IL MODO DEL SORRISO

Qualifiche dell'autore: 
medico specialista in Odontostomatologia, fondatore e co-titolare dei Centri Dentistici Tomaselli

La sua intensa pratica di chirurgia orale e implantare le ha consentito di avviare molte collaborazioni con altri studi dentistici, al punto che ciascun giorno lei è giunto a operare in una città diversa e, attualmente, con i vostri Centri Dentistici Tomaselli siete in procinto di acquisire la terza sede in Romagna, che si aggiunge a quelle di Bologna, in Via Azzurra, e di Mirano, in Via Galilei. Qual è l’aspetto della sua professione che più l’appassiona?

Se consideriamo che l’Italia occupa un ruolo rilevante nell’ambito dell’odontoiatria internazionale, i dentisti di Bologna sono a un ottimo livello, non soltanto per la base teorica acquisita nel corso della formazione all’Università di Bologna, ma anche perché molti colleghi in questa città hanno inventato attrezzi, strumenti e tecniche chirurgiche poi esportate all’estero e da cui sono stati tratti testi e articoli scientifici.

A parte questa premessa, la pratica clinica mi ha consentito subito di appassionarmi all’endodonzia. Un grande endodonzista, Elio Berutti, ha detto che un buon endodonzista è senz’altro un ottimo chirurgo. Ma non è vero il contrario. Mio padre è chirurgo urologo. Quando opera nella pancia, con la chirurgia open riesce a vedere dove sta intervenendo. La bocca, invece, è una cavità piccola e gli spazi all’interno sono spesso angusti, quindi la complessa muscolatura che circonda questa cavità è spesso difficile da raggiungere, anche dalla luce. La nostra pratica, allora, richiede grande percezione tattile. Dal 2017, dopo il master in Chirurgia Orale e Implantologia all’Università di Verona, ho incominciato a operare in diverse strutture sanitarie, dapprima casi più semplici e poi mi sono addentrato nel terreno accidentato che offrivano quelli complessi, con interventi non di routine.

Quali sono gli interventi principali che lei effettua?

Le tecniche di chirurgia ricostruttiva che ho affinato nel corso degli anni mi consentono oggi di effettuare interventi complessi, come impiantare il dente dove non c’è osso o dove il supporto osseo è ridotto. La mia esperienza si è perfezionata lavorando in strutture sanitarie dove effettuavo decine e decine di interventi al giorno, facendo diverse centinaia di impianti al mese. Questa pratica clinica, ancora di più della mia formazione universitaria e dei master conseguiti in diverse università, mi ha permesso di operare con tecniche che si possono acquisire principalmente sul campo. L’esperienza pratica è davvero imprescindibile nel nostro mestiere, perché i risultati devono essere concreti. Io faccio molti interventi personalizzati proprio grazie a questo approccio pragmatico, che mi ha permesso di affrontare con sicurezza interventi complessi di chirurgia orale che spesso altri colleghi tendono a non fare perché, per esempio, il post operatorio può essere problematico. Ne è un esempio la gestione perioperatoria dei tessuti molli, che rivestono una parte fondamentale sia nel man[1]tenimento dell’impianto sia per la possibilità del paziente di tenerlo pulito. Un tessuto cheratinizzato e sano attorno a un impianto fa sì che si formi come un sigillo connettivale e epiteliale che impedisce la penetrazione di batteri. Quindi, gli impianti installati anche dove c’era poco osso nel corso degli anni rischiano di non essere efficaci. Anche per evitare questi disagi, altri colleghi ci invia[1]no i loro pazienti per effettuare gli interventi di chirurgia.

Questo tipo di problemi varia in base all’età?

L’osso di un paziente di ottant’anni non è quello di uno di venti. Ma non è soltanto l’invecchiamento che può favorire l’atrofia ossea. Per esempio, le infezioni gravi nell’osso possono essere odontogene, quindi dovute a infezioni dentali. Il dente cariato che non viene curato e va in necrosi genera poi una reazione nell’osso attraverso il piccolo foro da cui entra il canale vascolo-nervoso, nella parte ancora viva del dente. Ma, quando il dente muore, da questa cavità fuoriescono i batteri, alimentando il processo infiammatorio che genera il riassorbimento dell’osso circostante. Siccome tutti questi processi si associano, il rischio è di arrivare anche alla formazione di infezioni gravi, come cisti, granulomi e ascessi intorno al dente che possono provocarne la perdita. Allora, occorrerà prima ricostruire il tessuto molle, poi l’osso, quindi si procede mettendo l’impianto e soltanto dopo il dente. Si tratta di una serie di interventi stratificati, che poi permettono di raggiungere il risultato finale. Per rispondere alla sua domanda, quindi, l’età non è dirimente, perché abbiamo pazienti di trent’anni, per esempio, che hanno problemi di mancanza di denti, di osso e spesso di tessuti molli. Anche in questi casi il nostro compito è restituire il sorriso ai nostri pazienti.