COME CIASCUNO DIVIENE PROTAGONISTA NEL VIAGGIO DELL’IMPRESA

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CEO di TEC Eurolab, Campogalliano (MO)

Nel nostro laboratorio, TEC Eurolab, verifichiamo tramite analisi chimiche, meccaniche, metallurgiche e controlli non distruttivi che i materiali con cui sono costruiti i manufatti industriali – automobili, aerei, apparecchiature, impianti – rispettino le condizioni di progetto, quindi non si rompano in esercizio e garantiscano le prestazioni attese.
Per l’esecuzione di questi test ci avvaliamo di numerose macchine.
Marco Maiocchi, nel suo intervento a questo forum (La macchina e la tecnica.
L’invenzione, l’arte, la libertà d’impresa, 10 settembre 2020), notava che la macchina è qualcosa che abbiamo inventato per aumentare la forza.
Ma, allora, anche le organizzazioni sono macchine e la produzione non sarebbe possibile senza squadre di persone organizzate, che costituiscono la struttura di un’azienda.
Quindi anche l’azienda stessa è una macchina. Ma, in che modo, le persone prendono atto di essere parti integranti di una stessa macchina? Non è scontato. Anzi, quando, per esempio, intervengono rivalità fra colleghi di reparto, quel reparto non funziona come occorrerebbe. La stessa cosa avviene se, per esempio, i collaboratori del reparto tecnico entrano in contrasto con quelli del commerciale o dell’amministrazione.
Lasciati a una presunta naturalità, gli umani prendono la via più facile, quella più diretta, che taglia corto e grosso, pur di non affrontare la difficoltà della parola. Ma, come diceva Niccolò Machiavelli, la via facile è la rovina. Ecco perché sono essenziali i dispositivi di parola nell’azienda, gli incontri in cui ciascuno percepisce di essere parte di una squadra.
Se questo lo estendiamo al tessuto industriale, constatiamo che anch’esso è macchina, perché le aziende che fanno parte dei distretti e delle filiere produttive sono interconnesse fra loro e non si possono eliminare alcuni fili di questo tessuto senza conseguenze sulla tenuta complessiva, proprio perché è un tessuto intrecciato.
TEC Eurolab è una piccola azienda di circa novanta persone, ma ogni anno serve più di mille aziende clienti, in ambito aeronautico, automotive, biomedicale, alimentare, avvalendosi di oltre 300 fornitori da tutta Europa.
Se si ferma uno di questi fornitori, noi non siamo in grado di svolgere quel servizio e di conseguenza si fermano le aziende clienti a cui lo eroghiamo.
La vastità di questo intreccio è tale che, se salta un nodo, le conseguenze sono incalcolabili e l’intero tessuto industriale ne risente.
Sembra scontato, eppure, per qualcuno non lo è. Non lo è stato, per esempio, durante il lockdown, quando il governo ha deciso di chiudere le aziende in base ai codici Ateco.
Se prendiamo atto che l’azienda è macchina, che il tessuto industriale è macchina, allora occorre integrazione, diplomazia, solidarietà, evitando contrapposizioni sterili. Occorre intervenire affinché ciascun incontro sia occasione d’invenzione anziché di conflitto. E non si tratta affatto di essere altruisti né di essere buoni, ma semplicemente di tenere conto di una logica e di evitare di sprecare energie in giochi a somma zero, in cui io tiro da una parte e la controparte tira dall’altra, perché così facciamo tutti fatica e non accade nulla.
Passando alle proposte, ci si può chiedere: “Come possono i nostri collaboratori avvertire di partecipare al sogno imprenditoriale?”. Occorre garantire accoglienza nella parola, partecipazione al rischio, evitare assistenzialismi e paternalismi, far sì che ciascuno possa contribuire al gioco e all’invenzione, possa essere attore e regista e non burattino.
Faccio un esempio: in questo periodo, come tante altre aziende, abbiamo avuto necessità di ricorrere alla cassa integrazione. Allora – siccome importa anche “il come”, oltre che “il cosa” – abbiamo dato la possibilità a ciascun responsabile di area di dichiarare quali erano le ore e i collaboratori di cui aveva bisogno: non l’abbiamo stabilito per tutti dall’alto con logiche standard, è stato valutato caso per caso da ogni singolo responsabile, settimana per settimana, secondo l’occorrenza. Questo è stato più vantaggioso sia per l’azienda sia per i collaboratori. In questo periodo, al contrario, è molto raro e non è facile confermare un collaboratore con un contratto a tempo determinato, ma se si tratta di qualcuno che può giovare allo sviluppo dell’azienda, perché ragionare come un algoritmo che lo lascerebbe a casa per il semplice motivo che non è il momento migliore per le assunzioni? Allora, in un caso, abbiamo proposto al capo reparto e agli altri colleghi di scommettere insieme a noi, chiedendo: “Noi puntiamo al rilancio, scommettiamo che il fatturato aumenterà grazie al lavoro di ciascuno, ma se questo non dovesse accadere, o se occorresse qualche mese, voi condividereste le vostre ore di lavoro con quelle del vostro collega, che adesso confermiamo? Anche se poi magari lui farà quattro ore in più, mentre qualcuno di voi farà quattro ore in meno?”. La squadra ha risposto positivamente.
Questi sono soltanto alcuni esempi dell’instaurazione di una logica, grazie a cui l’impresa diviene impresa di vita per ciascuno. E diminuisce così la sperequazione culturale perché ciascuno è coinvolto in una crescita intellettuale che aumenta anche il capitale dell’azienda, con effetti virtuosi sull’intero tessuto industriale.