CONTRAFFAZIONE ALIMENTARE E TUTELA DEI MARCHI

Qualifiche dell'autore: 
avvocati, soci dello Studio di consulenza in proprietà intellettuale F&M, Modena

"Noi non facciamo per il cliente ma con il cliente” è lo slogan dello Studio F&M, che offre servizi di grande qualità nel settore della proprietà intellettuale. Allora, possiamo dire che il vostro approccio non è standard, ma comporta l’elaborazione di una strategia nuova ciascuna volta?

Sicuramente, il nostro non è un approccio standard e oggi non può più esserlo, considerando che le esigenze di tutela della proprietà intellettuale, anche all’interno di uno stesso settore produttivo, sono molto diversificate: quelle di un produttore di abbigliamento intimo, per esempio, non sono le stesse di quelle di un produttore di abbigliamento per bambini. È dunque fondamentale un approccio su misura, che ha alla base l’analisi delle esigenze particolari e specifiche in ciascun caso. Per questo diciamo che “facciamo con il cliente”, nel senso che cerchiamo di capire il più possibile la realtà produttiva e imprenditoriale, sia per soddisfare le esigenze economiche produttive o logistiche proprie di ciascuna azienda, sia per assecondarne gli aspetti “caratteriali”, per dir così. Anche le tecniche comunicative che usiamo sono differenti a seconda dell’impresa: c’è chi preferisce un approccio più formale, ricercato, con un maggior impiego di documenti cartacei, e chi, invece, un approccio più pragmatico e meno strutturato.

Quando acquisiamo un nuovo cliente o un nuovo incarico, i primi mesi di lavoro per noi sono di conoscenza. Siamo molto presenti in azienda e parliamo con varie persone, dal responsabile commerciale a quello della produzione, per capire gli aspetti fondamentali della commercializzazione dei prodotti. Verifichiamo quali sono i canali distributivi, in che modo i prodotti vengono promossi e esposti sul mercato, se sono fabbricati all’interno o, in parte, all’esterno e, in questo caso, quali sono i rapporti con l’esterno, soprattutto se i prodotti sono caratterizzati da un know-how o da informazioni importanti per l’azienda che devono essere salvaguardate, chi sono i partner e che cosa fanno. Questi aspetti vengono pian piano acquisiti nei primi mesi in cui ci relazioniamo con un’azienda cliente per verificare come possiamo intervenire nel modo più efficace per affrontare gli anelli più deboli della struttura e tutelare la proprietà intellettuale. Non è sempre semplicissimo ma, quando giungiamo a comprendere compiutamente le realtà aziendali coinvolte, la gestione delle problematiche diventa più diretta e veloce e consente all’imprenditore di venire a conoscenza dei veri problemi da risolvere. Questo può fare la differenza.

Che cosa potete dirci a proposito delle contraffazioni alimentari che, purtroppo, si verificano con sempre maggiore frequenza?

Sicuramente il problema della contraffazione alimentare desta preoccupazioni che hanno risvolti psicologici del tutto assenti in altri tipi di contraffazione: se l’acquisto di una borsa o un paio di occhiali griffati falsi non spaventa nessuno – l’ottanta per cento degli acquisti di tale genere avviene in maniera consapevole –, chi mai comprerebbe un prodotto alimentare contraffatto? Questo aspetto è importante sotto il profilo giuridico, perché la repressione non può che agire sull’offerta del bene contraffatto, non certo sulla domanda, che è inesistente da parte del consumatore; addirittura, gli stessi operatori, nella maggior parte dei casi, sono ignari. In questo ambito, a maggior ragione, la tutela deve avvalersi sempre più degli strumenti che i codici penali dei vari paesi prevedono. Ma questo non vuol dire che in ambiti differenti, che non toccano la nostra salute, la contraffazione sia meno dannosa e quindi meno perseguibile dalla legge. Anzi, le politiche atte a disincentivare la contraffazione sono di fondamentale importanza. In questo senso in Italia c’è una normativa di tipo amministrativo, applicata raramente, che prevede che il consumatore che consapevolmente acquista un bene contraffatto e sia in grado di rendersene conto vada incontro a una sanzione amministrativa. Resta quindi il fatto che il danno economico è enorme per ciascun prodotto. Prova ne è, per esempio, il cosiddetto italian sounding, la propensione dei marchi nel settore alimentare in vari paesi ad avere nel loro sound (suono) qualcosa che rimanda all’Italia, pur non avendone diritto. Nel nostro paese questa fattispecie è punibile ai sensi dell’art. 517 del C. P., quindi implica addirittura una responsabilità penale. In altri contesti geografici da un lato gli imprenditori dovranno fare una buona operazione registrando i propri marchi, dall’altro è utile un’operazione di politica istituzionale per sensibilizzare le amministrazioni pubbliche e coloro che s’interessano alla difesa da questo tipo di frode, che investe non solo la singola azienda, ma lo stesso marchio Italia, che ne esce, per dir così, annacquato.

Nel settore alimentare molto spesso il consumatore acquista il bene senza riconoscere che è frutto di contraffazione. L’americano che comprava Parmesan fino a qualche mese fa sicuramente non aveva la percezione che si trattava di un prodotto contraffatto. Questo perché la cultura alimentare è del tutto insufficiente a tenere basso il rischio di contraffazione: solo il consumatore colto e attento non è attirato dal prodotto contraffatto. Per questo hanno un ruolo molto importante i comitati promotori o i consorzi, che diffondono la cultura alimentare. In Italia manca un lavoro costante di comunicazione e marketing e i consorzi molto spesso si autofinanziano e si sostengono grazie ai soci, che mettono a disposizione il loro tempo. Servirebbe invece il supporto delle istituzioni, così come avviene in Francia, dove l’autorità pubblica ha un importante ruolo di sorveglianza e gestione delle denominazioni di origine controllata. Un investimento sui consorzi, da parte delle nostre istituzioni, potrebbe avere una ricaduta molto importante per lo sviluppo del settore alimentare nel nostro paese e non solo.