NUOVE FORME DI GOVERNANCE PER LA CITTÀ

Qualifiche dell'autore: 
assessore all'Urbanistica e Casa del Comune di Bologna

Ho letto il libro di Massimo Mola, Come ascoltare gli edifici, e sono contento di conoscerlo questa sera. È un libro che consiglio caldamente e che mi ha richiamato alla distinzione tra buon senso e senso comune, che affanna noi amministratori in molti casi. È un libro che esprime posizioni ragionevoli e informate sui diversi temi dell’edilizia, su come affrontare il tema del controllo edilizio e del rispetto delle norme, e che costituisce una lettura utile, che trasmette un approccio ragionevole e informato ai problemi della cura della città e degli edifici che abitiamo. Questa ragionevolezza fatica a trovare sponde attuative. Infatti il buon senso corre sempre il rischio di essere in minoranza e può affermarsi quando diventa senso comune diffuso.

Il tema dell’ascolto degli edifici, del rispetto delle normative, della cura della città ha bisogno di un grande senso comune, oltre che di adeguate politiche nazionali e amministrative. Manca un contesto nazionale di politiche adeguate per le città, un rinascimento urbano preso sul serio, che sia il motore di uno sviluppo moderno del nostro paese. Questo concetto stenta a diventare una politica nazionale, però le possibilità di rinascimento del nostro paese ci sono tutte, anche leggendo le osservazioni dell’autore. Questo concetto viene richiamato con forza da Mola, quando parla delle ampie possibilità che il patrimonio storico del nostro paese darebbe anche dal punto di vista economico, ed è un concetto che, amministrando, verifichiamo ogni giorno.

A partire da questa affermazione, seguendo le suggestioni del libro, mi sono chiesto se per ascoltare un edificio prima di tutto occorra rispettarlo e, per rispettarlo, forse dovremmo dedicare maggior attenzione al fatto che bisogna potere viverci bene. Forse abbiamo bisogno di nuove mappe dei nostri edifici, accanto a quelle del restauro degli edifici storici e non storici. Non so quanto possa contare il problema della privacy, ma sicuramente avere una città con molti anziani che vivono soli in appartamenti grandi, una città che ha molti appartamenti non accessibili, oppure sottodimensionati, è un problema che in città si coglie come pressante, c’è bisogno di aggiornare il modo in cui guardiamo gli edifici anche da questo punto di vista, perché, certo, occorre rispettare la loro storia, non abusarne, ma occorre anche occuparsi della loro abitabilità.

Oggi c’è molta più necessità per tutti noi, proprio per trasformare il buon senso in senso comune, di una rinnovata attenzione alle relazioni delle proprie abitazioni con lo spazio pubblico e del modo in cui le proprie ristrutturazioni, l’utilizzo dei propri edifici entra in rapporto con lo spazio pubblico della città. Perché, dal punto di vista degli sforzi che possiamo fare insieme per semplificare i nostri regolamenti edilizi e l’interpretabilità delle norme, lo sforzo maggiore deve essere fatto in due direzioni. In primo luogo, dovremmo semplificare le norme sulla parte interna degli edifici. Fatti salvi i casi che vengono elencati nel libro, in cui si può compromettere la statica dell’edificio, per esempio, scavando cantine o inventandosi piani improbabili, credo che occorra dare maggior agio nell’utilizzo della propria abitazione, anche con le complicazioni di una città storica. In secondo luogo, dovremmo dare maggiore attenzione alle relazioni con lo spazio pubblico e, quindi, al modo in cui il cittadino vive la propria città. Il rispetto delle norme consente una maggiore attenzione alla capacità di produrre qualità urbana. Massimo Mola è un esperto di reati edilizi. Che se ne parli finalmente dopo anni di condoni, ricordare che i reati edilizi esistono, è salutare. A questo proposito, posso testimoniare che il Comune di Bologna ha una delle esperienze più avanzate nel campo dei regolamenti edilizi e del rispetto delle normative, anche nel quadro regionale. Purtroppo, però, anche in questa città ci sono limiti e sofferenze, che penso possano essere affrontati prendendo sul serio alcuni temi: quello del controllo e quello delle professionalità adeguate che esistono in questa città, costituite dagli ordini professionali, dei geometri, degli ingegneri e degli architetti, che vanno messe alla prova. Ci stiamo impegnando al riguardo perché occorre fare uno sforzo ulteriore per aumentare i controlli. Quindi, ci daremo l’obiettivo di approvare le DIA in tre giorni, perché vogliamo eliminare radicalmente il problema dell’attesa, creando un sistema effettivo di controllo a campione sul trenta per cento di tutte le DIA presentate, rendendo pubblico questo sistema di controllo a campione e di controllo effettivo sul territorio. Al di là del fatto – come scrive anche Mola – che è impossibile controllare tutto, credo però che un sistema adeguato di campionamento sia un deterrente che, se davvero realizzato, può darci una mano a raggiungere il maggior controllo possibile. E credo che valga la pena andare fino in fondo con l’autocertificazione, coinvolgendo maggiormente le professionalità nell’autocertificazione, a cominciare dalla collaborazione con gli ordini. Su questo stiamo lavorando per un atto di giunta e abbiamo già consultato gli ordini professionali.

