L’INTERPORTO PER LA TRASFORMAZIONE DELLA CITTA'

Qualifiche dell'autore: 
presidente di Interporto Bologna SpA e della UIR (Unione Interporti Riuniti)

L’Interporto di Bologna – definito dal Censis una delle venticinque eccellenze territoriali del nostro paese per l’innovazione e la logistica – gioca un ruolo chiave, soprattutto in questo periodo di forti criticità, per lo sviluppo economico e sociale del territorio, contribuendo in maniera predominante all’offerta globale di avanzati servizi logistici a supporto della catena produttiva e distributiva, tanto da divenire esempio per le altre piattaforme italiane. Non a caso, lei è stato nominato anche presidente della UIR (Unione Interporti Riuniti), l’associazione che raggruppa ventitré interporti italiani.

In che modo l’Interporto di Bologna può dare un impulso alla trasformazione della città e dei suoi scambi con altre città di altri paesi, assecondando e, in alcuni casi, anticipando la trasformazione in atto che la crisi esige?

Uscire dalla crisi implica che nulla sia più come prima: occorrono nuovi orizzonti per il rapporto tra finanza e produzione, dove l’attenzione dovrà essere posta sugli aspetti produttivi piuttosto che sugli investimenti finanziari e il processo produttivo stesso dovrà essere molto più attento alle dinamiche ambientali e alla sostenibilità. In questo contesto, è essenziale il ruolo che noi possiamo giocare sull’attività legata all’intermodalità, quindi, allo sviluppo del trasporto merci secondo modalità ecocompatibili, elevando la quota di trasporto su ferro e attivando una nuova distribuzione delle merci nei centri della città. Stiamo anche mettendo in campo progetti che favoriscono le fonti di energia rinnovabile, per esempio, traendo il massimo vantaggio dalle grandi superfici di cui disponiamo per l’installazione di impianti fotovoltaici. Il primo è in funzione da qualche anno e da poco è operativo anche il secondo, con un guadagno consistente. Ma, in una struttura come la nostra, siamo nelle condizioni di sviluppare ulteriormente dai 5 ai 10 megawatt di potenza.

Quali sono i dati che fanno dell’Interporto di Bologna un’eccellenza rispetto ad altre piattaforme del nostro paese?

Per l’intera rete interportuale, circa il 45 per cento del nostro traffico è intermodale. È un dato rilevante, se pensiamo che, nel panorama nazionale, il trasporto ferroviario raggiunge appena quote del 10 per cento. Bologna ha un’occasione straordinaria che è dettata dalla propria posizione geografica e dalla vocazione territoriale che la caratterizza. Siamo l’incrocio naturale tra il corridoio europeo Berlino-Palermo, il corridoio adriatico e il corridoio tirrenico. Siamo un’area con una forte vocazione d’impresa. Da Bologna transitano i nodi ferroviari e stradali più importanti del sistema nazionale. Per questo, insieme a Verona, Padova e alcune aree del nord ovest, ha una collocazione assolutamente strategica. Per noi è una grande occasione il raddoppio della linea ferroviaria Bologna-Verona, che è sempre stato un limite allo sviluppo di un traffico adeguato verso il Brennero, area di riferimento delle nostre esportazioni. L’avvio dell’alta velocità tra Bologna e Milano ha reso disponibili tracce ferroviarie che consentono di aumentare il transito delle merci. Il prossimo avvio dell’alta velocità tra Bologna e Firenze è importante per l’apertura di nuove opportunità con la Toscana e i suoi distretti industriali, ma soprattutto con il porto di Livorno.

Purtroppo non bastano le infrastrutture, ma occorre trovare i vettori che aumentino la competitività del trasporto ferroviario, oggi ridotta a causa dei prezzi che Trenitalia propone ai propri clienti. Bisogna dare la possibilità ad altre società ferroviarie di svilupparsi per coprire spazi di mercato che oggi sono vuoti.

Non c’è dubbio che una struttura come l’Interporto deve offrire al sistema produttivo, non solo bolognese ma anche regionale, un servizio per migliorare la sua competitività. Abbiamo le condizioni ottimali per ospitare nuove imprese di trasporto all’interno della struttura, nuovi soggetti che possono essere protagonisti di una rete efficiente di servizi alle imprese. Stiamo cercando di approfittare di questa fase di difficoltà per riposizionare il nostro ruolo e accelerare il miglioramento dei servizi per favorire l’intermodalità. Il nostro compito è creare condizioni e premesse tali da attrarre nuovi soggetti che sviluppino a Bologna il loro traffico. DHL, per esempio, che era già presente all’interno dell’Interporto, quattro anni fa ha deciso di consolidare la propria presenza a Bologna, realizzando uno dei principali centri nazionali per la distribuzione, con un investimento consistente e cospicuo. Noi abbiamo creato le condizioni perché questo potesse avvenire. Successivamente, ha deciso d’investire ulteriormente, portando da Bergamo a Bologna il collegamento aeroportuale giornaliero con Lipsia, sede del loro centro europeo. Per le imprese bolognesi dei distretti della meccanica, per esempio, che hanno bisogno di garantire ai propri clienti la massima tempestività nei tempi di consegna dei pezzi di ricambio, questo significa avere due ore in più al giorno.

Questo è uno dei tanti esempi in cui l’affare non è quantificabile solo nel valore economico che l’interporto o l’aeroporto hanno realizzato cedendo il capannone o il terreno a DHL, ma è misurabile soprattutto sull’effetto che questa presenza comporta sul territorio per rendere competitive le imprese.

