L'ACQUA, BENE PUBBLICO MONDIALE

Qualifiche dell'autore: 
economista, consigliere della Commissione Europea a Bruxelles, docente dell'Università Cattolica di Lovanio

Intervista di Anna Spadafora

Lei sostiene che l’accesso all’acqua potabile è un diritto umano, universale, indivisibile e indiscutibile. Eppure, oggi nessun trattato internazionale, nessuna dichiarazione dei diritti degli esseri umani, nessuno stato riconosce l’accesso all’acqua come diritto.

Per me è inaccettabile che l’accesso all’acqua non figuri tra i 48 diritti presenti nella Dichiarazione Universale. L’acqua è un bene comune pubblico mondiale, e non solo un bene comune pubblico delle popolazioni amazzoniche, né degli Inuit. Le popolazioni Inuit del Canada del Nord dicono che l’acqua è loro. È vero che l’acqua è loro, perché è un bene comune pubblico, e non solo degli esseri umani, ma anche delle piante e degli animali. Ora, non c’è nessuno stato, nessuna convenzione, nessun trattato, nessuna religione organizzata che abbia riconosciuto che l’acqua è un bene comune, pubblico, che appartiene alla vita, alle specie viventi di questo pianeta. E se è vero che la nostra è una società organizzata, se è vero che c’è la mondialità della condizione umana – mondialità che non esiste solo ora ma esisteva mille anni fa ed esisterà fra migliaia di anni, anche se non la vogliamo –, questa mondialità deve esprimersi attraverso il riconoscimento che questi esseri umani hanno delle cose in comune e che sono responsabili di questi beni comuni.

Oltre all’acqua, anche il sole deve essere affermato come un bene comune pubblico dell’umanità e della vita, senza aspettare che tra cinquant’anni l’economia capitalista di mercato li privatizzi.

Il Club di Lisbona, sotto la sua direzione, pubblicò anni fa un documento, I limiti della competitività, che suscitò un vasto dibattito. Cosa pensa oggi della competitività?

Noi diciamo no alla logica della competitività perché è una logica di guerra, una logica di violenza che esalta la capacità di dominio del più forte, del migliore e che dà legittimità politica a colui che è più competitivo e quindi non ammette la comunità politica. La competitività è una negazione dell’esigenza della ragione della comunità politica perché la politica è una serie di decisioni basata sulla cooperazione. E quindi noi proponiamo che, per quanto riguarda l’acqua, ci siano contratti di cooperazione per la sua gestione. È possibile fare contratti di cooperazione per i fiumi transnazionali come il Nilo, il Samaputra, il Tigri e l’Eufrate. E noi proponiamo che siano assemblee elette dai cittadini che gestiscano il contratto di cooperazione, come per esempio in Belgio e in Svizzera funzionano relativamente bene i contratti di foresta e i contratti che si chiamano Les contracts des rivières: le popolazioni interessate a un fiume, non un grande fiume, si mettono d’accordo per gestire meglio. Ha funzionato per tanti fiumi in parte della Francia, quindi, è possibile.

Occorre allora anche inventare nuove istituzioni finanziarie?

La più grande innovazione finanziaria degli ultimi trent’anni – anche se poi resta limitata perché non cambia il sistema – non sta mica nei futures o negli options, o in tutte queste forme speculative, ma è il credito ai poveri: 5 dollari, 2 dollari, 1 dollaro per cambiare una finestra. Questa è stata la più grande innovazione finanziaria degli ultimi trent’anni. Quindi si può inventare. Il credito ai poveri ha cambiato le condizioni di vita di due milioni di persone nel Bangladesh. Certo, uno può dire che sono briciole due milioni di persone in Bangladesh, ma è la prova che è possibile fare un’altra economia finanziaria.

Penso che l’acqua riveli che si possono fare tante cose per una trasformazione veramente radicale. Tutto chiaramente dipende dal fatto se vogliamo fare lotte politiche, civili e sociali, perché la storia ha dimostrato che si è avanzato, ma si è avanzato perché ci sono state lotte sociali. Se io ho i diritti sociali che ho, lo devo a tutti i nostri nonni e bisnonni che hanno lottato per anni e anni per affermare i diritti sociali, ma ce l’hanno fatta e ce l’abbiamo fatta. E ce la faremo anche per l’acqua. Perché dobbiamo accettare che noi ricchi spendiamo 347 miliardi ogni anno, un miliardo al giorno, per finanziare l’esportazione della nostra agricoltura, che distrugge l’agricoltura di paesi come l’India, l’Asia, l’Africa e America latina? Noi possiamo fare una lotta per riorientare i 347 miliardi in un’agricoltura biologica e che rispetti le tradizioni contadine. Questi miliardi ci sono già, non occorre aumentare i deficit pubblici o le tasse, si possono riorientare e sono i cittadini che possono farlo. Questi miliardi possono essere utilizzati per favorire l’accesso all’acqua per tutti, non per fare regali, per fare i pozzi, per fare le cisterne, per far sì che loro siano messi in condizioni di creare le loro possibilità.