LO SBERLEFFO DI EROFEEV

Qualifiche dell'autore: 
docente di Letteratura russa all'Università di Bologna

L’Anima russa. Chi non ne ha sentito parlare? È un mito che ciascuno riempie di significato a proprio piacimento, è celebrata come grande, vasta, inconoscibile, affascinante, ma in definitiva è uno stereotipo, che nella coscienza dei lettori stranieri è legato ai nomi di grandi scrittori, come Tolstoj, Dostoevskij, Cechov, Solgenicyn. Temo che la conoscenza della letteratura russa, nel migliori dei casi, finisca qui.

Certo, l’idea di comporre un’enciclopedia dell’anima russa non è nuova: già Belinskij lodava il romanzo in versi di Puskin, Evgenij Onegin, definendolo “enciclopedia della vita russa”. Molti autori russi si sono riproposti il compito di offrirne il ritratto più veritiero e fedele possibile nell’arco degli ultimi duecento anni. Viktor Erofeev ci prova nel 1999, alla fine dell’epoca eltsiniana, il decennio che ha visto la disgregazione dell’URSS, il faticoso riformularsi dell’identità statuale e politica della nuova e vecchia Federazione Russa, orbata di una buona fetta di territori che tradizionalmente riteneva propri di diritto; con la memoria ancora fresca del default finanziario, prima che il nuovo uomo forte, Vladimir Putin, giungesse a risollevarla dalla sua apparente decadenza, riportandola nuovamente a un ruolo di arbitro e protagonista sulla scena internazionale.

E, se proprio vogliamo fare una piccola citazione da questo libro, L’enciclopedia dell’anima russa, che è una sorta di pozzo di san Patrizio di citazioni e di aforismi, potremmo ricordare cosa dice alla voce Così non va: “Il crollo di divieti esteriori è avvenuto molto rapidamente e in modo inavvertito. Per velocità di affrancamento dai tabù nell’ultimo decennio la Russia ha coperto la distanza di alcuni secoli. Sono passate inavvertite le abrogazioni non solo dei veti sovietici ma anche di quelli russi tradizionali”.

Erofeev esprime così in modo abbastanza sintetico e paradossale il cambiamento di mentalità epocale verificatosi nel corso di pochi anni nella società russa. Un fenomeno questo non nuovo nella cultura russa, che è caratterizzata dalla discontinuità, da impennate, da salti, da improvvise virate.

Come sappiamo, Viktor Erofeev ha una solida fama di provocatore, riesce a bilanciare sapientemente considerazioni azzeccate e profonde sulla società e la cultura del proprio paese con incursioni nei territori di quella che comunemente è definita pornografia o turpiloquio. Non a caso, ha suscitato reazioni particolarmente vivaci e non di rado aggressive da parte dei suoi detrattori. Il suo gusto nell’assestare schiaffi in faccia al pubblico benpensante e passatista, in senso nostalgico e filosovietico, con tutti i tabù e le ipocrisie linguistiche e pseudomoralistiche dell’epoca sovietica, che rimangono tuttora ben radicate nella mentalità della popolazione, gli è valso fama e successo, con buona pace degli attacchi della critica, che spesso ha visto nelle sue opere vere e proprie concessioni agli appetiti più deteriori. Non si smentisce neanche con questa sua Enciclopedia: il tono apodittico, aforistico, a volte surreale, a volte impregnato di fitti e complessi riferimenti culturali e intertestuali, si mescola con passi decisamente grevi, da bassifondi, con tutte le espressioni gergali, il turpiloquio, l’onnipresente quasi ritualistica misoginia, tanto poco politically correct da essere estremamente cool, se non fosse che il lettore, anzi meglio la lettrice, si chiede spesso in quale girone infernale si sia sprofondati. E invece no, questo girone infernale altro non è che la vera, santa, enigmatica Russia. Uno stereotipo? Se lo chiede anche l’ambiguo e diabolico Grigio che, nonostante i vari tentativi del narratore protagonista di farlo fuori, sembra sempre risorgere dalle sue ceneri, come l’araba fenice, o meglio come la Russia.

Il lettore italiano non si aspetti quindi un trattato filosofico, o politico, né un romanzo nel senso della grande tradizione realistica russa. Siamo decisamente nella dimensione della post, post, post-modernità, del post-impero russo, del post-impero sovietico, del post in assoluto. Ma a volte la storia sembra rivoltarsi e cominciare a girare a ritroso, ripetendo come in un fast rewind scene già viste.

Il lettore italiano si ritroverà di fronte a un testo a tratti estremamente divertente e scurrile, a tratti profondo, a volte decisamente irritante. È un libro difficile da accettare ad una prima, superficiale lettura, la cui complessa struttura si rivela solo a chi abbia la pazienza di leggerlo da cima a fondo e resista alla tentazione di gettarlo via in un impeto di disgusto e di sdegno. È un libro decisamente enigmatico per chi non conosca a fondo le vicende culturali, politiche, letterarie, nonché la vita quotidiana della vecchia e nuova Russia. La trama si svolge con continui salti temporali, spaziali e logici, tra una selva di voci di enciclopedia che riprendono e divagano sui tratti nazionali specifici dell’anima russa.

Al centro della vicenda l’enigmatico, diabolico Grigio, il personaggio che occorre uccidere per cambiare la Russia. La trama sostanzialmente verte su un assassinio su commissione, dove il narratore protagonista assumerà l’incarico di uccidere il Grigio, non prima di aver però inopinatamente fraternizzato con lui, bisbocciato con lui e ammazzato con lui. Troviamo il solito armamentario di personaggi degni della fiction più dozzinale: l’inevitabile spia americana – Gregory, russofobo e impotente, una specie di anti-zerozerosette –, la inevitabile amante francese, ninfomane, però colta e in tutto e per tutto corrispondente agli stereotipi più triti della femminilità. Il narratore protagonista, ora complice, ora avversario, ora boia del Grigio, in un finale degno di un Rambo, ammazza tutti, con una successiva, inevitabile e cinica eliminazione dell’assassino stesso, identificandosi con il Grigio. Il Grigio, insomma, è l’anima russa, che deve essere distrutta, ma che è indistruttibile perché, distruggendola, si distrugge se stessi.