LA POLITICA DELL'ASCOLTO

Qualifiche dell'autore: 
psicanalista, cifrante, brainworker, imprenditore

L’indagine intorno alla politica, in modo specifico, nella scienza della parola, ha trovato nei primi congressi una materia straordinaria, segnatamente nei primi quattro o cinque. Il primo, dal titolo Psicanalisi e politica, si è tenuto l’8 e il 9 maggio 1973 a Milano. Sono seguiti il congresso dal titolo Follia e società segregativa, nello stesso anno in dicembre, e il congresso dal titolo Psicanalisi e semiotica nel maggio del 1974. Psicanalisi e politica era il titolo di un’opera molto nota di Marcuse. Il nostro congresso andava in tutt’altra direzione, per sospendere il freudomarxismo che in Italia si presentava, piuttosto, come lo jungomarxismo, come un assorbimento della breccia della parola, inaugurata con la psicanalisi sulla scia del Rinascimento, nella psichiatria o nella psicologia medica, quindi nei settori e negli ambiti istituzionali della gestione della salute pubblica trattata come salute mentale. La questione, nel congresso Sessualità e politica (fine novembre 1975), ha trovato ancora di più il modo di precisarsi. Ma, intanto, già sessualità è in un’accezione differente da quella di Freud, perché c’è qualcosa che oscilla in Freud fra il naturalismo e ciò che naturalismo non è. Leggendo tra le righe Freud e restituendo il suo testo, noi possiamo dire che il significante sessualità, che egli ha coniato, può essere colto in un’accezione non naturalistica. Però ci sono anche le premesse, nel suo discorso, dello sperimentalismo e del naturalismo, anche se più di una volta egli dichiara di non fare sperimentalismo. Sopra tutto, il suo intervento è nettissimo per quanto riguarda la psicoterapia: la sua non è psicoterapia, quindi non rientra nella cura del dualismo psicofisico, non è la cura dell’unità corpo-psiche, sul modello ontologico. La sessualità è intellettuale, incomincia a emergere con Freud, quindi anche con Lacan. Nel discorso di Lacan, essa scivola verso quello che egli chiama il reale.

Ecco la questione: la sessualità non è reale, la politica non è reale, ovvero la sessualità, la politica, non appartiene al registro dell’impossibile, al labirinto, al registro della legge della parola e al registro dell’etica della parola. La sessualità sta nell’intervallo tra questi due registri: sta dove le cose si raccontano e si fanno; segnatamente dove si fanno. E non si fanno, se non si raccontano. Il racconto è sogno e dimenticanza. Questo implica che una funzione, esclusa dal discorso occidentale, la funzione di Altro, è essenziale per la sessualità, per il racconto, per il fare, per la poesia. Cogliere la funzione di Altro come essenziale per la politica è una cosa che chiamare rivoluzionaria è un eufemismo, perché la politica con l’ontologia sorge espungendo l’Altro, rappresentandolo, personificandolo. Il principio del due non è il principio dell’unità, quindi di non contraddizione, d’identità, del terzo escluso, principio di circolarità. La logica predicativa esclude la politica intellettuale, la politica pragmatica, la politica irreale.

La sessualità è questo. La sessualità è politica: politica dell’ospite, politica dell’Altro. Non può essere determinata dal criterio dell’armonia sociale, della proporzione sociale, della simmetria sociale, della relazione sociale, da nessuna genealogia, da nessuna appartenenza a un gruppo, a una casta. Anche l’indagine di Lévi-Strauss intorno alle Strutture elementari della parentela esclude la sessualità. La esclude ponendola nel reale, nell’impossibile da semiotizzare, da grammaticalizzare, da disciplinare. In qualche modo, una differenza tra Lacan e Freud. Ma occorre un altro approccio rispetto al discorso occidentale, un approccio differente alla politica. Questa politica non può introdurre l’ascolto nel canone occidentale e nella moratoria e l’ascolto non può essere gestito nell’ambito di un’anfibologia animale circolare come medico-paziente. La dicotomia medico-paziente presuppone un sistema morfologico e genealogico: invece, la sessualità procede dall’apertura, è pragmatica, è politica, secondo la trinità, non nel senso di tre unità, ma di logica singolare triale. La questione della trinità è sorta con il cristianesimo e certamente con sant’Agostino, che è giunto a intendere l’atto di Cristo come qualcosa che è senza ritorno. L’atto è originario, l’atto è senza ritorno, l’atto non serve per ritornare all’uno, dall’uno all’uno o all’essere o al numero ideale o, comunque, all’unità. E così, l’avvenimento.

L’avvenimento e l’evento sono propri della politica. Quello che avevo chiamato, negli anni settanta, il soggettuale (parodiando, per indicare che non c’è più la creatura gnostica, che è il soggetto) è l’evento come effetto del tempo, effetto pragmatico, effetto politico. Sia l’evento come effetto politico sia l’ascolto sono cose tolte dal canone occidentale, pertanto dal modello professionale e confessionale, dalle categorie sociali. Allora, qualsiasi gestione della salute cosiddetta mentale, quindi della salute trattata come mentale, viene sempre a togliere, con l’Altro, anche l’ascolto, personificando l’Altro, inserendolo nell’anfibologia, canonizzando, formalizzando l’ascolto, evitandolo. Evitare l’ascolto significa evitare la scrittura della politica. Ma, perché la politica si scriva, occorre l’idea della voce, l’idea del punto vuoto e del punto di oblio, punto vuoto o punto di astrazione. Quindi, sta in una definizione intellettuale, artistica e culturale, la politica. Noi siamo abituati al fatto che l’arte e la cultura, invece, siano definite dalla politica. C’è, così, una definizione politica dell’arte e della cultura. Ma occorre una definizione culturale e artistica, intellettuale della politica. Questa è una definizione per astrazione, non è una definizione concreta. Ma l’astrazione non bisogna intenderla in un modo negativo. L’astrazione è nell’intervallo: è ciò che sta nell’intervallo. E l’intervallo è essenziale al viaggio, dove vige il principio di realtà, il contingente. Ciò che occorre fare è stabilito dal racconto e da qui segue la politica e anche la scrittura della politica. Perché la politica si scriva, occorre che l’idea operi, l’idea della voce. Si scrive. Quindi, le cose s’intendono. Ma si scrive attraverso la lingua altra, attraverso la lingua diplomatica. Queste sono le due grandi invenzioni del Rinascimento: la politica in un’accezione non occidentale, non aristotelica, e la diplomazia. E è questo che l’Italia può ancora oggi consegnare al pianeta.