IL POLITICAMENTE CORRETTO CONTRO LA DIFFERENZA

Qualifiche dell'autore: 
architetto e urbanista

Di politicamente corretto molti ne parlano, ma spesso senza riflettere criticamente su che cosa stia succedendo. Quelli che lo praticano non ne parlano, parlano di politicamente corretto quelli che non lo praticano, però non è detto sappiano esattamente che cos’è. E il politicamente non corretto, che è l’altra faccia del politicamente corretto, che cos’è, da dove deriva?

Il politicamente corretto è un modo di pensare universale, precotto, in cui viene stabilito prima, da non si sa chi, che cosa a priori e una volta per tutte (questa è ciò che veramente spaventa in questo modo di pensare) che cosa sia giusto e che cosa sia sbagliato. Questa specie di melassa che ci avvolge tutti, coinvolge poi tutto, per esempio, il sesso. È politicamente correttissimo parlare di sesso, ma chi mai osa criticare l’omosessualità? Ci sono argomenti che non possono essere toccati, l’omosessualità è politicamente corretta, la non omosessualità non lo è. Non mi sto schierando, ho soltanto fatto un esempio. Il politicamente corretto riguarda tutti: le persone che parlano e si esprimono non dicendo quello che pensano, ma dicendo quello che si aspettano gli altri pensino. Questa è una cosa in sé abbastanza sbalorditiva, cioè la convenzione, la melassa, il conformismo intellettuale, il sonno dell’intelligenza, da cui il politicamente corretto è permeato, impediscono di ragionare in modo critico: io non penso, non dico quello che penso, ma dico quello che penso che gli altri vogliano sentirsi dire, e che poi, in fondo, vogliono sentirsi dire.

Non ci sono basi scientifiche per il politicamente corretto, esistono basi fideistiche, irrazionali o di altra natura, ma che, avendo come base l’etica e non la scienza, non possono essere scientificamente confrontate. Un motivo potrebbe essere l’invidia verso ciò che ha una qualità, positiva o negativa. Ciò che ha una qualità si distingue dal luogo comune, si distingue dagli altri, quindi l’invidia nei confronti di chi si distingue potrebbe essere una causa. Ci sono infiniti motivi per cui la gente si distingue dagli altri. Non si può dire il tale è sordo, anche se è sordo: si è passati da sordo a inabile, e adesso si è arrivati al “diversamente abile”, che è una curiosa e divertente frase che non vuol dire assolutamente niente.

Nel politicamente corretto le cose non devono essere che chiamate col loro nome, perché si presume che ci siano le parole cattive e le parole buone. Io credevo che il diversamente abile fosse un vertice tra le sciocchezze, ma ne ho sentita una peggiore: non si può più dire “grasso”, bisogna dire “portatore di adipe”. Il portatore di adipe non l’avevo ancora sentito, ma mi fa piacere perché il mio vocabolario oggi è più ricco. Mi verrebbe da dire che il prossimo passo sarà che Pipino il Breve si chiama “Verticalmente Carente”. Per quale motivo non potrebbe essere chiamato così, posto che è molto più politicamente corretto? La questione è che le cose negative che vanno trasformate in positivo sono in realtà presunte negative: quello che è negativo non è di per sé negativo, è presunto negativo, perché non dimentichiamo che a ogni cosa negativa corrisponde per converso una cosa positiva. D’altra parte accade che le stesse argomentazioni dette da una parte politica siano buone e ammissibili e politicamente ammesse, mentre le stesse cose, identiche, dette da un’altra parte politica non siano politicamente ammesse.

Una delle cose che mi lascia sempre sconcertato è l’uguaglianza obbligatoria. Mi pare che quel che genera il politicamente sconveniente sia l’eliminazione di ogni differenza tra gli esseri umani, che a mio parere è l’unica molla che conferisce il progresso agli esseri umani per emulazione. Quando sono tutti pari non c’è differenza, se non c’è differenza non c’è scatto, se non c’è scatto siamo tutti uguali, se sono tutti uguali l’appiattimento è sempre verso il basso.

Ma se ciò che è giusto è politicamente corretto e è stato già catalogato, noi siamo realmente liberi di pensare? Siamo liberi di comunicare con gli altri liberamente? Siamo liberi sopra tutto di comunicare con noi stessi? In quale misura esercitiamo in modo cosciente o non cosciente l’autocensura e ci limitiamo al senso di colpa che chiamare il sordo “sordo” anziché “diversamente abile” ci procura?