Nello stesso tempo, stiamo affrontando il tema dell’area metropolitana, che nel libro viene richiamato in relazione all’esperienza di Milano. Da questo punto di vista, una cosa di buon senso che abbiamo avviato è una commissione congiunta con i comuni della cintura, per un regolamento edilizio con le stesse norme, dato che i confini tra il comune di Bologna e quelli limitrofi sono ormai solo amministrativi.

Oltre a preoccuparsi di rispettare davvero chi abita negli edifici e aiutarli ad abitarci meglio, credo che valga la pena concentrare la nostra attenzione su quella che può essere una vera capacità d’ascolto. Non è facile ascoltare. Nel mio lavoro mi si accusa spesso di parlare poco, ma credo che valga la pena ascoltare e scommettere sull’ascolto attivo della città. E perché l’ascolto sia veramente attivo, credo che dobbiamo intenderci sul concetto di partecipazione. Non vedo la partecipazione come la panacea di tutti i mali, non la estremizzo come democrazia diretta: ho ben chiaro che dobbiamo tenerci a cuore la nostra democrazia rappresentativa e le responsabilità che affida a chi è stato eletto. Ma credo che in molte occasioni organizzare l’ascolto attivo, la partecipazione attiva dei cittadini sia anche un modo per raggiungere quel senso comune che dicevo all’inizio, cioè per fare incontrare la responsabilità civica – che è un grande patrimonio ancora di questa città – con l’esigenza di tornare a parlare di qualità urbana, quindi, di estetica e di architettura della nostra città. In questo senso, il nostro Comune sta scommettendo sul fatto di riuscire a rendere metodico l’utilizzo dei concorsi di progettazione architettonica e stiamo cercando di generalizzare – siamo al terzo caso – il laboratorio di urbanistica nella nostra città. Abbiamo incominciato con il mercato ortofrutticolo, un piano particolareggiato, iniziato dalla precedente amministrazione, che abbiamo continuato attraverso un laboratorio di urbanistica con i cittadini di quella zona. Stiamo continuando il laboratorio “Una campagna di quartiere”, nel quartiere San Vitale: in questo caso si tratta di progettare un parco e degli insediamenti residenziali. Inoltre, stiamo iniziando un laboratorio sulla fascia boscata di San Donnino.

Questo è importante perché abbiamo bisogno di parlare di architettura e di qualità urbana anche in relazione ai nuovi temi – che comportano alcune sfide di cui si parla nel libro –, come quello del risparmio energetico della bioedilizia, che porta con sé quello della cultura dei pannelli solari. Mola dice che trova sempre gelida un’architettura fatta di acciaio e di vetro, ma molti di noi sono ammirati dalle città nordiche a pannelli solari. A questo proposito, credo che abbiamo il problema di favorire il senso comune, perché l’impatto visivo turba le abitudini estetiche: i nostri tetti coperti di pannelli solari, forse, qualche problema all’architettura lo pongono. Inoltre, sempre partendo dalle suggestioni del libro, in questa città andrebbe organizzato un ragionamento sulla qualità urbana e l’arredo urbano, che esca dalle secche dei nostalgici della grande autorità che dovrebbe imporre per legge quello che va fatto in tutti gli edifici e gli spazi pubblici della città, da una parte – nel libro di Mola si cita un re di Francia che risolveva il problema perché comandava solo lui – e, dall’altra, dalle tentazioni della deregulation totale. Strada ragionevole, e forse per questo più faticosa da applicare, è quella invece di pensare a forme di governance, di ascolto attivo e di coinvolgimento degli ordini professionali e dei cittadini su questi temi. Nelle esperienze che abbiamo avuto, l’ascolto attivo della cittadinanza ha dato risultati apprezzabili e condivisi anche dal punto di vista architettonico. Con un’accortezza di fondo: per coinvolgimento dei cittadini non intendo che deve essere la democrazia diretta di quartiere a decidere dell’estetica di un edificio, ma che i cittadini vadano coinvolti sulle idee e, sulle idee che prevalgono da quelle discussioni, si faccia il concorso di architettura. Non si mette in discussione l’opera di un architetto, non la si sottopone al referendum popolare o altre pratiche. Così ci sono le condizioni per praticare un sano buon senso che possa diventare anche pratica diffusa e condivisa (senso comune).

Termino con la mia consueta provocazione, riprendendo il riferimento ai centri storici, che troviamo nel sottotitolo di questo convegno. Per aiutare davvero il centro storico di questa città, penso che la mia responsabilità, oltre che nell’affrontare le questioni sopra esposte, stia nell’occuparsi delle periferie, nel cominciare a pensare alle relazioni tra centro storico e nuove centralità urbane che l’azione urbanistica può darsi come obiettivo.

Vedo in questo un grande tema di architettura contemporanea e di nuova qualità urbana per la nostra città, un tema, non dico alternativo, ma da affiancare a quello del centro storico, che permetta alla nostra città di guardare al futuro. Penso alle aree ferroviarie, al centro della nostra città, con il progetto di una nuova grande stazione; alle aree militari, che generazioni di assessori e di ministri ancora non sono riusciti a mettere a disposizione della nostra città; alle aree produttive dismesse, presenti su una quota consistente della nostra città, a ridosso della fiera. Abbiamo grandi occasioni e grandi responsabilità per un programma urbano della nostra città e, forse, non togliamo niente al centro storico e alla sua importanza se ci decidiamo di lavorare alla costruzione di nuovi centri urbani che magari domani saranno nuovi centri storici.