COSTRUIAMO PER DARE UN FUTURO ALLE NUOVE GENERAZIONI

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vice presidente di Fratelli Cinotti Srl, Gaggio Montano (BO) e Assessore allo Sviluppo Economico e alle Pari Opportunità, Alto Reno Terme (BO)

Nel cuore dell’Appennino bolognese, da quasi sessant’anni le Officine Meccaniche Fratelli Cinotti producono alberi di trasmissione impiegati in diversi ambiti industriali, dalle macchine agricole alle macchine movimento terra, dall’automotive alla nautica. La vostra azienda, che si estende su una superficie di 16.000 metri quadri, ma che è compresa in un’area di 46.500 metri quadri, è diventata ormai un riferimento per alcune fra le più importanti case trattoristiche del mondo.
Quando è incominciata la sua avventura imprenditoriale? Sono esattamente quarant’anni che lavoro nell’azienda di famiglia, fondata da mio padre e dallo zio, Stefano e Livio Cinotti, il 10 gennaio 1961. I due fratelli incominciarono l’attività meccanica in un piccolo locale, in cui accomodavano alcuni tipi di attrezzature agricole. Papà e lo zio avevano imparato il mestiere di tornitori nelle officine della DEMM, Daldi e Matteucci Milano, di Porretta Terme. Mio fratello Adolfo era entrato in azienda a 13 anni, per lavorare durante la stagione estiva e dopo la scuola. Man mano aveva affiancato il papà e lo zio.
All’epoca, le lavorazioni di tornitura e i trattamenti termici erano prevalenti, ma poi ci siamo specializzati nella costruzione di alberi di trasmissione per macchine agricole.
Lei è nata quando è stata fondata la Fratelli Cinotti. Ricorda qualche aneddoto che raccontava il papà? Vedevo poco mio padre, perché era spesso impegnato in azienda e non aveva grandi svaghi oltre al suo lavoro, ma si concedeva soltanto la mezza giornata della domenica per dedicarla alla famiglia. Aveva 73 anni quando ci ha lasciati, poco prima ha chiamato al capezzale me e mio fratello e si è raccomandato che avessimo cura dell’azienda. Non dimenticherò mai quel momento, lui teneva veramente all’azienda che aveva contribuito a costruire, e, se per un verso questa sua dedizione ci ha reso orgogliosi di nostro padre, per l’altro attenersi a quel patto è per noi un impegno notevole.
Oggi, alla guida dell’azienda siamo io, mia sorella Raffaella e mia cugina Giovanna Cinotti. La Fratelli Cinotti è fornitore di tutte le più importanti case trattoristiche, italiane ed estere, e serviamo sei paesi come Germania, Francia, Olanda, Danimarca, Ungheria e Repubblica Ceca. Il nostro mercato di riferimento è l’Europa per quanto riguarda il primo montaggio, ma vendiamo anche ricambi alle case trattoristiche europee e a quelle d’oltreoceano, perché è necessario assicurare la continuità del servizio quando un componente è andato fuori produzione.
La nostra ampia specializzazione, infatti, ci consente di fornire alberi di trasmissione per macchine agricole sia di piccola sia di grande potenza, producendo componenti per alberi con lunghezze che vanno dai 70 millimetri ai 2,5 metri e dai 15 millimetri agli 80 di diametro.
Cosa implica per una donna che opera nel settore meccanico attenersi al patto di riuscita con il padre? Lavorare nel settore della meccanica è più difficile per una donna rispetto a un uomo, ancora oggi. Quando sono entrata a far parte della squadra avevo diciannove anni e qualche nozione di carattere amministrativo, di meccanica invece non sapevo niente.
Quindi, ho incominciato a leggere le brochure tecniche che ricevevamo in azienda, imparando man mano le composizioni chimiche degli acciai o i trattamenti termici effettuati sui nostri componenti. Poi, ho incominciato a industriarmi traendo profitto dai suggerimenti di mio padre e dello zio, e, pur non avendo frequentato le scuole tecniche, ho acquisito le conoscenze necessarie anche per il disegno meccanico. Ho imparato il mestiere in questo modo. Inoltre, all’inizio ho avuto il supporto di mio zio e poi quello di mio fratello, quando dovevo incontrare i clienti. Adolfo seguiva la produzione, mentre io curavo l’aspetto commerciale, andando a trovare i clienti e seguendo la programmazione degli ordini. Quando poi mio fratello ci ha lasciati, nel 2010, ho ancora dovuto dimostrare di avere competenze tecniche nell’incontro con i committenti, perché una donna imprenditrice era ancora intesa come un limite per l’azienda, dal momento che di solito le donne sono impiegate come segretarie.
Oggi l’azienda non offre soltanto l’occasione di diventare bravi periti o bravi meccanici, ma anche uomini e donne che danno un contributo alla comunità in cui vivono… Noi abbiamo 36 collaboratori su 5 mila metri quadri, tra i quali molti sono venuti a lavorare in azienda all’età di 16, 17 anni e proseguono tuttora perché hanno trovato un modo di vivere, che non è riducibile soltanto al modo per guadagnare. La gestione familiare contribuisce a rendere l’ambiente di lavoro quasi come una seconda famiglia per ciascun collaboratore, che per noi non è un numero della produzione, come può accadere invece nelle multinazionali.
