COME PUÒ INTERVENIRE LO STATO PER FARE EMERGERE IL LAVORO DOMESTICO IN NERO?

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consulente del lavoro (Studio Zini Folli), presidente di Assindatcolf e vicepresidente di EFFE

Dopo otto anni di vicepresidenza in Assindatcolf (Associazione sindacale nazionale dei datori di lavoro domestico), in settembre scorso lei ha assunto l’incarico di presidente, cui affianca, dal 2015, il suo impegno internazionale come vicepresidente della EFFE (European federation for family employment), oltre che la sua pratica come consulente del lavoro senior dello Studio Zini Folli, costituito da sua zia, Lella Zini, nel lontano 1956.
Quali saranno le battaglie che affronterà nel suo nuovo mandato, considerando che in Italia sei lavoratori domestici su dieci lavorano senza contratto? Il primo risultato in questo senso lo abbiamo ottenuto in settembre scorso con la sottoscrizione del nuovo Contratto Collettivo Nazionale, che ha introdotto importanti novità normative ed è intervenuto su aspetti qualificanti, con particolare riferimento al mercato e all’organizzazione del lavoro domestico, all’accrescimento della professionalità delle lavoratrici e dei lavoratori, nonché al trattamento retributivo. È un’intesa fra le parti sociali applicabile ai circa 860 mila lavoratori regolari del comparto, che diventano 2 milioni se si considerano le stime sul sommerso.
In seguito al lockdown, in Italia sono emersi 180 mila rapporti di lavoro di lavoratori irregolari, 25 mila rapporti di lavoratori in nero che avevano necessità di produrre l’autocertificazione per i loro spostamenti e babysitter assunte per gestire i figli piccoli a casa, perché le scuole erano chiuse. Ma nell’altro milione di rapporti di lavoro sommerso rimasti, ci sono circa 500 mila stranieri e 500 mila italiani, che lavorano in nero perché è più conveniente sia per loro sia per la famiglia, nonostante tutti i rischi d’infortuni e l’assenza di tutele essenziali, perché lo stato non supporta il settore, se non in modo molto marginale, con una deducibilità dei contributi previdenziali per un imponibile massimo di 1500 euro all’anno, ovvero la deducibilità di un decimo della retribuzione di una badante.
È ovvio che, fino a quando il lavoro in nero costerà meno del lavoro in chiaro, non emergeranno mai questi lavoratori, anche se stiamo parlando di problemi di una società evoluta rispetto a quelli di tanti paesi sottosviluppati, in cui il lavoro domestico spesso vuol dire schiavitù, tratta delle donne e sfruttamento dei bambini.
Tuttavia, è un tema importante in una società che cambia e alla luce delle stime sull’invecchiamento demografico, che collocano l’Italia tra i paesi più longevi al mondo. È chiaro che, in assenza di servizi di welfare collettivo da parte degli enti statali e territoriali, i singoli si organizzano in proprio, sostituendosi allo stato.
E noi stiamo cercando di sostituirci nel migliore dei modi. D’altro lato, anche lo stato non riuscirebbe, a prescindere dai costi, a rispondere alla domanda, perché con la destrutturazione degli orari di lavoro, l’occupazione sempre crescente della donna e di tutti i membri della famiglia, la necessità di copertura assistenziale verso i membri non autosufficienti – che siano bambini, disabili o anziani – non può più trovare una risposta negli asili, nelle scuole elementari o nei centri diurni per anziani.
Stiamo chiedendo al governo di trovare i fondi per finanziare questa emersione massiva dei rapporti di lavoro domestico con il Next Generation EU. Noi, intanto, finché lo stato non interviene, lavoriamo su altri fronti come la formazione delle persone e la certificazione della formazione acquisita. A dicembre scorso abbiamo ottenuto una norma UNI 11766/2019 per la certificazione di colf, babysitter e badanti, quindi il riconoscimento della professionalità, non della struttura, che nella nostra intenzione andrà a sostituire l’emergere non regolato di albi delle badanti – oggi redatti soltanto da alcuni comuni e in modo non allineato fra loro –, anche per avere una reciprocità a livello europeo.
Come famiglie datrici di lavoro quali interventi chiedete al governo per fare emergere il lavoro in nero? Chiediamo al governo d’intervenire su due versanti: quello della deducibilità fiscale dei costi – perché, se il costo del lavoro in chiaro è più basso del costo del lavoro in nero, è evidente che la stragrande maggioranza dei rapporti emerge – e quello del welfare. Un primo importante passo sembra trovi concretizzazione con la legge di bilancio attraverso l’assegno unico, spendibile anche per i servizi di baby-sitting gestiti direttamente dalle famiglie. A fine ottobre abbiamo partecipato alla commissione Affari sociali della Camera, per presentare alcune problematiche e sembra assodato che l’assegno sia spendibile anche per le babysitter, oltre che per il latte in polvere.
Un capitolo del Family Act che va oltre l’assegno unico è l’occupazione femminile, i tempi di vita delle donne, per cui anche i costi del lavoro domestico, in caso di occupazione di una donna, possono essere portati in detrazione. Però, adesso il governo sta seguendo una strada che a noi non piace affatto, quella dell’incentivo alle aziende ad assumere donne, che va sempre nella direzione della temporaneità, anziché della stabilità. Se invece una donna che guadagna 1000 euro ne spende 500 per la colf non ha nessun dubbio nel gestire il proprio rapporto di lavoro. Tanto più che in questo modo abbiamo due donne occupate anziché due disoccupate.