L'AVVENTURA DELL'IMPRESA

Qualifiche dell'autore: 
docente di filosofia morale all'Univertsità di Torino

Il tema di questo forum sul brainworking m’interessa molto, non solo per quello che ha di avventuroso la vita di qualsiasi imprenditore (tra impresa e avventura c’è senza dubbio una vicinanza), ma anche perché sottolinea che l’imprenditorialità è strettamente collegata con l’aspetto immateriale di qualsiasi bene economico. Direi che i beni economici sono immateriali ai due estremi. Anzitutto all’estremo ultimo della fruizione: un bene economico, se non fosse fruito da qualcuno, non sarebbe un bene, ma anche la fruizione di un oggetto materiale, in se stessa, è qualcosa di spirituale, di cui la materia è lo strumento. All’altro estremo, quello iniziale, ogni bene economico è immateriale nel senso che è un prodotto dell’ingegno, dell’invenzione. E questo a incominciare dall’età della pietra: il passaggio dal paleolitico al neolitico è uno dei più importanti, molto più di quello dalla civiltà pre-industriale alla civiltà industriale, perché con il neolitico l’uomo ha dovuto incominciare a prevedere, a predisporre, si è sviluppata una vasta economia globale localizzata in tutto il Mediterraneo, percorso da correnti di esportazione, quindi, anche da crisi economiche. Per esempio, quando fu inventato il modo di fondere il bronzo, ci fu una terribile crisi economica delle isole Eolie, dalle quali veniva esportata ossidiana, una pietra che può diventare un rasoio. Gli strumenti che erano fatti di pietra, a un certo punto, vengono sostituiti da quelli di bronzo. Se consideriamo, come ho fatto anche nel mio libro Le radici classiche dell’Europa (Spirali), la storia e la preistoria, troviamo una continuità con le situazioni attuali, che siamo in grado di capire molto meglio se ci rifacciamo a queste esperienze storiche.

Sulla nozione di avventura è importante ritornare, perché certamente lo spirito dell’avventura è lo spirito dell’Odissea. I poemi omerici erano numerosissimi e le due raccolte principali sono l’Iliade e l’Odissea. L’Iliade è l’origine dell’epos, della guerra, della guerra del bene contro il male e, nella tragedia, del bene contro il bene, perché la tragedia è un urto tra valori (pensate a Sofocle). L’Odissea, invece, è l’origine dell’Europa, in quanto Ulisse è il tipico uomo dell’avventura, dove il contrasto non è più esterno, come per l’Iliade, ma è interno all’animo stesso di Ulisse, che si trova diviso tra il desiderio di tornare in patria e il desiderio di correre all’avventura. Anche nella Divina Commedia, Ulisse viene ripreso dal desiderio di avventura e lascia un’altra volta Itaca e la moglie Penelope, per finire in un naufragio, tragicamente. Tutte queste storie sono miti interpretativi della situazione dell’uomo e, in questo caso, sopra tutto dell’uomo europeo.

L’uomo europeo è sempre andato all’avventura, cioè è andato incontro a un futuro che gli veniva incontro, proprio per il suo movimento. Il cavaliere errante, avventuriero, va verso l’ignoto e questo ignoto gli si configura sempre più delimitato, sempre più definito, via via che lui gli va incontro. Il prototipo di questo cavaliere è Alessandro Magno, che portava con sé l’Iliade ma anche qualcosa di Odisseo, il tipico uomo romantico ante litteram che cerca l’infinito e trova il limite. Alessandro, a un certo punto, trova il fiume Indo (concepito come il fiume che circonda tutta la terra), deve fermarsi e allora si orientalizza, si perde in quell’Oriente immenso che lui aveva pensato di conquistare. A questo punto l’impero di Alessandro si sfalda, ma si costituiscono dei regni indipendenti. A distanza di molti secoli, questi regni diventano il modello organizzativo, strutturale, politico, economico dello stato romano e poi dell’impero romano, che riprende l’avventura di Alessandro e il sogno – sogno fino a un certo punto – di un impero universale.

Ecco qui le radici classiche, greco-romane dell’Europa. Roma diventa l’erede di questo spirito di avventura che porta Alessandro agli estremi del mondo. In fondo, oggi il mondo è in qualche modo europeo perché ha acquisito, anche in estremo Oriente, questo spirito di avventura che, in origine, era solo europeo. Quindi, certamente l’Europa ha perduto la sua funzione dominante – non sappiamo fino a quando reggerà come esempio da imitare –, ma, anche scomparendo geograficamente, si espanderebbe in tutto il pianeta con questa forma, credo positiva, di globalizzazione.

Perciò sono lieto d’intervenire su questo tema, Il cervello dell’impresa, che si pone il problema dell’avventura intellettuale di chi organizza la vita economica, quindi la vita associata. L’associazione economica è la più spontanea forma di società, di associazione anche politica, è la mano invisibile di Smith, non è qualcosa di progettato artificialmente. Ciascuno persegue qualche suo scopo, ma attraverso la convergenza di tanti scopi si forma una società che progredisce o regredisce, ma che, comunque, vive come società proprio grazie a questa composizione d’interessi anche egoistici. È nota la favola delle api di Mandeville, in cui vizi privati e virtù pubbliche vanno gli uni a vantaggio delle altre: le api immaginate da Mandeville, facendo ciascuna il proprio interesse, danno modo all’alveare di prosperare.

Questa è la provvidenza immanente nell’imprenditoria. Naturalmente, non bisogna approfittarne per fare degenerare questa provvidenza in forme abnormi. Ma non bisogna neppure dimenticare questa dimensione di organizzazione spontanea e avventurosa, che è a beneficio di tutti.