IL VIAGGIO DI FALCONE A MOSCA

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giornalista, scrittore, ex corrispondente da Mosca, Varsavia e altri paesi dell’Est, presidente dell’Associazione Amici del Museo Ermitage (Italia)

Quando ho incominciato a scrivere il libro il viaggio di Falcone a Mosca (Mondadori) insieme a Valentin Stepankov, egli sosteneva che l’attentato a Giovanni Falcone, un attentato così devastante, non poteva essere stato organizzato soltanto dalla mafia: doveva esserci il coinvolgimento di forze oscure, perché fino a quel momento la mafia non era mai stata capace di attuare un’azione di tali dimensioni e, secondo esperti sovietici, era stato usato lo stesso tipo di esplosivo utilizzato dall’esercito.
Inizialmente accolsi questa ipotesi con diffidenza, ma poi, discutendone, mi venne il dubbio: l’attentato di Capaci aveva rappresentato una svolta incredibile, in un periodo storico molto importante, che seguiva alla caduta del comunismo. Era avvenuto quattro giorni prima della data in cui Falcone sarebbe dovuto andare in Russia per incontrare Stepankov per un secondo colloquio. Tutti pensavano che Falcone si occupasse dei finanziamenti illeciti provenienti dall’Unione Sovietica, in realtà era stato incaricato da Francesco Cossiga d’indagare sulla Gladio rossa.
Stepankov mi ha riferito che quella era la prima volta che sentiva parlare della Gladio rossa. Lui, che ha sempre avuto un’ammirazione straordinaria per Falcone, è stato il magistrato più giovane della storia dell’Unione Sovietica, a poco più di cinquant’anni era già procuratore generale, prima dell’Urss e poi della nuova Russia; per questo vedeva, per la prima volta, con una mentalità diversa, la possibilità di collaborare con la giustizia italiana, perché riteneva che fosse di vitale importanza anche per la Russia quello che Falcone stava cercando. Gli interessi si sono poi congiunti, perché entrambi avevano grandi progetti per i rispettivi paesi. Quando hanno incominciato a collaborare, hanno tentato di seguire i vari rivoli dei rapporti tra mafia e politica, sia per la Gladio rossa sia per i finanziamenti che si sono succeduti in varie epoche.
Occorre dire che lo stesso Stepankov, insieme al suo assistente Aristov, mi hanno aiutato fornendo documenti essenziali per il libro Oro da Mosca che abbiamo scritto con Valerio Riva.
Stepankov voleva accertare il flusso dei soldi sovietici arrivato in Italia e soprattutto se fossero arrivati a chi sarebbero dovuti arrivare. Poi voleva verificare dove fossero finite le immense somme di denaro che erano state depositate all’estero dal KGB per incarichi speciali. Infatti, quando è crollata l’Unione Sovietica, il KGB è stato rinnovato completamente, ma in molte capitali straniere restavano le sue enormi giacenze. Stepankov voleva anche controllare quali erano i rapporti tra le società miste, in quanto una delle innovazioni di Gorbaciov prima della caduta del comunismo era stata quella di cominciare a finanziare i vari partiti occidentali ricorrendo all’espediente delle società miste.
Quando c’è stato lo scandalo della vicenda di Salvini per i presunti soldi dalla Russia, ho visto il documento e ho capito subito che era una copia di quelli che facevano i servizi segreti sovietici per finanziare ai tempi, non la Lega, ma il Pci. Quindi tra coloro che hanno organizzato quella vicenda c’erano personaggi appartenenti all’ex Pci. C’è un documento pubblicato nel libro Oro da Mosca che è molto simile, se non identico, a quello prodotto nel caso Lega: si riferiva anch’esso a una fornitura di petrolio che avrebbe permesso il guadagno di una percentuale di quattro milioni di dollari, che sarebbero poi servita per andare a finanziare il Pci. Questo era lo scopo di Stepankov in Italia, mentre quello di Falcone, secondo quanto raccontato da Stepankov, era non solo di andare a scoprire i finanziamenti al Pci, ma anche le relazioni con il terrorismo, la Gladio rossa e l’estrema sinistra in Italia. Questo perché, come riportato dal libro, hanno scoperto che nella sede del Comitato Centrale del Pcus, nella Piazza Vecchia di Mosca, c’erano quattordici stanze, che formavano l’ufficio più segreto, il 514, dove realizzavano passaporti falsi e parrucche, dove si recavano delegazioni, anche del Pci, per studiare quelle che chiamavano lotta patriottica e lotta partigiana e dove venivano gestite basi come, per esempio, quelle in Italia. L’Unione Sovietica, nel momento più drammatico della guerra fredda, aveva basi soprattutto sull’Appennino. Qualche anno fa, un interessante articolo su “L’Europeo” parlava di una serie di basi segrete, con radio sofisticatissime ed esplosivi, che cambiavano spesso sede: l’ultima volta furono spostate dopo l’avvento di Berlinguer, quando è iniziata l’epoca degli attentati. Cambiarono sede, ma restarono nell’Appennino Tosco- Emiliano. Renato Risaliti, studioso dell’Urss di area Pci, in un’intervista confermò l’esistenza di queste basi, dicendo che erano state organizzate per far fronte a un eventualmente colpo di stato manovrato dall’America.
