GLI ARCHIVI RAI: NUOVE TECNOLOGIE PER UN PATRIMONIO CULTURALE

Qualifiche dell'autore: 
vicedirettore Teche RAI

Per una grande azienda come la RAI, un’azienda che produce cultura, il confronto con i grandi cambiamenti che si stanno verificando nella società è indispensabile. Sappiamo che la tecnologia, se non è supportata dalla produzione culturale, intellettuale e scientifica, è una scatola vuota. Oggi, dare vita a una televisione è una cosa molto facile, ma il vero valore è il suo archivio. È una scoperta che le televisioni hanno fatto già da un po’ di anni, mentre la RAI soltanto da cinque o sei. Non per mancanza di una precisa volontà o perché esistessero difficoltà intrinseche alla creazione di un archivio, ma perché non c’era una cultura dell’archiviazione dell’immagine. Addirittura, potremmo dire che non c’era una cultura dell’immagine. Nella scuola, per esempio, l’immagine non era considerata importante come il libro, come la parola scritta, mentre oggi gli stessi libri di testo non possono fare a meno delle immagini, gli stessi storici si troverebbero in difficoltà se non avessero l’immagine tra le varie fonti.
Quindi, la RAI ha individuato nella creazione dell’archivio un elemento fondamentale per la ricchezza stessa dell’azienda. Ma vediamo come nasce un archivio televisivo e radiofonico e qual è il confronto con le grandi emittenti americane ed europee: le televisioni americane conservano solo il 35%, quelle europee il 75%. Una delle ragioni più importanti di questa differenza è di natura politica: in Europa molte televisioni sono pubbliche, quindi sono sottoposte a un controllo che richiede di conservare il più possibile, mentre in America molte televisioni sono di carattere commerciale e tendono a buttare via il prodotto quando non è riutilizzabile. Fra le emittenti europee, la RAI è quella che conserva più prodotto, anche più della BBC. Ogni televisione ha un proprio modo di conservare e d’individuare la funzionalità dell’archivio. La Francia ha creato un istituto nazionale che ha l’obbligo di conservare e archiviare il prodotto delle varie televisioni. Quando abbiamo incominciato cinque o sei anni fa, ci siamo trovati di fronte a un numero impressionante di prodotti da conservare, da restaurare, da digitalizzare: 650 mila ore di storico, 290 mila ore di radiofonico, un milione e 200 mila fotografie.
Il problema dell’archivio RAI è prima di tutto quello di recuperare quello che c’è nel magazzino, poi di restaurarlo e poi di digitalizzarlo. A questo punto si collega e si salda il problema tecnologico con quello dell’utilizzo dei materiali.
È interessante individuare in questa operazione il valore aggiunto culturale: l’archivio RAI è di totale possesso dell’azienda e deve avere una utilizzazione interna e, certo, nessuno vuole attribuire a esso carattere commerciale, perché è un bene del nostro paese, è la memoria storica di più di cinquant’anni del nostro paese, ma deve essere aperto alle istituzioni, alle università, agli studiosi.
È un archivio che adesso gestiamo in maniera fredda e scientifica, per il momento dobbiamo crearlo; lo abbiamo definito multimediale perché collega le immagini, i suoni e il materiale cartaceo, e questo consentirà, con una ricerca avanzata e rapida e attraverso un processo di digitalizzazione, la possibilità di usare immediatamente le immagini.
È un impegno oneroso, per la prima volta la RAI ha investito cifre enormi per un’operazione di questo tipo, e nel 2005 avremo concluso la creazione di questo grande archivio, che oggi rappresenta nel panorama degli archivi televisivi del mondo un punto di riferimento. Ci ha aiutato molto il genio italiano, abbiamo preso un sistema americano ma l’abbiamo perfezionato e siamo riusciti ad avere un risultato tale che abbiamo davanti alla porta la fila delle teche e delle televisioni straniere, non ultima la “perfida” BBC, che vengono a chiederci informazioni.
Il vero problema sarà come utilizzare in quanto bene culturale il nostro archivio. L’anno scorso il Prix Italia, l’unico premio di qualità per le televisioni nel mondo, si è svolto a Siena, sul tema “Arte e televisione”. In quell’occasione, ho fatto una rapidissima ricerca nei nostri archivi e il numero di documenti che ho trovato è enorme. Noi siamo un organismo che in modi diversi, con sensibilità, valutazioni e mezzi diversi, ha cercato di seguire i problemi dell’arte nel corso degli anni. Nessuno può dire che cosa significhi per una televisione seguire l’arte, ma resta il fatto che noi abbiamo registrato alcune grandi situazioni: grandi quantità d’interviste a personaggi importanti, un’immensità di mostre, ecc.
Da ciò che noi offriamo come archivio si possono immaginare le ipotesi di lavoro su questa grande ricchezza. E allora ci si chiede come prevedere il futuro rispetto a queste possibilità. Di certo, le nuove tecnologie consentiranno un utilizzo più attento. Le trasformazioni del modo di offrire televisione sono sotto i nostri occhi: la creazione dei canali telematici, Internet che, prima o poi, troverà un aggancio con le immagini televisive. Certamente, l’arte avrà delle ipotesi di lavoro assai più ricche, anche se nessun archivio corrisponderà a un museo o a una collezione.
Su questo dilagare di nuove tecnologie siamo tutti d’accordo, il vero problema sarà chi le alimenterà, chi offrirà il prodotto culturale per queste tecnologie, perché in fondo ancora alla base di tutto c’è l’uomo, con la sua intelligenza, la sua sensibilità, la sua cultura.