LA PRODUZIONE INTEGRATA PER LA SICUREZZA ALIMENTARE

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direttore del Centro Servizi Ortofrutticoli

Da dieci anni, il Centro Servizi Ortofrutticoli promuove la valorizzazione dei prodotti tipici regionali. Quali sono i progetti importanti al riguardo?

Il nostro compito è valorizzare le caratteristiche intrinseche dei prodotti ortofrutticoli e il loro stretto legame con il territorio di produzione, perché la relazione tra vocazione del territorio e qualità è importante. Non a caso, aderiscono al CSO due storici consorzi dei prodotti tipici regionali, il Consorzio della pesca e nettarina di Romagna IGP e il Consorzio della pera dell’Emilia Romagna IGP, che rappresentano due produzioni importanti sia per la quantità sia, soprattutto, per la qualità. L’Emilia Romagna produce circa il settanta per cento delle pere italiane, affermandosi come una zona particolarmente vocata, con terreni che esaltano la qualità delle pere e, in particolare, della pera abate, che è la nostra varietà di punta.

Di recente, sono entrati a far parte del CSO il Consorzio dell’asparago verde di Altedo IGP e il Consorzio della cipolla tipica di Medicina IGP, altre due eccellenze produttive del territorio.

La filosofia è quella di creare un pacchetto di prodotti tipici regionali da valorizzare in maniera centralizzata.

Uno dei progetti a supporto dei prodotti IGP (indicazione geografica protetta) consiste, ad esempio, nell’informare sul consumo ottimale della pera, che va mangiata al giusto grado di maturazione. In tal senso, abbiamo messo a punto tecniche di controllo come il color test, che, attraverso un confronto colorimetrico, consente di valutare il grado di maturazione del frutto.

Ci sono, poi, progetti cofinanziati dall’Unione europea, dallo Stato italiano e dalle organizzazioni aderenti al CSO.

Uno di questi è Mr Fruitness. Con il progetto Fruitness, rivolto soprattutto a bambini e adolescenti, abbiamo promosso mele, pere, kiwi e nettarine dell’Emilia Romagna in Austria, Germania, Polonia, Svezia e Gran Bretagna, dove è diffuso il problema dell’obesità giovanile.

Quindi, all’impegno per la valorizzazione della tipicità dei prodotti il CSO unisce quello, non meno importante, dell’educazione alimentare.

Nei giorni scorsi, si è tenuta a Bruxelles la discussione del progetto School Fruit Scheme, cui ho partecipato come relatore. È un progetto dell’Unione europea per educare i giovani in età scolare a mangiare frutta in modo costante.

C’è anche un sito internet dedicato (www.fruitness.eu), che sta dando risultati importanti informando i ragazzi, attraverso il gioco, sui vantaggi nutritivi di frutta e verdura e sui benefici che ne derivano per la salute. L’impegno del CSO per l’educazione alimentare comprende anche la collaborazione con la Centrale ortofrutticola di Cesena, che gestisce il progetto Frutta snack. Quindi, c’è uno sforzo congiunto, in Italia e all’estero, per valorizzare frutta e verdura, il cui uso regolare riduce il rischio di obesità e di malattie cardiovascolari.

Il risvolto di questo impegno è l’attenzione alla sicurezza alimentare, che, per le aziende aderenti al CSO, si traduce nella produzione integrata di frutta e ortaggi.

Le aziende socie del CSO hanno messo a frutto una legge specifica della Regione Emilia Romagna che stabilisce un tipo di produzione a basso impatto ambientale, la produzione integrata, che comporta un’integrazione tra la chimica e le tecniche agronomiche varietali. Questo ha consentito, negli anni, di abbattere notevolmente la quantità di pesticidi utilizzati.

Riteniamo che, oggi, sia ancora difficile produrre senza l’utilizzo della chimica, soprattutto nelle zone ad alta intensità produttiva. Si può fare con il biologico, che si sta sviluppando notevolmente, e, tuttavia, rappresenta una percentuale ancora piccola rispetto al fabbisogno esistente di ortofrutta. Pertanto, la produzione integrata è un passo avanti nella sicurezza alimentare, anche se rimane aperto il dibattito tra i sostenitori di una politica produttiva a residuo zero e i sostenitori della tecnica attualmente utilizzata. Diciamo che le due tecniche convivono e, per questo, insieme all’AREFLH, l’Associazione delle regioni ortofrutticole europee, a cui il CSO aderisce, stiamo promuovendo un progetto sulla produzione integrata che trovi un riconoscimento a livello europeo per avere regole certe in materia.

Esiste una normativa unica, in Europa, per il limite di utilizzo dei pesticidi oppure in Italia vigono norme più restrittive?

È stato appena approvato un regolamento relativo alla normalizzazione dei principi attivi, in cui l’Unione europea riconosce limiti uguali per tutti.

I paesi europei lo aspettavano, anche se per molti di loro sarà difficile applicarlo. In Italia, invece, chi fa produzione integrata di ortofrutta è già in linea, per molti aspetti, con la nuova normativa europea, perché le norme vigenti nel nostro paese sono già abbastanza restrittive. Qualche difficoltà per l’applicazione verrà dal contrasto fra i produttori e la grande distribuzione, che applica proprie norme in merito ai fitofarmaci sconvolgendo in parte quanto è stato fatto a livello di tecniche di produzione integrata. In breve, richiede un numero di principi attivi più basso rispetto a quello che oggi permette la legge, senza supportare la richiesta con argomentazioni scientifiche e questo rischia di annullare i vantaggi derivati dalla procedura relativa all’armonizzazione. Si sta considerando un’ulteriore riduzione dei residui e i produttori si stanno attrezzando per l’utilizzo di tecniche alternative alla chimica, anche perché sono esposti per primi ai rischi per la salute derivanti dall’uso dei pesticidi. Questo stabilisce un’alleanza con i consumatori, cui occorre garantire tranquillità e sicurezza.

Bisogna, peraltro, rilevare che, fra i benefici del mangiare frutta e verdura e l’eventuale rischio sanitario, il bilancio è nettamente a favore del primo aspetto, grazie ai limiti di legge oggi previsti. Lo dichiara l’EFSA, l’autorità europea in materia di sicurezza alimentare.