In questo numero del giornale apriamo il dibattito intorno al tema della necessità del superfluo. Ciò che viene inteso come superfluo può divenire una nuova opportunità.
Quest’apertura ha contribuito alla fortuna di tante aziende… A tale proposito le posso raccontare un aneddoto. Quando eravamo nella vecchia sede, circa vent’anni fa, abbiamo avuto l’occasione di formulare un’offerta a una multinazionale tedesca.
A seguito della ricezione di un nostro catalogo, che avevamo inviato quasi per caso, i dirigenti della tedesca ci chiesero di formulare un’offerta per la produzione di alcuni componenti per linee di montaggio che stavano dismettendo. La richiesta era scritta in tedesco, nemmeno in inglese. A quel tempo la multinazionale aveva come fornitore la DEMM, ma contestava la qualità di quelle produzioni, che ora scartava e rispediva al produttore perché non erano conformi alle caratteristiche richieste. Allora, papà, lo zio e mio fratello arrivarono alla conclusione che non sarebbe stato produttivo lavorare per la multinazionale, che sicuramente avrebbe restituito i componenti da noi prodotti. Inoltre, le dimensioni della nostra impresa erano tali che non avevamo nemmeno l’interprete di tedesco per trattare con l’impresa teutonica, perciò sembrava una partita persa già in partenza. Allora, ho subito suggerito di presentare una nostra proposta commerciale e abbiamo trovato anche un venditore che parlava il tedesco, avviando così gli accordi con la multinazionale.
Da quel momento non abbiamo mai smesso di lavorare per la committente tedesca e poi abbiamo incominciato a collaborare anche con altre aziende estere. Abbiamo rischiato, ma il rischio è imprescindibile per l’impresa.
E tutto questo è accaduto grazie a un catalogo spedito per caso. Oggi possiamo dire che grazie all’invio del nostro catalogo che poteva sembrare superfluo, abbiamo avuto la fortuna d’incontrare un’azienda tedesca che ha contribuito a trasformare la nostra organizzazione in modo notevole, tale da rispettare la puntualità dei tempi di consegna e effettuare un costante controllo della qualità dei componenti forniti, compreso quello delle nuove normative per i collaudi. Adesso, però, comunichiamo in inglese con la multinazionale, anche se i rapporti di non conformità arrivano esclusivamente in tedesco.
Qual è la cosa che ritiene indispensabile nel lavoro che svolge? Noi abbiamo clienti storici, che non ci considerano soltanto fornitori, ma anche partner, ma non nel senso che spesso viene dato al termine, spesso usato in maniera impropria. Se un nostro cliente ha bisogno di qualche cosa che non era programmato, noi siamo in grado d’intervenire, garantendo una disponibilità in termini di flessibilità del lavoro, perché ci sentiamo responsabili della riuscita di quell’azienda e questo approccio è molto apprezzato. Ecco perché sono nati anche rapporti di amicizia. La collaborazione con il cliente non è quindi basata soltanto sul prezzo, contano molto anche altre componenti, fra cui il servizio e la tempistica con cui noi rispondiamo alle richieste del cliente.
La nostra maggiore soddisfazione, infatti, non è avere raggiunto un buon profitto, ma vedere l’azienda crescere e trasformarsi con nuovi investimenti, è constatare la professionalità delle persone che lavorano con noi e scommettere ancora sull’avvenire dell’azienda oltre il nostro singolo contributo. Nessuno può costruire senza l’apporto di altri, è soltanto per questa via che possiamo fare qualcosa di grande. La ricompensa più importante per un imprenditore è di avere contribuito a costruire qualcosa nella vita che possa garantire un futuro alle nuove generazioni.
Cosa auspica per il rilancio dell’Appennino bolognese? Nella nostra area ci sono eccellenze mondiali che non sono conosciute e valorizzate come meriterebbero e ci sono imprenditori ricchi d’ingegno e d’intelligenza, che lavorano con costanza e hanno validi collaboratori.
Questi imprenditori incontrano tante difficoltà, anche a causa di infrastrutture carenti o obsolete rispetto ai tempi veloci dell’industria. Noi abbiamo trovato molte complicazioni per trasferire l’azienda, a causa della conformazione montuosa e collinare del terreno, quindi poco adatta alla costruzione di ampi edifici. Ecco perché abbiamo cercato nuovi stabilimenti in cui insediarci, rivolgendo il nostro investimento all’acquisto dell’ex stabilimento Saeco di Gaggio Montano.
Se non avessimo trovato questa struttura, avremmo dovuto trasferire l’azienda altrove oppure saremmo stati costretti a venderla. Ma questo non era nel patto con mio padre e quindi abbiamo dovuto industriarci ancora una volta. Il nostro territorio è ricco di uomini e donne che hanno un grande spirito costruttivo e noi oggi siamo in prima linea per rilanciare il secondo rinascimento dell’Appennino.