L'AMBIENTE, LA CITTÀ, I VALORI

Qualifiche dell'autore: 
professore ordinario di Economia ed Estimo ambientale al Politecnico di Milano

Ringrazio tutti i presenti, dall’amico Carlo Monaco al dottor Sergio Dalla Val, che è stato così cortese nell’organizzare la presentazione del volume.

Devo anche ringraziare il professor Armando Verdiglione per l’invito rivolto a partecipare al laboratorio editoriale da cui è sorto il mio libro L’ambiente, la città, i valori (edito da Spirali). Questo invito, che mi è stato ripetuto per più di un triennio, è stato da me accolto perché poneva sul tappeto il tema dello sviluppo sostenibile e suscitava l’aspettativa di vedere emergere posizioni diverse rispetto a quella dai più accolta. Oggi devo dire che questo risultato è stato raggiunto.

Si è assistito per troppo tempo a una pianificazione fisica monobiettivo. L’ideologia marxista aveva individuato come principale e spesso unico obiettivo della pianificazione fisica il contenimento, o meglio, l’annullamento della rendita edilizia. Tutti i disastri che abbiamo avuto nelle nostre città, tra i quali le periferie squallide, sono il risultato di un tale modo di concepire urbanistica. In assenza di una visione strategica sui destini della città, si è affermata l’urbanistica dei retini che, per evitare appunto vantaggi alla proprietà fondiaria, ha determinato, con l’assunzione di bassi indici di fabbricabilità, inaccettabili consumi di suolo per gli usi urbani e, quindi, un’impropria espansione dei sistemi urbani.

A me sembra che alcuni ambienti politici e culturali abbiano interpretato l’ideologia dello sviluppo sostenibile nella considerazione di un’unica finalità: la tutela ambientale.

Ma non è così: lo sviluppo sostenibile è pluriobiettivo. È necessario pensare al cambiamento della città e del territorio attraverso un’analisi attenta alla complessità, che sia indirizzata verso l’individuazione delle soluzioni più soddisfacenti rispetto ai reali bisogni delle popolazioni, attraverso un accorto processo di valutazione degli effetti.

Molteplici sono gli aspetti che devono essere presi in considerazione, a partire da quelli culturali, legati al riconoscimento dei diritti delle minoranze e delle etnie, fino al riconoscimento della giustizia all’interno delle generazioni e alla battaglia contro la povertà, contro l’emarginazione femminile, nonché contro qualsiasi sopruso nei confronti di ogni singolo individuo.

Uno degli imperativi dello sviluppo sostenibile è l’equità, intesa sia come giustizia  intragenerazionale, sia, in termini ancor più significativi, come giustizia intergenerazionale. Nella valutazione delle possibili soluzioni ai problemi delle attuali generazioni, appare imprescindibile la questione della tutela dei diritti di chi ancora non è nato. Ecco perché è riduttivo limitare lo sviluppo sostenibile alla tutela dell’ambiente e occorre, invece, ampliarne la dimensione problematica e giungere alla tutela dell’uomo e del suo futuro. Tra gli obiettivi prioritari c’è il miglioramento della qualità della vita, che non può essere misurata solo attraverso la crescita del reddito. La tutela dell’ambiente deve consentire all’uomo di vivere meglio e di evitare di condurre le proprie azioni oltre la capacità di carico dell’ambiente stesso, provocando, laddove ve ne sia il rischio, catastrofi. Non è un atteggiamento verde in sé, quanto piuttosto un atteggiamento responsabile che pone al centro l’uomo e considera l’ambiente strumentale rispetto all’esigenza di vita e di sviluppo dell’uomo stesso.

