LE NUOVE FIBRE PER LE RISTRUTTURAZIONI

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presidente di ARDEA Progetti e Sistemi

ARDEA Progetti e Sistemi ha introdotto in Italia l’impiego di materiali compositi – con il sistema brevettato Betontex – per la ristrutturazione statica e architettonica di edifici e palazzi storici. Com’è nata e come si è sviluppata questa tecnologia?

Il metodo che utilizzava fibre per rinforzare le strutture in muratura e in calcestruzzo era stato inventato già alla fine degli anni cinquanta, ma solo nella metà degli anni ottanta ha incominciato a essere utilizzato negli Stati Uniti e soprattutto in Giappone, sfruttando nuovi materiali con caratteristiche molto avanzate come fibre di carbonio, fibre aramidiche e fibre di vetro. Quindi, la novità non era tanto nel procedimento, quanto nell’adattamento dei compositi, normalmente utilizzati in campo aeronautico, all’edilizia. Certo, nei cantieri, nonostante la presenza di personale specializzato, non si potevano riprodurre le condizioni privilegiate delle sale di assemblaggio dei componenti degli aerei, in cui i delicatissimi materiali compositi vengono manipolati indossando tanto di camice e guanti bianchi, in ambienti condizionati antipolvere. Quindi, il compito non è stato facile.

In Giappone avevano già adattato materiali compositi all’edilizia, ma con problemi diversi dai nostri: loro dovevano rinforzare grattacieli in calcestruzzo mentre il nostro problema era e sarà sempre di più la ristrutturazione di monumenti e palazzi storici. Allora, all’inizio degli anni novanta, quando iniziammo una collaborazione in Italia con la prima azienda giapponese che utilizzava questi materiali, capimmo, e cercammo di fare capire, che occorreva un enorme lavoro per sviluppare un know-how specifico per adattare queste tecnologie al recupero dell’immenso patrimonio monumentale del nostro paese. Questa sfida fortunatamente è stata raccolta da diverse Università – a Bologna, a Venezia, a Torino, al Politecnico di Milano, a Firenze, a Napoli, a Perugia – che hanno risposto molto bene, attivando sperimentazioni fondamentali e tali da rendere possibile compiere grandi passi nell’applicazione di questa tecnologia, in cui è stata importantissima l’azione condotta dall’AICO (Associazione Compositi per Edilizia).

Ma l’impulso è nato da voi e dalla vostra missione imprenditoriale…

Noi siamo stati sicuramente i primi, insieme al professor Di Tommaso dell’Università di Bologna: nel ’92 abbiamo incominciato le prime sperimentazioni all’Università e dal ’96 abbiamo introdotto sul mercato i prodotti giapponesi già collaudati, perché in Italia non esisteva niente del genere. Prima di arrivare a utilizzare le nostre tecnologie, abbiamo dovuto portare a termine diverse sperimentazioni nei cantieri, per capire se e in che misura i nostri materiali fossero adatti alle esigenze dei monumenti: non è facile applicare dei supporti strutturali ad una muratura di cui spesso non si conosce la composizione o la struttura o la natura dei materiali da cui è costituito: calce, sasso, cotto, muri a sacco, ecc. Ma alla fine abbiamo avuto la prova che i nostri prodotti e le nostre tecnologie sono addirittura migliori dei prodotti esteri e oggi i loro vantaggi sono talmente noti che dobbiamo combattere ogni giorno con i tentativi di contraffazione.

Ma forse non è così facile l’utilizzo della fibra di carbonio, occorre un’esperienza specifica, non è una semplice applicazione…

Certo, anche il modo di applicare il Betontex richiede un’analisi attenta: spesso troviamo capitolati che prescrivono un “rinforzo con fibre di carbonio”, senza specificarne le caratteristiche, le dimensioni e la tipologia. In questi casi è soltanto l’esperienza che può aiutare a capire se usare un nastro da dieci o da venti centimetri e quali sono le sezioni, le resistenze richieste e gli sforzi a taglio dell’adesivo. Sicuramente, distribuendo carichi su superfici maggiori la struttura ne ha un beneficio. Una delle cose più importanti che cerchiamo di trasmettere a chi vuole usare queste tecnologie è di non limitarsi a interventi localizzati, ma di capire la causa del fenomeno di degradazione e di risolverlo nel complesso, altrimenti il problema potrebbe ripresentarsi.

