ARTE E SCRITTURA

Qualifiche dell'autore: 
critico d'arte, editore e coordinatore artistico

Per l’artista calligrafo giapponese Yu-Ichi Inoue (1916-1985), scrivere caratteri era l’unica ragione di vita. Nel suo lavoro, i caratteri sono tracciati come se l’artista avesse voluto verificare le idee che proiettava nei segni. Anche se ridotta a un unico ideogramma, con Yu-Ichi la scrittura fa scaturire il pensiero di colui che scrive. Procedimento che si situa distantissimo dalla calligrafia tradizionale, erede di una storia di tremila anni, il cui insegnamento egli decise di rinnegare nel 1955. Nei trent’anni successivi, fino alla sua morte, si dedicò unicamente alla scrittura e, dopo la sua scomparsa, molti, specialmente giovani, erano desiderosi di disporre di una prospettiva globale della sua opera.

L’artista iniziò a lavorare alle sue opere dopo la seconda guerra mondiale, che finì con la sconfitta del Giappone. Per i giapponesi, perdere la guerra con gli americani fu uno shock tremendo. Yu-Ichi capì che il suo paese avrebbe perso la guerra il 10 marzo 1945, quando gi americani bombardarono Tokyo con i B-29, provocando la morte di oltre centomila persone. Da allora, egli si considerò sempre fra questi centomila morti, perché era per terra, fra loro. Fortunatamente, alcuni colleghi della scuola elementare in cui insegnava lo trovarono e lo soccorsero. Ma lui, tornando alla vita dall’aldilà, vide davanti a sé uno scenario d’innumerevoli cadaveri carbonizzati. Questo evento lo sconvolse.

Nel dopoguerra, il Giappone ebbe una forte ripresa economica, la gente era euforica, ma non Yu-Ichi, non si sentiva uno di loro: dopo il bombardamento, per lui c’era stato l’inizio di una nuova vita. I giapponesi si accorsero presto della decadenza di spiritualità nell’euforia della ripresa. Yu-Ichi ripensava spesso a quel 10 marzo 1945, a tutti quei cadaveri di uomini e donne nudi bruciati vivi e si chiedeva quale fosse il modo per esprimere il suo stato d’animo, quale fosse il carattere in grado di trasferirlo. Così, concepì il carattere hin, povertà. Quando tutti si permettevano l’automobile e il frigorifero, lui continuava a andare a scuola in bicicletta. Mentre gli altri giapponesi pensavano alla spiritualità nelle loro comode case, Yu-Ichi pensava che nel comfort non fosse possibile approfondire il concetto di spiritualità. Era molto solo, e in quella solitudine continuava a scrivere la parola hin.

Da questa angolazione, il lavoro di Yu-Ichi è anche una fonte di emozioni, un’opera che ci mette a confronto con un’energia a cui non siamo più abituati. Yu-Ichi mi fa pensare a un’incarnazione della conoscenza, atterrata per sbaglio sul nostro pianeta, con la schiena piegata sotto il peso di masse inquietanti che galleggiano nello spazio.

Quando ho conosciuto Yu-Ichi, in occasione di una mostra organizzata da Mutsuo Takahashi nel grande magazzino Seibu a Shybuya, era molto malato di epatite. Prima della mostra, ho incontrato Yu-Ichi nel suo studio e ho avuto una forte impressione di solitudine, era una stanza strana, più che un atelier, una cella da monaco, c’era un odore soffocante d’inchiostro che invadeva quello spazio quasi vuoto, fogli di carta per terra e secchi d’inchiostro. Un’atmosfera di desolazione, di nudità pesante che mi ha sconvolto profondamente e mi ha fatto capire che la creazione autentica richiede una solitudine triste e una sobrietà totale.

Cinquant’anni dopo la fine della guerra, mentre l’opinione pubblica americana respingeva il progetto di una mostra sul genbaku, il bombardamento atomico di Hiroshima, l’opera di Yu-Ichi sul bombardamento del 10 marzo 1945 veniva esposta al Guggenheim Museum Soho di New York, provocando molta risonanza fra gli americani, una risonanza causata non tanto dal significato dell’opera – gli americani non comprendevano gli ideogrammi con cui si esprimeva Yu-Ichi – ma dalla forza emanata dall’opera stessa e dall’emozione provata nel contemplarla. Forse, proprio perché non capivano il significato dell’opera – che non rappresentava in modo chiaro il bombardamento –, gli americani accettarono di esibirla nel loro paese.

Nelle sue opere, l’artista usava caratteri molto ingranditi. Sono opere in cui il movimento è molto importante. A differenza della pittura a olio, in cui si dipinge con pennellate, lo stile calligrafico deve essere scritto tutto d’un fiato. Pertanto, la riuscita dipende molto dallo stato d’animo del momento, tanto che Yu-Ichi consumava diversi fogli prima di riuscire a produrre un’opera. Un aiuto all’espressione dei suoi sentimenti gli veniva anche dal pennello che usava, che si faceva costruire appositamente.