OCCORRE FARE PROGRAMMI SENZA LIMITI PRECOSTITUITI

Qualifiche dell'autore: 
docente di Medicina Interna al Policlinico Sant’Orsola-Malpighi, Bologna

Ho cercato di dedicarmi con passione alla professione di medico e di docente di medicina interna, una specialità che non si può praticare per hobby e nemmeno come attività secondaria della propria vita. Nel momento in cui si decide di andare in questa direzione, occorre farlo nel miglior modo possibile. Negli ultimi anni, l’evoluzione della medicina ha portato in primo piano l’argomento centrale di questo nostro simposio (Seniores. L’età, il fare, la città, Bologna, 27 settembre 2022). Siamo passati da un concetto di età anziana di tipo deleterio o quanto meno distruttivo, che aveva il significato intrinseco della perdita progressiva di una serie di capacità e di funzioni, a quello di età anziana dominato dalla biologia, in cui la carta d’identità è largamente subordinata a quella che definiamo “età biologica”, dunque direttamente legato al modo in cui le persone anziane sono in grado di rapportarsi al mondo che le circonda e che offre loro un numero infinito di scelte. Non dobbiamo pensare che queste non ci riguardino semplicemente perché è la carta d’identità a dire che non sono più fruibili da alcune generazioni. L’aspetto clinico più rilevante è rappresentato dal fatto che non esistono più limiti rispetto alle possibili soluzioni dei problemi.

Quando ho incominciato a praticare questa professione meravigliosa, dovevo considerare limiti definiti non soltanto dalla cosiddetta saggezza popolare, ma anche nei documenti di consenso o nelle norme della professione cui dovevo attenermi. Oltre una determinata età alcuni trattamenti non solo non erano raccomandati, ma venivano considerati un pleonasmo. Oggi, invece, facciamo prima di tutto una valutazione dell’individuo e soltanto a partire da questa determiniamo il nostro intervento. Certamente, possiamo giungere al paradosso che alcune soluzioni sono applicabili a persone non più giovanissime e altre potrebbero non essere applicabili a quelle più giovani. L’aspetto più importante del nuovo approccio medico al paziente anziano è costituito dal fatto che è stata eliminata quella barriera, quel senso d’ineluttabilità associato allo scorrere della vita, che finiva per incidere su una parte piuttosto rilevante di persone, che ritenevano di dovere compiere il proprio ciclo di vita funzionale entro limiti determinati, perché oltre questi le probabilità di guardare in avanti sarebbero state molto ristrette.

Oggi la biologia ha cambiato in modo importante la situazione e la medicina l’ha migliorata. Ma conta soprattutto l’atteggiamento delle persone: vivere in maniera adeguata alle proprie necessità è un grande passo in avanti, anche se la complessità è aumentata notevolmente a causa di una serie ulteriore di problemi, legati all’evoluzione biologica, che non possiamo cancellare. Possiamo proporre interventi che non hanno più limitazioni precostituite e questo è un grande vantaggio rispetto al passato. Caterina Giannelli accennava alla questione della follia, di cui certamente deve tenere conto chi svolge la professione medica, soprattutto nella misura in cui ogni intervento che proponiamo deve essere adeguato alla condizione del paziente che incontriamo e che qualche volta appare contraria alla logica. Dire questo, però, non comporta mettere a repentaglio la vita delle persone, ma considerare che davanti a noi abbiamo un individuo che chiede aiuto. Il nuovo approccio della medicina dipende dal fatto che abbiamo modificato il nostro atteggiamento rispetto ai limiti che hanno caratterizzato la precedente divisione netta fra il paziente giovane e quello anziano. Questa divisione caratterizzava i testi sui quali noi studiavamo, spesso costruiti in modo tale che esistesse una materia clinica dell’età giovanile nettamente separata da quella dell’età anziana. Avere modificato l’approccio medico ha apportato un cambiamento rilevante nella società civile, che oggi è costituita da persone svincolate dai precedenti preconcetti. Abbiamo molti esempi di questa realtà e la possibilità che oggi ha ciascun individuo di mantenere alcuni aspetti di vitalità, indipendentemente dalla carta d’identità, è un eccellente viatico per il nostro futuro. Molte iniziative, come quelle esposte intorno a questo tavolo, e che vorrei anche elogiare con il mio intervento, vanno in questa direzione. Mi rivolgo quindi al professor Antonio Monti, che, con un geniale anticipo su quella che sarebbe stata l’evoluzione della società, sempre più orientata alle necessità del singolo individuo, suggerisce a ciascuno di noi la possibilità d’immaginare che quanto facciamo e pensiamo, dunque la nostra vita, possa proiettarsi in progetti e programmi futuri senza limiti precostituiti. Se il nostro avvenire sarà così, credo che noi potremo vivere molto più felici.