L’incontro con Falcone, che sarebbe dovuto avvenire a Mosca, aveva un’importanza fondamentale e, quando intervenne l’attentato, Stepankov mi chiamò e mi disse che difficilmente le indagini sarebbero potute proseguire. Fu costretto a rinunciare un anno dopo, perché, quando ci fu l’attacco alla Casa Bianca e il parlamento russo era stato occupato in un contro-colpo di stato dagli oppositori di Boris Eltsin, egli si rifiutò di firmare l’intervento dell’esercito contro la Duma, Per questo motivo è stato punito e destituito dall’incarico di procuratore generale ai vertici della magistratura russa. Stepankov, che ora ha uno studio di consulenza legale, mi riferì che, al posto di Falcone, andarono in Russia altri collaboratori di Roma, con cui ebbe un incontro molto cordiale, ma l’indagine non proseguì. Immediatamente terminò tutta la vicenda.
In questo momento, con Putin, non è più possibile avere accesso a questi e altri documenti, anche per gli stessi russi, perché si tratta di eventi che appartengono a un periodo storico considerato superato e chi cerca di fare luce sui crimini del comunismo viene bloccato. Questo non accade solo in Russia: in Italia nei vari documentari sulla Rivoluzione d’ottobre trapela una nostalgia del comunismo.
Anche la Commissione Mitrokhin è stata chiusa senza risultati. Io feci venire in Italia per un’audizione in commissione un’importante spia sovietica, Leonid Kolosov, uno dei capi del KGB in Italia per anni. Un libro di sue memorie racconta il suo operato nel fornire direttamente a Eugenio Scalfari informazioni sul caso SIFAR. Tuttavia oggi mi interessa far presente come, in altri due libri incentrati sulla sua permanenza in Italia come inviato della “Izvestija”, egli si vantasse di avere avuto un rapporto privilegiato con tutti i mafiosi siciliani e di conoscerli alla perfezione. Interi capitoli raccontano come li incontrava, parlava con loro del caso Mattei e tanto altro. Ho proposto di tradurre e pubblicare questi libri, ma nessun editore ha accolto la proposta.
Per esempio, in questi libri viene pubblicata una foto della tessera di giornalista di Mauro De Mauro, eliminato il 16 settembre 1970 perché sapeva troppo, che riporta la scritta in russo: “tessera da giornalista dell’agente-compagno Leskov”, il suo pseudonimo. Questa è la versione di una famosa spia che è stata ascoltata dalla Commissione Mitrokhin, perciò è riconosciuta come di grande valore e inserita in un libro stampato in migliaia di copie, ma a nessuno è venuto in mente di verificarne la veridicità. La tendenza è sempre stata quella di ignorare e di nascondere tutto. Falcone era interessato a queste vicende perché era a conoscenza dei legami tra la mafia e i servizi segreti sovietici e sapeva anche che, tramite questi legami, c’era una collaborazione tra una forma di terrorismo rosso e la mafia.
Sempre per la Mitrokhin, ero andato due volte in America a intervistare un grande personaggio, Oleg Kalugin, il numero due del KGB, poi fuggito negli Stati Uniti, che aveva rilasciato importanti dichiarazioni, in seguito secretate, e che non riesco più a ritrovare. Mi propose anche di fornirmi particolari sull’assassinio di Moro: non aveva seguito l’affare personalmente perché lavorava in un altro settore, ma era convinto che Moro fosse stato tradito da uno dei suoi collaboratori. Io ho riportato queste dichiarazioni, ma si è fermato tutto.
Mi avevano chiesto di collaborare con la Mitrokhin per compiere alcune verifiche, perché nelle 240 schede della commissione erano inseriti molti giornalisti italiani. Il mio compito era di verificare, tra l’altro, se le testimonianze corrispondessero, anche per capire se c’era chi facesse il doppio gioco. Ho svolto un lavoro molto ampio, ho redatto un rapporto lunghissimo, apprezzato da Enzo Fragalà, che nel 2010 fu ucciso. Al termine dei lavori della commissione chiesi di potere tornare in possesso di questo rapporto, ma mi dissero che era sparito. Quindi in Italia non si riesce a fare luce sui misteri perché non si vuole sapere come sono andate le cose, non perché non si possa. Non so quale sia la ragione, anche perché sono trascorsi tanti anni. Anche la Cia ogni tanto apre gli archivi, mentre ancora oggi gli storici italiani non hanno niente in mano.
