IL REGALO E LA CANAPA

Qualifiche dell'autore: 
ingegnere, amministratore unico di SISTEMA srl

Intervista di Anna Spadafora

Qual è la differenza principale tra un’attività come la vostra, che si occupa dei regali, dei cosiddetti gadgets che le aziende regalano ai loro clienti, rispetto ad altre attività?

Un prodotto che viene commercializzato nei canali normali, per esempio nei negozi, viene costruito secondo schemi di carattere industriale, dalla progettazione alla realizzazione. Noi invece ci occupiamo del regalo aziendale facendo un’operazione di ricerca delle esigenze dei nostri clienti. Così, dalla richiesta di un cliente sorge un prodotto di cui non c’è una vera e propria offerta sul mercato, eppure è di una certa importanza. Per esempio, recentemente, ci hanno chiesto dei portadocumenti espressamente concepiti per il viaggio, quindi, con le dimensioni adatte ai biglietti aerei piuttosto che a quelli ferroviari. Allora, abbiamo deciso d’inserire quel prodotto nella nostra gamma. E così, piano piano, abbiamo costruito una gamma sulla base di richieste dei clienti. L’altra particolarità è che utilizziamo pelli che vengono conciate in Toscana con additivi che non sono di carattere chimico: utilizziamo il tannino, che deriva dalla macerazione del legno delle botti, oppure il castagno, o la mimosa. Questo comporta che la pelle, alla fine, abbia un aspetto abbastanza grezzo, anche perché non subisce quel tipo di plastificazione, di appiattimento, che molti raggiungono proprio usando additivi, per fare sparire tutti i difetti superficiali che, in realtà, continuano a esistere, ma sono solo stati coperti da strati successivi di materiali.

Che cosa comporta il riciclo di oggetti in pelle ecologica?

I costi del riciclo di un pellame di questo genere sono praticamente nulli, perché si degrada naturalmente. Anche se la sua durata può essere paragonabile a quella di un pellame trattato, questo, in caso di degrado o di abbandono, rilascia cloro o acidi o aniline, mentre il nostro no. Inoltre, viene tessuto con del tessuto di canapa, quindi, è del tutto naturale. Questo significa che i costi del recupero o del riciclo o della biodegradabilità di questo prodotto sono molto bassi, paragonabili ai costi che abbiamo con l’utilizzo della canapa, che è un altro dei nostri punti di forza.

La vostra azienda fa parte del Consorzio Canapa Italiana. Può dirci che cos’è?

È un consorzio che si propone di recuperare la coltura della canapa, di cui l’Italia è stata per tanti anni il secondo produttore al mondo, con piantagioni in tutto il nord e al centro. Con la canapa, fino agli anni sessanta, si faceva di tutto: corde, cordami, saponi, cappelli, tessuti e capi per abbigliamento, intimo uomo e donna e biancheria per la casa. Le più grandi navi del mondo avevano le corde in canapa italiana. È un tessuto formidabile con una fibra di una resistenza incredibile. Ma, soprattutto, la canapa veniva utilizzata dal contadino, perché non ha bisogno di alcun tipo di concime ma a sua volta concima il terreno. Poi, negli anni sessanta, è incominciato l’utilizzo della canapa in quanto droga, perché, in particolare la canapa indica, nella sua foglia contiene una sostanza che ha effetti allucinogeni. Nel nostro paese, una legge dello stato proibì la coltivazione della canapa, i contadini non poterono più coltivarla e incominciarono a usare diserbanti, pesticidi, ecc. per sostituire la canapa che, oltre a concimare, puliva il terreno. Ma è innegabile che la canapa abbia valenze positive e costi molto bassi, quindi, alla fine degli anni novanta, qualche importante personaggio come Giorgio Armani ha visto nell’utilizzo di fibre come la canapa una risorsa per produrre capi di abbigliamento, e altro, che avessero una connotazione naturale. Questo progetto ha preso una forma giuridica, che è il Consorzio della Canapa Italiana, che ha cercato di convincere le autorità, soprattutto il Ministero dell’Interno, ad assecondare questa nuova coltivazione. Isolata in maniera più netta la canapa che ha maggiore contenuto di sostanza allucinogena, siamo riusciti a fare ritornare un campo di canapa in provincia di Ferrara, dov’è sorta una società di Comacchio, Ecocanapa, che sta gestendo questo ritorno della canapa. Il mio compito è quello di cercare, nell’ambito delle grandi promozioni e delle grandi iniziative con una valenza di carattere economico ed ecologico, di fare affermare dei prodotti costruiti in canapa. E così i nostri clienti possono dire che per quel prodotto non sono stati abbattuti alberi, né sparsi concimi sul terreno, né anticrittogamici. Abbiamo trovato molta rispondenza in tutto il circuito Coop, cliente che sente un’evoluzione del consumatore in questo senso.

A che punto è la cultura del cliente rispetto ai prodotti ecologici?

Le valenze positive del nostro prodotto dovrebbero essere estremamente pubblicizzate. Il cliente troppo spesso è invogliato dal prezzo, dalla pubblicità e da altri fattori che soltanto le grandi aziende possono permettersi di mettere in campo. Un prodotto ecologico invece ha un problema di plafond produttivo, non possiamo costruirne a livelli industriali. Per non parlare del problema economico: se le grandi organizzazioni distributive confrontano il prodotto in carta di canapa con quello in carta di cellulosa, noi perdiamo. Salvo vincere poi il confronto nel totale azzeramento dei costi di riciclo: il prodotto normale utilizza materiali con un costo di riciclo che sopporta tutta la collettività. Per quanto riguarda la cultura ambientale dei nostri clienti – la Coop, l’Esselunga, la Pirelli, la Fiat, il Consorzio Parmiggiano Reggiano, per fare dei nomi a caso – teniamo conto che l’Italia dovrebbe basare il proprio futuro sul concetto di qualità o di rispetto dell’ambiente, con accorgimenti che tendono a fare di tutti i prodotti made in Italy prodotti ecocompatibili. Un esempio di attenzione all’ecologia ci è venuto dalla Centrale del Latte di Roma, che ci ha conferito ordini molto interessanti, senza metterci in confronto con prodotti non ecologici.