PER UNA COLLABORAZIONE FRA ENTI LOCALI E SOPRINTENDENZE

Qualifiche dell'autore: 
assessore all’Urbanistica del Comune di Modena

Una delle questioni poste da Roberto Cecchi nel suo bel libro Il restauro (Spirali) riguarda l’organizzazione della tutela dei nostri beni culturali, che rischia di essere un’operazione esercitata solo su una parte del patrimonio storico e artistico italiano. Poiché questo patrimonio – che comprende oltre 500.000 immobili e interessa metà del territorio nazionale – è veramente considerevole, la sua conservazione richiede un lavoro immenso. Il primo criterio da stabilire è quello della catalogazione dei beni culturali, che consente d’intervenire con metodo e piena consapevolezza della qualità dei beni. Senza la catalogazione, l’opera di tutela diventa più complessa e rischia di essere brutalmente episodica.

A fronte di questo compito immenso, la struttura cui compete la tutela può risultare inadeguata. Certamente, non sul piano della qualità: in questi anni, ho avuto la fortuna d’incontrare molti funzionari della soprintendenza della nostra regione e di constatare la loro eccellente professionalità. Quindi, l’inadeguatezza non è un problema di organico. Piuttosto, è un problema dimensionale: la struttura non è adeguata all’immenso compito che le viene affidato. Pongo questo tema all’attenzione di Roberto Cecchi, perché possa trarne alcune considerazioni. Gli enti locali devono collaborare con la soprintendenza, ma in un modo che innovi gli schemi attuali. Oggi c’è un rapporto costruttivo tra soprintendenza ed enti locali, ma si potrebbe andare sicuramente oltre, dando una strutturazione organizzata a questa collaborazione, perché è un lavoro pesante e si rischia di operare come soprintendenza su una percentuale molto piccola di beni rispetto all’esigenza di tutela da mettere in campo. D’altra parte, corriamo il rischio che la porzione di lavoro svolta dagli enti locali sia di qualità insufficiente.

Capisco che quando parliamo di enti locali ci riferiamo a realtà tra loro molto differenti nel nostro paese, che non sempre hanno brillato per sensibilità ed efficacia su questo tema, però, là dove si sono consolidate esperienze interessanti, se ne deve prendere spunto per poter costruire un livello organizzativo più alto per il futuro.

Gli enti locali sono tenuti a cooperare rispetto alla gestione del territorio e alle modalità d’intervento che riguardano gli immobili storici esistenti. In questo campo, possono svolgere un ruolo importante, insieme alla soprintendenza, per far sì che l’esercizio della tutela si esprima in una dimensione più ampia di quanto non accada attualmente. Faccio l’esempio del nostro comune: noi abbiamo iniziato a censire e a tutelare gli immobili del centro storico di Modena fin dal 1974, inserendoli nel piano regolatore; poi abbiamo fatto un lavoro ancora più complesso, un censimento che ha riguardato 15.000 immobili, che abbiamo catalogato e analizzato, in modo da graduare le modalità d’intervento secondo la loro qualità e il loro valore. Si tratta di un lavoro importante, che ha fatto crescere una professionalità e una sensibilità in questo campo, oggi divenute patrimonio non esclusivo del comune, ma da condividere con l’intera collettività e con coloro cui compete un ruolo primario nella tutela.

Auspico, quindi, forme di collaborazione, anche di carattere organizzativo, che consentano ai comuni di svolgere un ruolo di supporto alle soprintendenze. Non sto mettendo in discussione le rispettive responsabilità, che rimangono distinte e chiare, ma propongo di sfruttare l’opportunità che i comuni svolgano un ruolo di supporto tecnico delle soprintendenze, che sicuramente agevolerebbe il lavoro di queste strutture e metterebbe a loro disposizione maggiori risorse anche dal punto di vista professionale. Questo rapporto sarebbe poi sicuramente formativo e qualificante per gli stessi comuni, i cui tecnici acquisirebbero una professionalità specifica tale da metterli in condizioni di operare con maggiore consapevolezza e qualità negli interventi di tutela che quotidianamente sono tenuti a effettuare quando rientrano nelle loro competenze.

Sto ponendo una questione di carattere organizzativo molto importante, che ha l’obiettivo di creare le condizioni per un censimento dei beni culturali e per una loro più facile gestione, temi essenziali che Roberto Cecchi affronta nel suo libro.

È il censimento dei beni a consentire una loro conservazione più efficace e l’incremento delle risorse professionali da mettere in campo per la loro tutela.