Rispetto a questi chiari indirizzi, è significativo ricordare che nell’ambito della pianificazione fisica si sono affermati strumenti evoluti e attenti alla complessità del reale ai fini di un miglior governo del territorio. Uno di questi strumenti è l’Agenda 21 locale, la cui attuazione ha incentivato lo sviluppo di forme di pianificazione partecipata. L’Agenda 21 è un programma di azioni che prevede il coinvolgimento intorno a un tavolo di tutti i soggetti portatori di interesse, l’attivazione di un forum rispetto a uno specifico problema relativo a un determinato ambito territoriale, al fine di ritrovare nell’analisi, nella comprensione e nella discussione delle diverse posizioni emergenti, quel riconoscimento dei poteri – come direbbe Bruno Leoni – tale da creare condizioni di giustizia ed equità.

L’altro modo che si ritiene rilevante è rappresentato dalla proposta di legge di Società Libera, che si è voluta redigere con forte valenza riformista, nel senso che non vuole rivoluzionare nulla dell’attuale quadro della legislazione urbanistica nazionale, ma vuole distinguersi, rispetto a tale quadro, innovando il governo dei sistemi urbani attraverso il passaggio a una pianificazione per obiettivi e, quindi, di natura prestazionale. La rendita a volte deve essere combattuta, a volte invece diventa un elemento importante per chiudere molte operazioni economiche e politiche o per far sopravvivere alcuni gruppi o soggetti che fanno politica. Alla luce di queste considerazioni la proposta di Società Libera è incentrata sull’urbanistica concorsuale. Essa pone al centro dell’intero processo di trasformazione urbana l’impresa – l’impresa con la maiuscola – intesa come uno dei cinque fattori fondamentali della produzione e che viene definita dagli economisti liberali l’intelligenza superiore che opera per il cambiamento. Questa impresa nel progetto di legge presentato viene messa in competizione con le altre. A tal fine il Project Financing, istituto che è stato introdotto nella nostra legislazione con l’art. 37bis della legge 109 del 1994 e sue successive modificazioni, la cosiddetta Legge Merloni, viene esteso dal settore dei Lavori Pubblici al settore della pianificazione fisica. Tale istituto, essendo fondato su procedure concorsuali, stimola la generazione di una pluralità di alternative d’intervento, esaltando la potenzialità dell’impresa di creare valore a favore dell’intero sistema economico. In questo modo l’impresa diventa l’elemento generatore delle ipotesi di trasformazione di un determinato ambito territoriale, nella considerazione che la natura multidimensionale degli interventi di riqualificazione urbana possa essere affrontata solo attraverso un quadro conoscitivo ampio e una procedura che consenta d’individuare l’alternativa più soddisfacente e che meglio sappia interpretare la complessità del reale.

A questa esaltazione dell’impresa e a questo riconoscimento del suo ruolo strategico per il progresso umano è stato affiancato l’annullamento del ruolo della proprietà fondiaria. Se è vero che molti guasti sono stati procurati dall’ideologia marxista del monobiettivo, che doveva a tutti i costi colpire la rendita, moltissimi altri guasti sono stati provocati dall’intervento improprio della proprietà fondiaria nella catena delle decisioni. Questo rapporto tra proprietà fondiaria e politica, spesso non dichiarato nel passato, si è rivelato molto pericoloso per la collettività. Pur avendo proposto l’espropriazione di pubblica utilità di tutti i beni presenti nel comparto oggetto dell’intervento di riqualificazione urbana (CRU), la proprietà immobiliare è stata tutelata attraverso specifiche norme di perequazione urbanistica. I soggetti proprietari dei beni appartenenti a tali comparti possono partecipare ai processi di trasformazione urbana nell’ambito dell’attuazione dei Programmi d’intervento per lo sviluppo sostenibile urbano (PISSU) sia mediante l’acquisizione del diritto a partecipare alla distribuzione degli utili Società di riqualificazione urbana (SRU), sia mediante il conferimento della totalità o di parte dei beni alle stesse a fronte della sottoscrizione di azioni di risparmio.

In questo modo la proprietà assume il ruolo di promotore e di azionista del cambiamento nell’ambito del progetto di trasformazione urbana.