FIDEL, RAUL E I CUBANI

Qualifiche dell'autore: 
scrittore e dissidente

In Sud America ci sono alcuni paesi con governi di sinistra, non tutti dittatoriali. Fallito il modello russo, lei vede in questi paesi un possibile modello di sviluppo del paese cubano in alternativa agli Stati Uniti?

Ho vissuto 32 anni, metà della mia vita, sotto una dittatura, quindi posso affermare di essere un esperto di regimi dittatoriali. A Cuba molte cose sovietiche andavano di moda, però si può dire che il primo a introdurre una certa apertura, una novità nella realtà sovietica, fu proprio Lenin, nel 1923, con un progetto che si chiamava NEP, Nuova Politica Economica.

Credo che si parli sempre tanto di apertura nei regimi sovietici, così come si è sempre parlato di riforme, però in realtà non si è fatto mai nulla. L’unica prima vera riforma nel mondo sovietico fu quella di Gorbacev, le cui conseguenze sono note a tutti: il crollo totale del sistema. Credo che il sistema comunista non possa funzionare se non si mantiene la rigidità dello stato, altrimenti si sgretola nelle mani. L’unico sistema in grado di apportare davvero riforme è il sistema capitalista, perché è un sistema vivo, un sistema in continuo movimento e cambiamento, il socialismo invece è qualcosa di rigido, immobile. Ogni volta che si cerca di cambiarlo, si rompe, si distrugge. Raul Castro ha vissuto 76 anni della sua vita eseguendo gli ordini del dittatore. Può una persona di questa età, con la biografia che ha alle spalle, diventare un riformatore? Una persona che è stata sempre la seconda personalità dello stato per importanza, anche quando ci vivevo io? Non credo che accadrà, ma se accadrà sarà un bene per il paese, un bene per Cuba. Non m’importa di sbagliare le previsioni, non sono né un profeta né un politologo: sono soltanto uno scrittore, come prova il mio libro Lorenzo e l’agnello del diavolo (Spirali), e non m’interessa se mi sbaglio.

Tra il ‘90 e il ’91, un gruppo di intellettuali cubani, del quale facevo parte, scrisse una lettera chiedendo al governo cubano cinque riforme. Quattro di queste erano davvero sciocchezze, non ricordo neanche cosa fossero, una però era davvero importante: riguardava la libertà senza condizioni per tutti i prigionieri politici. Volevamo che venissero liberati e senza essere costretti ad andare via da Cuba o a fare qualcosa in cambio, perché queste persone non meritavano di stare in carcere, non avendo commesso alcun reato. Non è accaduto niente di tutto ciò. Ma abbiamo qualche speranza? Non credo che Raul Castro libererà queste persone, anche perché afferma che sono mercenari, agenti della CIA, agenti dell’impero. Se lo farà significherà che qualcosa sta davvero cambiando, ma quello che sta accadendo ora non sono veri cambiamenti: avere un cellulare, andare in un hotel, queste cose introdotte adesso sono normali, proprie di qualsiasi paese normale. Quello che succede a Cuba è effetto di un regime totalmente impazzito che ritiene che sia un privilegio possedere un cellulare.

L’ideale della rivoluzione in Sud America è indubbiamente molto antecedente a Fidel Castro. Pensiamo a Simon Bolivar, a Benito Juarez e agli altri rivoluzionari messicani. Lei ritiene che questa mitopoiesi legata alla figura del rivoluzionario sia ancora presente in Sud America e possa ripresentarsi in futuro con altre figure?

C’è una frase che dicono i messicani, i quali sono specialisti nel produrre frasi del genere: “Questa rivoluzione è degenerata in governo!”. Il problema è proprio questo. Robespierre è stato un rivoluzionario, è arrivato al governo e ha lasciato un brutto ricordo. Garibaldi invece non è mai andato al governo e non sappiamo cosa sarebbe successo, non sappiamo se avrebbe costituito un cattivo governo, ma non vale la pena pensarlo, non sarebbe neanche giusto.

Un esempio a Cuba è stato José Martì, senza alcun dubbio il numero uno dei cubani, un regalo di Dio, che purtroppo è durato troppo poco. Tuttavia, non sappiamo quello che sarebbe successo se fosse arrivato al governo, come non lo sappiamo nel caso di Garibaldi. Bisogna vedere qual è l’effetto del potere sulle persone. È un aspetto da non sottovalutare, perché in molti casi l’effetto non è dei migliori. Tuttavia, ritengo che non sia stato il potere a fare diventare Fidel Castro quello che è, perché lui è sempre stato una persona cattiva, malvagia. Nel ‘91 ho scritto su un giornale questa frase: “Noi cubani dovremo pagare un prezzo molto alto per avere seguito questa persona abominevole, mossa dall’odio, dall’invidia e dallo zelo per il potere”. Credo che i cubani dovranno davvero pagare per tutto quello che hanno fatto in questi cinquant’anni, per come si sono comportati gli uni con gli altri. Nel 1980, i cubani si comportarono molto male fra loro, ma non contro persone che si opponevano a Fidel o semplicemente volevano andare via da Cuba. Hanno agito con una crudeltà indicibile e per questo dovranno pagare, non so come, ma dovranno pagare.

Può ricordare che cosa è successo nel 1980?

Un gruppo di persone occupò illegalmente l’Ambasciata del Perù. Fidel in quell’epoca era in contrasto con l’ambasciatore peruviano e con il governo di quel paese. Ebbe allora una delle sue idee geniali. Per fare arrabbiare l’ambasciatore, richiamò la polizia che circondava l’ambasciata, pensando che così poteva entrare qualche centinaio di persone. In realtà entrarono mille persone e poi seguì il cosiddetto esodo del Mariel. Le persone che se ne andarono s’imbarcarono attraverso il porto del Mariel e vennero trattate dagli stessi cittadini cubani con una crudeltà senza precedenti. In quel momento pensai che non avevo mai immaginato che potessero esistere tante persone cattive nel mio paese: crudeltà da parte dei cittadini, non della polizia. La polizia non fece nulla proprio perché era istigata dal governo. Ma nessuno può essere obbligato a comportarsi in maniera così cattiva: se lo fa, è perché è cattivo.