L’efficacia del servizio e l’intelligenza logistica sono il centro del vostro business. In che modo grazie al vostro apporto anche il traffico cittadino diventa più sostenibile?

Abbiamo in corso con il Comune di Bologna un progetto, che potrà diventare operativo entro il 2009, che organizza un sistema di trasporto delle merci nell’area del centro storico a traffico limitato, riducendo la quantità di mezzi in circolazione e facendo sì che una parte consistente dei trasporti avvenga con mezzi alimentati a Gpl o a metano, con una conseguente riduzione delle emissioni in atmosfera e delle seconde file nelle soste del carico e scarico, attraverso la gestione di una serie di piazzole di sosta. Tutto questo, senza sostituirci ai trasportatori che già oggi operano, ma riducendo il servizio per conto proprio. Oggi, la maggior parte delle consegne in città è effettuata direttamente dal produttore al cliente, sia impresa o negoziante. Questo è ciò che crea la maggiore congestione del traffico, per di più prodotto da una grande quantità di mezzi inquinanti. L’impresa che fa servizi per conto terzi non solo ha tutto l’interesse a ottimizzare con il maggior numero di consegne possibili ciascuno dei propri ingressi in centro, ma in molti casi ha anche già adeguato il parco veicolare con mezzi ecologici.

Questo indica che occorre innanzitutto una trasformazione culturale, in direzione di un approccio più industriale ai trasporti…

La trasformazione culturale porta con sé tante conseguenze, fra cui l’esigenza di scardinare l’abitudine a non dichiarare fiscalmente le movimentazioni commerciali. Quando la tracciabilità della merce diventa reale si riducono i margini. Questo è uno dei problemi inconfessabili che sta dietro tante remore e difficoltà che ostacolano il progetto di rendere efficace la modalità di trasporto nei centri storici. Accanto a questo, permangono difficoltà operative gestionali, come il fatto che ogni rottura di carico ha un costo, che dev’essere recuperato, se vogliamo che il servizio resti competitivo per il cliente, oltre che per l’ambiente.

Di recente siete partiti con un nuovo treno Bologna-Norimberga, che porta nel cuore della Germania, l’area principale di riferimento per le nostre esportazioni. Quali sono i vantaggi principali?

Sappiamo che tra Bologna e la Germania viaggiano parecchie migliaia di camion. Il problema è provare a intercettarne una quota, anche minima, in maniera competitiva, con i migliori costi che oggi si è in grado di offrire sul mercato. Al cliente dobbiamo fornire un servizio chiavi in mano, ritirare la merce in azienda, farla arrivare in treno a Norimberga e da Norimberga portarla alla destinazione finale. È chiaro che dal punto di vista ambientale questo comporta un grande risparmio: meno camion, meno caselli, minor intasamento sull’autostrada, meno incidenti stradali. All’impresa che deve portare i suoi prodotti in Germania queste ragioni piacciono, le ritiene interessanti ma, com’è legittimo, si aspetta che il costo del servizio non superi quello su strada.

Per gli altri collegamenti la cosa è ancora più complessa. Il luogo di destinazione principale dei prodotti che arrivano dal Sud Est asiatico sono i grandi mercati dell’Est Europa. E la parte consistente dei prodotti che arrivano dalla Cina attraverso il Mediterraneo è destinata ai mercati dell’Est europeo, che sono in forte espansione, con un costante aumento dei consumi e la tendenza a richiedere un prezzo basso anche a scapito della qualità. Se i cinesi e gli indiani arrivassero su questi mercati attraverso il treno, sarebbe una grande opportunità. Ovviamente la cosa è complicata dal fatto che occorre mettere insieme una serie di imprese ferroviarie e di interoperabilità dei sistemi dei diversi paesi. Inoltre, in questo caso la concorrenza del trasporto stradale è ancora più agguerrita perché i trasportatori dell’Est europeo – lituani, lettoni, polacchi, slovacchi – hanno costi di trasporto bassissimi. E, d’altronde, se i camionisti lituani fanno la fila sull’autostrada Venezia-Trieste, l’importatore russo non è toccato da questo problema.

Un altro paradosso a cui assistiamo è quello degli elettrodomestici, prodotti nelle Marche e immagazzinati in un capannone all’interno dell’Interporto, che arrivano a Bologna in treno e ripartono in camion per la Russia. Purtroppo, in Italia è diffusa la vendita franco fabbrica, per cui è l’acquirente a decidere il trasportatore e il tipo di trasporto. In questo modo, l’impresa italiana si è liberata di un problema, ma ha perso l’opportunità di governare un elemento significativo che va a influenzare il costo finale del prodotto e l’occasione di dare il valore aggiunto di un servizio di trasporto migliore sia per il cliente sia per l’ambiente e il territorio. Per di più, il tedesco che viene a comprare franco fabbrica in Italia, decidendo come trasportare il prodotto acquistato, è lo stesso che ci ha venduto la materia prima pervenutaci con le modalità da lui preferite. Quando parliamo di logistica, quindi, in realtà parliamo anche di politica e di cultura industriale delle imprese. È un tema con cui ci stiamo misurando quotidianamente, ma il sistema italiano, essendo costituito da piccole e medie imprese, è molto debole nell’affermazione del trasporto intermodale, perché i flussi di merci che provengono da ciascuna impresa non sono significativi.