COME COMUNICARE I VALORI

Qualifiche dell'autore: 
socio fondatore di Etnoteam, docente di Disegno industriale al Politecnico di Milano

Parlo, qui a Modena, del valore dell’impresa, prendendo spunto dalla mia città di provenienza, Milano, e dal mio passato d’imprenditore. Io credo che il problema reale dell’imprenditore oggi in Italia non sia quello della globalizzazione dei mercati, ma quello della globalizzazione della stupidità, ossia dell’assenza di valori. È drammatico. Ho provato enorme dispiacere dinanzi all’evoluzione di Milano, dagli anni sessanta, quando era la capitale del lavoro, a quella che oggi sembra essere la Milano della Finanza. La finanza è una cosa molto positiva se è strumentale all’intraprendere, ma molto negativa se è semplicemente un obiettivo a se stante; la globalizzazione della stupidità è proprio legata all’uso della finanza come strumento non per lanciare un’azienda, ma per realizzare forti guadagni in poco tempo, e poi fuggire. Nel 1978, ho fondato una società, Etnoteam, in cui oggi lavorano oltre mille persone. Un’altra società rilevante, nata da questa, è stata quotata in Borsa a Milano, e io ho seguito e coordinato passo per passo quest’operazione. L’ho portata in borsa ed è stata una delle esperienze più devastanti che abbia mai vissuto: ho verificato che l’aura di cui è circondata la Borsa Italiana è la facciata dietro cui si muovono molti interessi, e molti soggetti, non tutti, ovviamente, interessati solo a spuntare margini ingenti. In seguito ho abbandonato tutte le cariche aziendali – pur mantenendo le mie partecipazioni – per dedicarmi solo all’educazione e alla formazione.

Il modello d’impresa intelligente, che ho sempre abbracciato, è quello riscontrabile nelle indicazioni dell’European Foundation for Quality Management, che illustro qui in pillole.

Sono ben consapevole che l’obiettivo principale di un’impresa sia quello di ottenere risultati economici, ma non può essere l’unico; soprattutto, non può andare a scapito della felicità di coloro che partecipano alla realizzazione di tali risultati, che devono avere un vantaggio non esclusivamente economico, e devono contribuire a creare l’orgoglio dell’appartenenza, realizzabile soltanto attraverso la partecipazione agli obiettivi.

Sicuramente, un’azienda che perde è un danno per tutti, però se il bene prodotto non è distribuito anche a coloro che contribuiscono all’azienda, ne consegue una grave perdita, anche in termini banalmente strumentali, perché le persone, prima di tutto le migliori, se ne andranno, trovando posto magari presso i concorrenti.

Un’altra grande risorsa dell’impresa è il cliente: la soddisfazione del cliente è un aspetto imprescindibile del valore dell’impresa, e non solo dal punto di vista economico, ma come complesso di valori e partnership che hanno una ricaduta in una società nella sua globalità. Quando parlo di “società” intendo parlare dell’ambiente in senso lato: come impresa non devo semplicemente creare valore a scapito di qualcos’altro, devo creare valore nel vero senso della parola; non posso semplicemente spostare il valore, come si fa molto spesso, dal presente al futuro o da un posto all’altro nello spazio. Inquinare vuol dire rubare al futuro, vuol dire incassare adesso quello che avrà costi incredibilmente superiori nel futuro. Innalzare una barriera lunga qualche migliaio di chilometri per fare in modo che il Messico sia isolato dal Texas è una delle grandi opere che creerà occupazione, ma non servirà assolutamente a niente, perché il Messico fa parte del mondo e, quando ci saranno centinaia di milioni di persone con la pancia vuota e il coltello in mano: quale muro potrà resistere? Dunque, anche in questo caso ci vuole intelligenza, perché ambiente non significa solo ambiente fisico, ma anche sociale, il nostro futuro.

Per gestire e orientare un’azienda a tutti questi obiettivi occorre una fortissima leadership: l’imprenditore deve essere un leader, prima di tutto di se stesso, e deve comunicare le sue strategie alle persone che collaborano con lui, e all’ambiente sociale in cui vive. Senza questa comunicazione, continuerà a crescere l’idea che l’obiettivo dell’imprenditore sia soltanto quello di arricchirsi prima possibile, anziché di creare valore in senso lato.

Qui interviene l’esigenza di riflettere intorno alla comunicazione; non esiste un libro di semiotica che non rappresenti ciò che avviene nella comunicazione come: una sorgente che emette il messaggio, un ricevente che lo riceve e un canale che lo trasmette. Niente di più falso nella comunicazione umana: noi in realtà viviamo in un mondo ricco di concetti, di relazioni e di strutture, che condividiamo. Quando comunichiamo, costringiamo coloro che ascoltano a rinegoziare le relazioni esistenti tra vari elementi, in un nuovo contesto, eventualmente ricostruendo nuove relazioni ed eliminandone altre; nell’operazione di comunicare, noi stessi siamo condizionati a ricostruire e riorganizzare. In altre parole, ciò che conta nella comunicazione non è l’informazione in sé, ma la capacità di organizzare le relazioni tra le varie informazioni esistenti. Ciò che conta è la struttura, e i sensi – la vista, l’udito, ecc. – non hanno nessuna capacità di farci capire le cose, se non interviene qualche elemento strutturante.

Normalmente parliamo di cinque sensi, ma questo è quasi un artificio letterario: qual è il senso con cui sentiamo il dolore? Il dolore è tante cose: mal di denti, mal di testa, ma è anche mal d’amore, anche nausea. L’esperienza ci dice che noi non siamo canali sensoriali o macchine, ma agiamo per confronto e per differenza, in quanto esseri umani, percepiamo le differenze, e le differenze che percepiamo sono le stesse, indipendentemente dal canale sensoriale che usiamo; per questo parliamo di alto e basso del suono, di alto e basso di una figura geometrica, di alto e basso dell’umore, cioè parliamo per contrasto, al punto che il senso che usiamo più spesso è quello che fa confronti metaforici, come avviene nell’arte, nella musica, nella letteratura.

Per approssimarci alla complessità della percezione metaforica (quella che è in grado, attraverso l’influenza cognitiva, di distribuire le nostre reazioni su più canali sensoriali – per cui diciamo di udire un colore e di vedere un suono), andando oltre il concetto di sinestesia, insieme a due amici (il compositore Francesco Rampichini e l’architetto Ettore Lariani) abbiamo inventato il concetto di archestesia, di cui abbiamo parlato nel libro pubblicato da Spirali, dal titolo Archestesie, appunto. Abbiamo trovato diversi studi che mostrano, per esempio, come le nostre reazioni alle percezioni visive sono molto più forti che a quelle acustiche, come alcune proprietà di immagini e suoni sono in grado di far riverberare zone del cervello normalmente legate ad aspetti emozionali: le stesse che reagiscono dinanzi a un’opera d’arte.

Se questa è la comunicazione, anche per la comunicazione d’impresa si può applicare questo modello: con tutta probabilità, la comunicazione d’impresa più profonda e più coinvolgente non è quella che riguarda il listino di borsa, ma quella che riguarda le emozioni dell’imprenditore, quando sogna il risultato finale che vorrà ottenere, che non corrisponde mai al puro profitto economico e finanziario, anche se questo può esserne la misura. Oggi abbiamo tanti strumenti per comunicare, ma se non abbiamo acquisito i valori propri dell’arte, i valori del futuro, e non li usiamo nell’impresa e nella sua comunicazione, nessun messaggio avrà successo, perché la comunicazione d’impresa deve essere proprio quella dei valori che garantiranno il successo dell’impresa stessa.