IL LAMBRUSCO: QUESTIONE DI ARTE E CULTURA

Qualifiche dell'autore: 
export manager di Donelli Vini S.p.A.

Nel numero precedente del nostro giornale, abbiamo esplorato, insieme al Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi, le virtù di un vino così versatile da avere conquistato, oltre agli USA, anche paesi la cui tradizione enologica è sempre stata molto forte, come la Francia e la Spagna. Donelli Vini, da oltre dieci anni di proprietà della famiglia Giacobazzi, è uno dei gruppi che ha contribuito maggiormente a fare apprezzare il Lambrusco nei cinque continenti, con un 70 per cento di quota export sul mercato mondiale e una posizione di rilievo sia nella grande e piccola distribuzione, sia nella ristorazione...

Per il nostro Gruppo, l’estero è sempre stato una sfida da cogliere come opportunità, basti pensare che fin dal 1999 abbiamo investito in un impianto d’imbottigliamento in Cina, nello Shandong, e in un ufficio a Pechino e, di recente, ne abbiamo aperto un altro a Shangai, tutti gestiti da personale italiano e locale specializzatosi nella casa madre.

Ma la storia della promozione e diffusione del Lambrusco fuori dall’Italia ha radici più remote e un protagonista d’eccezione: Antonio Giacobazzi, suo padre...

Intorno agli anni sessanta, mio padre era un ragazzo alle prime armi, ma amava viaggiare e conoscere sempre persone nuove. È stato il primo a capire che il Lambrusco, per le sue caratteristiche uniche, poteva incontrare le culture più svariate: un vino rosso frizzante che, soprattutto nella sua versione amabile, si adatta a ogni tipo di cucina e di clima. Quando l’azienda di famiglia gli affidò il reparto commerciale estero – considerando il successo di cui il suo vino godeva tra gli stranieri in vacanza in Italia o dei paesi in cui si recava nei suoi innumerevoli viaggi di piacere – decise d’intraprendere l’avventura dell’esportazione, scegliendo come prima meta gli Stati Uniti, per chiare ragioni: un paese a forte tradizione italiana e all’epoca il più aperto a sperimentazioni e novità. Anche se il successo non era così scontato – perché allora gli statunitensi, più che di vino, erano grandi consumatori di birra –, la sua intuizione si rivelò molto felice. Grazie anche agli elevati investimenti nella promozione, il prodotto ebbe prima un grande impatto e poi si diffuse largamente nel paese che lo definiva “Lo champagne rosso” e “La Coca-Cola italiana”. Dopo gli Stati Uniti, anche la Germania, l’Austria, la Svizzera, la Danimarca, il Giappone, l’Australia e numerosi altri paesi hanno accolto con entusiasmo la nostra offerta, principalmente grazie a due fattori intrinseci del Lambrusco: da una parte, la sua tipicità e la sua versatilità e, dall’altra, l’“italianità” che stava affermandosi nella ristorazione in quel periodo. Parliamo di paesi non produttori, in cui non esisteva una cultura del vino e un Chianti avrebbe fatto maggiore fatica a incontrare i gusti di palati poco esperti.

Dunque suo padre è stato un pioniere. Ma ha avuto anche qualche difficoltà all’inizio?

Certo, non è stato facile, soprattutto se pensiamo che proprio istituzioni che avrebbero dovuto collaborare con azioni di promozione per favorire l’ingresso dei prodotti italiani negli USA, lo scoraggiarono dicendogli che vendere in quel mercato sarebbe stata solo una perdita di tempo! Per fortuna, questo non servì a fermarlo e quel tempo si rivelò, al contrario, molto proficuo: nel giro di due anni, infatti, furono venduti milioni di bottiglie.

E i mercati più ricettivi attualmente?

In termini di volumi, la Spagna, il Brasile, la Germania, l’Australia e il Giappone sono mercati estremamente variegati, sia come localizzazione geografica che come tipologia di cultura. Il Lambrusco è un vino trasversale, il cui consumatore non è riconducibile a uno stereotipo: alcuni lo consumano durante il pasto, per accompagnare i cibi, altri come aperitivo e per altri ancora è un vino di tendenza. In Spagna, per esempio, viene consumato principalmente nella versione rosato, da un target giovane. Il fatto che sia riuscito a entrare in mercati come quelli di Spagna e Francia, grandi produttori di vino, è significativo, e denota ancora una volta la sua tipicità.

Il Lambrusco è sicuramente ambasciatore di una cultura particolare e voi stessi siete molto attenti alla tradizione secolare da cui proviene...

Basta pensare che già Virgilio ne decantava le doti per intendere la portata di tale tradizione. Negli anni si sono affinate le tecniche di coltivazione della vite, gli strumenti per analizzare l’uva, le tecniche di vinificazione e di conservazione, ma il Dna di questo vino è lo stesso di una volta.  Per questo, uno dei nostri principi è quello di mantenere il legame con il territorio, la nostra cucina e le realtà che ancora oggi fanno parte del contesto in cui questo vino nasce. In questo ci differenziamo dalle aziende globali, più asettiche: siamo fornitori della Ferrari, grandissima realtà mondiale, ma ci rivolgiamo anche a mercati di nicchia, legati a reti locali. Sono tante e importanti le iniziative che sponsorizziamo proprio perché vogliamo contribuire alla valorizzazione del territorio, ma voglio solo citare i meravigliosi Jeroboam, le bottiglie in edizione limitata realizzate da Wainer Vaccari.

E dobbiamo dire che Donelli Vini, oltre che con il Lambrusco, anche con la sua vasta produzione di vini pregiati – Sangiovese, Merlot, Nero d’Avola, Primitivo, Chardonnay, Syrah e tanti altri che fanno parte della linea “Del Palio” – e con l’Aceto Balsamico di Modena, promuove nel mondo le tipicità di molte regioni italiane e, con esse, la loro cultura e la loro arte...

Sì, ciascun vino ha caratteristiche uniche e inimitabili, date dalla particolarità dei diversi climi e metodi di coltivazione. Sono tanti i fattori che concorrono a fare un buon vino e, fra questi, la tecnologia è fondamentale, ma fare un buon vino è anche una questione di arte e cultura.