NUOVE IDEE PER LE POLITICHE ABITATIVE

Qualifiche dell'autore: 
presidente di ACER, Bologna

Intervista di Caterina Giannelli

Da quello che era lo IACP, di Bologna, a quello che è oggi l’ACER ne è stata fatta di strada…

Sì, lo IACP nasce nel 1906 sulla scia di una legge nazionale, la legge Luzzatti, che recepiva alcune esperienze che stavano realizzandosi in Austria per un’edilizia sociale promossa dalle amministrazioni locali e rivolta ai ceti più deboli, quelli che a inizio secolo affollavano i centri storici delle città vivendo in condizioni di assoluto degrado. Bologna era una città ancora chiusa all’interno delle mura storiche, quelle che adesso sono richiamate dalle porte di accesso nei viali di circonvallazione, una città che cominciava a espandersi all’esterno con la prima periferia, stiamo parlando della Bolognina, la zona dietro la stazione ferroviaria. Proprio qui, lo IACP realizza i primi edifici nel 1908 e parallelamente disegna un’ipotesi urbanistica per i nuovi quartieri. Da allora il cammino è stato lunghissimo.

Ma c’è qualcosa in cui la funzione principale dell’ACER oggi si distingue da quella dello IACP?

La cosa fondamentale è stata quella di acquisire fino in fondo il ruolo non più soltanto di realizzatori e gestori di edilizia residenziale pubblica ma più in generale di strumento dei comuni per realizzare politiche abitative. In una realtà come la provincia di Bologna, dove il patrimonio pubblico è attorno ai 19.000 alloggi, circa 11.000 sono di proprietà dell’ACER, inoltre, esso è gestore di quella parte del patrimonio e di altre parti, perché da lungo tempo gestiamo il patrimonio del Comune di Bologna e di altri comuni. Un rapporto che induce una piena razionalizzazione del nostro modo di operare. Essere diventati azienda non è soltanto un fatto nominalistico, significa anche meccanismi di gestione di dinamiche del nostro ente tipicamente aziendali: controllo di gestione, gestione a budget, certificazione di qualità, che abbiamo ottenuto da oltre tre anni, e una serie di elementi di questo tipo che puntano all’efficienza e alla qualità. Lo stesso dicasi dell’attività costruttiva: negli anni abbiamo fatto investimenti e interventi edilizi anche con risorse nostre e, di recente, con risorse che derivavano dalla vendita di una quota di patrimonio, alla fine degli anni novanta. 

Oggi tutti riconoscono il fatto che non è risolto il problema della risposta abitativa riferita ai ceti più deboli; qualcuno si è illuso un po’ idealmente che in questo paese – essendo tra i due o tre paesi in Europa, assieme alla Spagna e alla Grecia, che hanno la maggior quantità di alloggi di proprietà, circa il 78% dei nuclei familiari possiedono la casa dove vivono – si dovesse gestire solo quella piccola sacca di chi non ce la fa. Solo che quella piccola sacca è mediamente più del 20-22% della popolazione e nelle aree urbane più significative questa percentuale sale a 40-45%. I dati della città di Bologna, che devono ancora essere noti ufficialmente, daranno una cifra attorno al 62-63% di alloggi di proprietà. Quindi, nelle città dove c’è tensione abitativa, la fetta di residenti che non dispone della casa di proprietà è molto più consistente ma soprattutto si aggiungono elementi poderosi: i flussi migratori dall’esterno che hanno una loro regolarità e tendono a crescere. Nella provincia di Bologna, ogni anno, il salto migratorio è positivo per circa 19.000 persone. È una città in cui vivono 45.000 studenti universitari che provengono da altre regioni; e questa è una domanda abitativa aggiuntiva; non è un fenomeno che oggi c’è e domani non ci sarà, il tema della mobilità sociale per motivi di studio o di lavoro caratterizza i paesi industrializzati, moderni e dinamici. Gli studenti o i lavoratori immigrati non esprimono una domanda di acquisto, ma una forte domanda di affitto, domanda che si scontra con un’offerta carente dal punto di vista quantitativo e dal punto di vista dei prezzi spesso inarrivabili. Questo ci ha portato a sviluppare programmi in questa direzione: interventi per i quali chiediamo ai comuni di mettere a disposizione aree urbanizzate ai costi più bassi possibile, su cui interveniamo a volte con un contributo limitato da parte della regione o anche da parte di altri enti. Abbiamo fatto, con la Fondazione Cassa di Risparmio, un primo programma sperimentale di duecento alloggi con questo meccanismo: il Comune mette a disposizione l’area urbanizzata, la Fondazione interviene per il 18% del costo, noi progettiamo, realizziamo e gestiamo questi alloggi ricorrendo a mutui; il canone che deriva è un canone di ammortamento che è di un 35-40% inferiore a quelli del mercato. E questa è un’offerta che, se venisse moltiplicata per cinquecento, avrebbe grande richiesta. 

Un altro progetto che abbiamo elaborato, che i comuni hanno condiviso e che mi auguro possa partire con tutta la spinta necessaria al più presto, è un progetto di agenzia per le locazioni. Siamo partiti dal presupposto che esiste un patrimonio privato di proprietari immobiliari non affittato, perché in attesa di altri utilizzi, magari di una vendita, oppure perché c’è il timore nel metterlo in affitto poi di non poterne ritornare in possesso quando serve. Noi abbiamo pensato di rilanciare questo tema dell’agenzia sulla base di due punti di forza: il primo è che noi siamo in grado di gestire anche per conto di questi soggetti privati l’alloggio chiavi in mano, dal momento del contratto al momento della conclusione, alla riscossione dei canoni, agli eventuali contenziosi e alle esigenze manutentive; il secondo è che, se gestiamo 2000 alloggi con contratti che durano tre anni più due, cioè cinque anni, abbiamo fisiologicamente ogni anno un turnover, alcune decine di inquilini che arrivano a fine contratto, qualcuno se ne andrà perché magari compra la casa o perché si trasferisce in un’altra città; e se il signor Tal dei Tali, che ci ha affidato il suo alloggio, a fine contratto vuole ritornarne in possesso, abbiamo la possibilità di proporre al suo inquilino un’altra soluzione sempre a prezzi agevolati, in modo che egli accetti di spostarsi piuttosto che resistere sette mesi prima di avere lo sfratto.

Questo meccanismo può aggiungere un altro tassello. Nessuna proposta è risolutiva ma mettendo assieme più interventi su più fronti, si tenta di dare una risposta.