La cosa assurda è che io ho una raccolta di libri di ex agenti del KGB, personaggi di primo piano, in cui è inutile pretendere di trovare segreti profondi, ma alcune questioni sono messe in luce. Quasi nessuno di questi libri è stato tradotto, a parte quello di Pavel Sudoplatov, Incarichi speciali, pubblicato da Rizzoli. Sono molto interessanti i due libri di Leonid Kolosov, che, tra l’altro, era un ottimo giornalista, perché descrive l’Italia dal punto di vista di una spia sovietica e i suoi racconti sulla mafia, con i suoi viaggi per incontrare i mafiosi, sono incredibili. Era seguito senz’altro dai servizi segreti italiani. Poi, c’è un libro di Oleg Neciporenko Tre pallottole per il Presidente, che parla dell’assassinio di Kennedy. Lui conosceva Oswald, perché, quando questi era andato in Bielorussia, il KGB aveva cercato di arruolarlo, e poi lo incontrò di nuovo nell’ambasciata russa in Messico.
Sono notizie ignorate da tutti, nonostante siano state scritte in questo libro.
In alcuni paesi, come la Polonia, e perfino la Bulgaria, sono stati istruiti processi al comunismo. Non ne siamo stati informati perché, dopo la fine del comunismo, in Italia nessuno se ne è interessato. Quando c’era Solidarność la Polonia era ogni giorno sulle prime pagine dei giornali, dopo la fine del comunismo si è smesso di occuparsene, se non da parte della sinistra per attaccare Wałęsa e il nuovo governo.
In realtà, nell’Europa dell’Est ci sono state varie forme di autocritica, anche molto interessanti. Per esempio, in Polonia, per fare carriera in alcuni settori, occorre dichiarare che non si apparteneva al partito comunista. In Russia, dopo la caduta del comunismo, sono stati istruiti vari processi, conclusi con molte condanne. Io ho seguito, insieme a Stepankov, la condanna ai golpisti e ho intervistato anche in carcere l’ex primo ministro.
Quello che si può dire è che non ci sono state vendette e questo è giusto, diversamente da quanto è accaduto in Italia con la caduta del fascismo.
Vi siete mai domandati quanti russi lavoravano come spie in Italia e quanti italiani lavoravano per i servizi segreti russi? E non parlo solo di quelli del Pci, perché c’erano anche quelli degli altri partiti. All’epoca ne incontrai tanti che oggi si sono riciclati. Vladimir Bukovskij, poco prima di morire, aveva avuto l’idea di organizzare un tribunale del comunismo. Varie organizzazioni come Memorial, che hanno lottato contro il comunismo, sono ancora aperte, perché i loro avversari non si possono permettere di chiuderle.
Però, per esempio, il centro Sacharov, che era molto importante, ora è stato ridimensionato. Putin gioca sul sentimento nazionale, per cui la Russia non può essere indebolita, e soprattutto sull’accordo con la nuova chiesa ortodossa del patriarca Kirill, cui ho fatto una lunga intervista. Putin, che era un comunista, è diventato uno degli alleati più forti di Kirill: gode ancora di una certa popolarità, anche perché trova in alcuni settori della Chiesa ortodossa un sostegno abbastanza forte. Inoltre, non emerge un’alternativa per il dopo Putin e non ci sono movimenti di opposizione.
Ora alle manifestazioni pubbliche intervengono dai mille ai cinquemila manifestanti al massimo, mentre prima della caduta di Gorbaciov si contavano centinaia di migliaia di partecipanti.
Oggi in Russia non c’è una resistenza a Putin. Quando lavoravo al consolato di San Pietroburgo, ci fu un momento molto importante, con l’unione di tutti i gruppi di opposizione, sia di destra sia di sinistra.
C’era Boris Nemtsov, già vice-primo ministro della Federazione russa, che conoscevo molto bene, ma anche Garry Kasparov, noto perché fu più volte campione mondiale di scacchi, e Eduard Limonov, morto a marzo di quest’anno. È stato un momento straordinario, ma non un movimento di popolo come quando ci furono le grandi manifestazioni che precedettero il tentato golpe dell’agosto 1991, il cosiddetto golpe balneare contro Gorbaciov. Oggi Alexei Navl’nyi, anche grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie, riesce ad avere un certo seguito, con alcune manifestazioni che però restano ancora sporadiche.
È un momento di grande riflessione, anche se, dopo le sanzioni dei vari paesi contro la Russia di Putin, sta crescendo un certo malcontento popolare.
Nei prossimi mesi, se dovesse persistere una situazione critica come quella attuale, forse potremmo assistere a nuove grandi manifestazioni, ma non c’è un’organizzazione politica e i politici più illuminati vengono o eliminati, come Nemtsov, o isolati. Io scrissi un articolo, che venne pubblicato anche dal “Corriere della Sera”, in cui riportavo come dal 1993 a oggi in Russia siano stati uccisi più di 370 giornalisti e indicavo anche i loro nomi. Perciò il potere che ha imposto Putin è forte e difficile da contrastare, e la gente oggi, dopo la fine del comunismo e la caduta dell’illusione di Gorbaciov, non ha più interesse per la battaglia politica. Non ce l’hanno ad esempio i giovani, che pensano soprattutto ad arricchirsi.