti, gli stessi italiani non hanno eretto alcun muro per impedire lo sbarco di oltre seicentomila persone.
Ma quanti ne sono morti, però! Le tragedie delle carrette del mare sono diventate il pane quotidiano dei giornalisti umanitari, i quali hanno fatto il loro gioco mostrandoci in diretta televisiva i morti annegati, scenografia perfetta per la propaganda immigrazionista.
Tutte quelle bare allineate trasmesse dai Tg hanno giustificato Mare Nostrum e, successivamente, hanno permesso alle Ong di diventare assolute protagoniste: per anni hanno operato indisturbate nel Mediterraneo, fino a crearsi un vero e proprio monopolio per accaparrarsi finanziamenti anche da fondazioni d’oltreoceano.
Da oltre un decennio, l’immigrazione via mare è diventata il tema principale delle televisioni e dei giornali, che se ne occupano senza sosta e con animosità. Invece, dovremmo portare l’immigrazione nella legalità una volta per tutte. Le recenti iniziative del governo italiano sono state molto efficaci.
Da quando le Ong sono state allontanate dal Mediterraneo i morti sono diminuiti. Ma chiudere i porti e sollecitare la guardia costiera libica affinché controlli le sue coste non significa aver risolto il problema dell’immigrazione alla radice. Bisognerebbe occuparsi di coloro che sono stati ingannati dagli attivisti dei diritti umani e sfruttati dai trafficanti, e che ancora sono bloccati in Libia. Bisognerebbe dialogare con le autorità libiche così da rimandarli tutti a casa propria. Non sarà facile convincere i governi africani, ma l’Italia ha tutte le carte in regole per provarci.
In questi anni il rapporto tra Eritrea e Italia è stato pressoché inesistente, nonostante i nostri legami storici. L’Italia faceva affari con l’Etiopia anche quando quest’ultima ci bombardava.
Noi eritrei ci siamo sentiti traditi. Eppure, tra i due popoli non c’è mai stata ostilità. Nonostante il colonialismo e le leggi razziali, gli eritrei hanno sempre voluto bene agli italiani. E, a tutt’oggi, questo sentimento è ancora vivo, mentre negli ultimi anni, in Italia, il rapporto umano tra eritrei e italiani si era ridotto a quello tra rifugiati e immigrazionisti che lucravano sull’accoglienza.
Ora la situazione in Eritrea è cambiata.
L’Etiopia ha finalmente accettato di rispettare il verdetto dell’Onu sui confini, deciso nel 2002, e da giugno si respira un’aria di pace in tutto il Corno d’Africa. Presto decadrà la principale condizione dei nostri richiedenti asilo, che era il servizio militare permanente di massa, poiché è venuta meno la minaccia di aggressione militare etiopica.
Il 14 novembre 2018, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito per decidere l’annullamento delle sanzioni all’Eritrea, comminatele nel 2009 e nel 2011; sanzioni che hanno prostrato l’economia del paese, spingendo alla fuga i giovani alla ricerca di migliori opportunità per il loro futuro.
A maggior ragione, d’ora in avanti, non ci saranno più rifugiati eritrei.
Semmai, si lavorerà a un progetto comune per un loro rientro volontario.
Ora c’è la speranza di vedere lavorare i nostri due paesi fianco a fianco per costruire un rapporto paritario e rinsaldare i legami speciali che la storia ci ha lasciato in eredità. A dimostrazione del rispetto che noi eritrei nutriamo per l’Italia vorrei ricordare gli sforzi compiuti negli ultimi sedici anni per candidare a patrimonio dell’Unesco la città di Asmara, la piccola Roma, che proprio nel 2017 è stata riconosciuta patrimonio dell’umanità. Così facendo, sono stati omaggiati l’ingegno e la capacità degli architetti e degli ingegneri italiani, che hanno costruito un gioiello di città, unico in tutta l’Africa.