Quali sono i vantaggi dell’utilizzo del Betontex nel restauro conservativo?

Il restauro conservativo si occupa di dipinti, cornici e ornati, ma ha anche un aspetto strutturale molto importante: non si può recuperare un’opera senza tener conto della struttura sottostante, del suo sostegno. Nelle strutture antiche, l’utilizzo di queste tecnologie dà grandissimi vantaggi. In passato, si utilizzavano cordoli in calcestruzzo o tamponamenti e placcaggi di sostegno delle murature, che spesso erano terribilmente invasive e creavano problemi enormi, sovraccaricando la struttura che, in caso di sisma o di movimenti del terreno, anziché sostenerla, provocavano danni ingenti fino al possibile crollo. Le nostre tecniche hanno invece il grande vantaggio non solo di non apportare peso, ma di dare alla muratura una resistenza alla trazione che normalmente non avrebbe. Conferiscono tutto il vantaggio dei cordoli in calcestruzzo senza lo svantaggio del peso e dell’ingombro, perché questi rinforzi, di basso spessore, riescono a essere quasi sempre mascherati sotto gli intonaci. Un ulteriore vantaggio del sistema consiste nel fatto che, essendo un rinforzo esterno, consente d’intervenire in seguito senza danneggiare la struttura sottostante.

È noto il vostro apporto per il restauro di alcuni dei più importanti monumenti in varie città d’Italia – dalla basilica di San Petronio a Bologna a quella di Sant’Antonio a Padova, dalla basilica di Vicoforte (CN) a quella di Alba, dal Porticato di via Indipendenza sempre a Bologna alla Reggia di Venaria Reale a Torino –, e il nostro giornale ospiterà l’illustrazione di casi specifici nei prossimi numeri, ma può citare alcuni esempi dei problemi particolari che intervengono in questo settore?

I timpani della biblioteca di Sant’Antonio, per esempio, avevano un problema di stabilità, poiché i muri su cui gravava il soffitto erano molto alti e fortemente lesionati. Il sistema tradizionale avrebbe suggerito di praticare iniezioni di calce nella muratura in modo da consolidarla. Ma che cosa ne sarebbe stato dei magnifici affreschi presenti nella biblioteca sottostante? Le sostanze contenute nelle iniezioni di calce avrebbero potuto danneggiarli. Allora, i muri sono stati armati con nastri di rinforzo posti ai due lati della muratura e legati con connettori, entrambi di spessore inferiore al millimetro. L’esterno e l’interno sono stati poi re-intonacati, in modo da rendere invisibile l’opera compiuta, e la struttura ha riacquistato la sua stabilità.

Anche per rinforzare le volte, per esempio di un largo tratto del Porticato di via Indipendenza a Bologna, il sistema classico avrebbe suggerito l’utilizzo di interventi con calcestruzzo e acciaio o reti elettrosaldate, ma questo avrebbe voluto dire creare una seconda volta sotto la quale la volta originale si sarebbe comportata come un controsoffitto, soluzione che certamente avrebbe snaturato lo stesso scopo per il quale le volte sono state costruite. Invece, con le nostre tecnologie, che ormai sono la regola, è possibile rinforzare le volte, dare loro la resistenza a trazione e riportare i carichi entro i margini corretti.

Possiamo ritenere il vostro anche un compito “educativo” nel settore del restauro?

La nostra ricerca ha comportato ingenti investimenti, abbiamo fatto parte del gruppo che ha messo a punto la normativa del CNR per l’uso di queste tecniche nelle costruzioni e abbiamo organizzato corsi per progettisti e applicatori, in collaborazione con AICO. Oltre all’impegno di tipo commerciale di diffusione dei nostri prodotti, fin dall’inizio abbiamo assunto il compito di spiegarne i processi e, per questo, abbiamo creato numerose squadre che offrono assistenza tecnica alle aziende che applicano queste tecnologie. Io ritengo che, nel recupero strutturale dei beni artistici, la nostra tecnologia sia fondamentale e il fatto stesso che c’è stato un grande sviluppo di queste tecniche in Italia, molto più che in altri paesi europei, negli Stati Uniti o in Giappone, sia dovuto alla vastità del nostro patrimonio artistico, che abbiamo il dovere di salvaguardare sempre più e sempre meglio. In questa direzione è andato il nostro sforzo educativo del settore.