HOLOSTEM: IL BIOTECH PER LE TERAPIE AVANZATE

Qualifiche dell'autore: 
BSc, MBA, direttore R&D Planning and Control, Chiesi Farmaceutici amministratore delegato di Holostem Terapie Avanzate S.r.l.

Con la nascita di Holostem Terapie Avanzate S.r.l., oggi non sono più soltanto le grandi aziende americane e giapponesi a fare ricerca biotech. Nota internazionalmente per la sua attenzione all’innovazione in diversi ambiti della medicina, la Chiesi Farmaceutici, oggi, con Holostem, ha assunto il compito pionieristico di rendere disponibili prodotti di terapia avanzata ai pazienti di tutto il mondo, divenendo così un esempio di esportazione dell’eccellenza italiana. Perché avete intrapreso questa nuova sfida?

Holostem opera all’interno del Centro di Medicina Rigenerativa “Stefano Ferrari” in un’unità di colture cellulari, che è in fase di certificazione come Laboratorio GMP (Good Manufacturing Practices), perché le colture di cellule staminali sono a tutti gli effetti considerate farmaci per le terapie avanzate.

Poiché da un po’ di tempo a questa parte abbiamo rivolto il nostro interesse alle terapie avanzate, come quelle che può offrire la ricerca sulle cellule staminali, abbiamo chiesto al direttore del Centro, Michele De Luca, di tenere un seminario presso la nostra azienda, in cui parlasse della loro attività: è stato “amore a prima vista”, abbiamo capito di avere molti punti in comune e intravisto l’opportunità di lavorare insieme. Così abbiamo proposto alla Chiesi un progetto rispondente alla necessità di un’evoluzione della medicina tradizionale in direzione della medicina rigenerativa, convinti che, anche se non soppianterà la medicina tradizionale, per lo meno camminerà al suo fianco.

Sono sempre stato affascinato dalla possibilità di adattare la cura al singolo individuo e credo che l’idea di una medicina personalizzata sia l’avvenire del settore farmaceutico. Ecco perché abbiamo voluto cogliere l’opportunità di partire per primi e con l’equipe di Michele De Luca, che è tra le prime e migliori nel mondo a occuparsi di epiteli. La struttura che la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena con la collaborazione dell’Università stava mettendo in piedi è stata poi la ciliegina sulla torta.

È molto interessante, anche perché tradizionalmente le aziende farmaceutiche sono distanti dall’idea di personalizzazione della cura, anzi tendono a standardizzare il prodotto. La vostra è una novità assoluta…

È vero che dal “rimedio universale” alla medicina individualizzata c’è un varco molto ampio, in mezzo al quale troviamo la maggioranza del mercato. Tuttavia, questa esperienza ci consentirà d’imparare a conoscere le terapie avanzate dall’interno e non da spettatori e di monitorare eventuali evoluzioni o opportunità che possono presentarsi. L’idea di aiutare a risolvere patologie oggi incurabili è tra gli obiettivi della Chiesi: una delle sue divisioni, infatti, si occupa di special case diseases, malattie speciali in pazienti difficili che hanno bisogno di un’attenzione personalizzata, sicuramente meno universale e meno attenta ai margini e ai costi, ma più specifica per i bisogni del paziente.

Com’è cambiata negli anni la ricerca nell’industria farmaceutica?

Il nostro modello di ricerca è sempre stato molto aperto, la maggior parte delle attività da noi finanziate non si svolgono nei nostri laboratori di Parma o di altri paesi, ma presso centri di ricerca, istituti universitari e aziende che vendono la ricerca. È una tendenza sempre più diffusa nel settore farmaceutico: mentre prima si faceva tutto in casa, ora si punta sempre di più verso un modello a rete.

Credo che l’idea del proiettile universale che funzioni per sei miliardi di abitanti sulla terra e tante altre idee massimaliste debbano essere riviste nel nostro settore. Il grande cambiamento consiste nel fatto che, mentre prima la ricerca-sviluppo era molto legata alle competenze, ora si cerca di sviluppare ciò di cui il cliente ha bisogno.