COMUNI E SOPRINTENDENZE DEVONO COLLABORARE

Qualifiche dell'autore: 
assessore all'Urbanistica del Comune di Modena

La lettura del ricco volume di Roberto Cecchi, I beni culturali. Testimonianza materiale di civiltà, è stata occasione d’informazione, di apprendimento e di riflessione affinché l’intervento di tutela e di salvaguardia diventi una regola generale, anziché episodica, diffusa a tutto il patrimonio culturale. L’Autore affronta il tema della catalogazione come un’azione prioritaria, così come tra l’altro prevedeva e sollecitava la Commissione Franceschini.

Il nostro territorio ha un patrimonio culturale enorme, di valore inestimabile, i beni immobili sono oltre cinquecentomila, escluse le opere recenti, milioni i beni mobili, il cinquanta per cento del nostro territorio nazionale è sottoposto a tutela paesaggistica. Numeri e valori straordinari di fronte ai quali la struttura amministrativa della tutela è assolutamente inadeguata dal punto di vista dimensionale.

Roberto Cecchi pone l’accento su questa sproporzione, che limita l’intervento al due o tre per cento del complesso del patrimonio, dando adito a una battaglia di trincea contro la speculazione. Condivido appieno questa analisi e ancor di più gli obiettivi che propone nelle sue sollecitazioni. Avverto, però, con un po’ di preoccupazione, che tale approccio vede le soprintendenze come l’unico baluardo per la difesa dei beni culturali. Se così fosse, non avremmo molte speranze, neanche aumentando in maniera significativa gli organici delle soprintendenze, pur considerando l’altissimo livello professionale dei loro dirigenti e funzionari. Per questo, pongo una questione: il Comune, come ogni altra Istituzione locale che rappresenta i cittadini e si dà regole per la gestione del territorio, non può essere un corpo separato dalla Soprintendenza rispetto all’obiettivo della tutela, né tanto meno essere visto come la controparte.

Sicuramente, nel nostro paese, nelle sue diverse aree geografiche, la situazione non è la stessa e a volte le amministrazioni locali possono essere state disinvolte. Tuttavia, non si può fare di ogni erba un fascio e considerare tutte le amministrazioni e tutti i comuni inaffidabili per un progetto coordinato d’intervento di tutela dei beni culturali.

Ci sono aree dove la sensibilità e l’attenzione alla tutela ha raggiunto ottimi e consolidati livelli e si è operato proprio come suggerisce l’Autore quando dice che per prima cosa bisogna conoscere la consistenza e il valore del patrimonio culturale, attraverso ciò che gli enti locali avrebbero dovuto fare, preparando gli elenchi dei beni culturali da fornire alle soprintendenze.

Il Comune di Modena chiede di essere partner e supporto della Soprintendenza in questo colossale lavoro, e lo chiede sulla base del lavoro svolto e delle professionalità diffuse che si sono formate nel tempo. A tale proposito, voglio ricordare che la nostra Amministrazione comunale, fin dal 1974, ha tutelato tutti i 1164 edifici del centro storico. Dagli anni ottanta, poi, ha avviato un lavoro colossale di catalogazione e di analisi di oltre 15000 edifici posti al di fuori del centro storico, giungendo a determinare criteri d’intervento di restauro per ben 4523. Questo enorme lavoro si è tradotto in norma e nel 1989 è stato introdotto nel piano regolatore, perché, come spiega molto bene Roberto Cecchi, stabilire i criteri consente di ottenere un risultato omogeneo sul territorio. A questo abbiamo aggiunto la carta archeologica di Modena, aggiornata e informatizzata a cura del Museo archeologico, in collaborazione con la Soprintendenza, che ha individuato e messo sotto tutela a Modena 775 siti, 155 in centro storico e 620 nel territorio urbano ed extra urbano.

Credo che si possa dire che nella nostra città abbiamo alle spalle trent’anni di sensibilità, di attenzione, d’impegno, di lavoro e di organizzazione sui temi della tutela, che sarebbe utile riconoscere e utilizzare. C’è un patrimonio di professionalità che vogliamo mettere a disposizione per collaborare con le soprintendenze nei compiti immensi che sono stati loro affidati. Anche se oggi il rapporto con le soprintendenze è estremamente cordiale, c’è una separazione di ruoli che spesso porta a un eccesso di burocrazia che non consente di mettere in campo tutte le conoscenze, le energie e le professionalità disponibili.

È importante il modo in cui si affronta la valutazione per il rilascio delle autorizzazioni. Non può esaurirsi tutto nella compilazione di un modulo da parte del Comune e nel sopralluogo da parte di un funzionario della Soprintendenza. Abbiamo stabilito norme, costruito archivi, fatto crescere professionalità e conoscenze che riteniamo importanti oltre che consolidate risorse che mettiamo a disposizione della Soprintendenza. Possiamo dare tanto, ma anche ricevere tanto. Penso ai nostri tecnici, al loro indubbio arricchimento tecnico procedurale che potrebbe derivare da una simile collaborazione; un arricchimento sempre più indispensabile per svolgere il difficile lavoro di trincea nella tutela del patrimonio immobiliare che il Comune gestisce quotidianamente e che non sempre viene toccato direttamente dall’intervento della Soprintendenza.

Come ribadisce Cecchi, solo da un’accurata e approfondita conoscenza del territorio può scaturire una valutazione corretta sulle proposte d’intervento, evitando che la tutela si trasformi in un’ingessatura della città. Il territorio, dice l’Autore, è sempre soggetto a trasformazioni. Ciò non deve spaventare, ma essere un incentivo per rendere compatibili opere e luoghi attraverso la conoscenza profonda del contesto in cui si opera. Senza una conoscenza dei luoghi che consenta d’inserire l’intervento di recupero nel paesaggio valutato nella sua interezza, si corre il rischio di tutelare con il codice dei beni culturali la palazzina ducale e con la legge dei diritti d’autore il fabbricato che sta dietro e ha rovinato per sempre lo scenario.

Sono molto lieto delle considerazioni di questo importante documento di Roberto Cecchi perché mi pare di cogliervi una grande apertura che consente di mettere in campo forze che possano garantire un’attenzione maggiore rispetto a quella che c’è stata fino a oggi.