L'ACETO BALSAMICO DI MODENA È INIMITABILE

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titolare di Aceto Balsamico del Duca S.r.l., Spilamberto (MO)

Dopo una battaglia di quattordici anni – che ha visto la vostra famiglia protagonista fra i produttori, insieme al Consorzio di cui lei è stata presidente per cinque anni – l’Aceto Balsamico di Modena lo scorso 3 luglio è stato iscritto nel registro delle denominazioni d’origine protette e delle indicazioni geografiche protette. Che cosa comporta questo riconoscimento?

Il riconoscimento dell’IGP dà una maggiore sicurezza nella tutela del prodotto, perché le regole ci aiutano a difenderlo da quanti in questi anni, da vari paesi, ci hanno attaccato con tentativi di usurpazione del nome “Balsamico” per aumentare l’appeal dei loro prodotti sul mercato. Nonostante sia stato messo in ombra dagli stessi modenesi – a favore della valorizzazione dell’eccellenza che rappresenta l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena – dobbiamo ricordare, infatti, che l’Aceto Balsamico di Modena è una perla della nostra tradizione usata dagli chef più famosi e la sua grande diffusione ha contribuito a fare conoscere nel mondo il Tradizionale.

La battaglia è stata lunga anche perché, man mano che il prodotto veniva portato sulle tavole di tutto il mondo suscitava l’interesse economico di produttori stranieri, che volevano indebitamente godere di questo successo. È chiaro che un prodotto come il Balsamico è inimitabile, anche e soprattutto per la cultura e la tradizione in cui nasce, e non solo per gli ingredienti che lo compongono. Anzi, potremmo dire che degli ingredienti fanno parte il territorio e la sua storia, ovvero la storia delle famiglie che hanno tramandato l’arte e la sapienza di questa produzione di generazione in generazione. Sembra che anche noi a Modena abbiamo iniziato a capire che entrambi i prodotti sono profondamente radicati nella nostra tradizione e nella nostra storia, per quanto differenti e con ruoli diversi ma complementari. Questo riconoscimento rappresenta un’occasione per valorizzare il nostro territorio, e non solo le sue produzioni tipiche. Non dimentichiamo che il turismo enograstronomico, nonostante la crisi, non ha subito grandi cali, e che, anzi, potrebbe essere un volano importante per rilanciare la nostra economia. Le aziende modenesi, nuove e antiche, devono vedere il riconoscimento come un punto di partenza: abbiamo protetto la denominazione ma non possiamo fermarci, perché il rischio di una IGP è di codificare o di appiattire un prodotto, mentre noi dobbiamo fare il salto di qualità e avviare un processo di valorizzazione, non solo della produzione ma anche del territorio. 

Il Consorzio Aceto Balsamico di Modena aveva già avviato nel 2002 operazioni di promozione, ma i tempi erano prematuri, mentre nell’ultimo periodo anche le amministrazioni locali si sono dimostrate molto più sensibili. Il Presidente della Provincia di Modena, per esempio, ha inserito nel programma dei prossimi cinque anni la valorizzazione dell’agroalimentare e del prodotto tipico. È doveroso sottolineare la particolare tenuta del nostro settore rispetto ad altri comparti storici della provincia, come il biomedicale, la ceramica e la metalmeccanica. In questo periodo di grandi difficoltà, puntare sull’agroalimentare, quindi, non è soltanto un’operazione culturale, ma anche economica, che può offrire al territorio una rete di salvataggio. 

La vostra famiglia ha anche contribuito alla nascita del Consorzio Aceto Balsamico di Modena. Con quali finalità? 

Nel 1993, mio padre Adriano Grosoli e altri produttori storici hanno costituito questo Consorzio per tutelarsi dalle imitazioni e con l’obiettivo di conseguire il riconoscimento Europeo per riuscire a proteggere la nostra tradizione. Nel 2000, quando c’erano solo regole blande, si sono spinti oltre e hanno redatto un disciplinare al quale si poteva aderire mediante un’autocertificazione volontaria, lo stesso che è alla base del disciplinare IGP. Fu un’operazione volontaria di valorizzazione e di miglioramento della qualità del prodotto, ma anche di tutela nei confronti del consumatore. I criteri furono stabiliti iniziando a codificare più puntualmente quello che una legge del 1965 aveva abbozzato. Era una legislazione molto avanzata per quel periodo in cui non si parlava ancora di denominazione di prodotti tipici. L’unico rammarico è che nell’attuale disciplinare dell’IGP si precisa la tipologia del vitigno anziché la territorialità della coltivazione, nonostante le nostre battaglie affinché fosse indicato l’utilizzo di mosti dell’Emilia Romagna, per mantenere un legame più stringente con il territorio. 

È curioso che un prodotto tanto legato al territorio abbia una tale vocazione internazionale da raggiungere quote export del 70 per cento… 

Se il nostro prodotto è così diffuso nel mondo è soprattutto grazie al lavoro dei singoli imprenditori, che lo promuovevano in America e in altri paesi, attirando l’attenzione su Modena e la sua storia, in un’epoca in cui le istituzioni erano decisamente “distratte”. Quando, nel 1974, mio papà Adriano ha deciso di dedicare la sua attività di piccolo artigiano all’Aceto Balsamico di Modena e ha iniziato a girare il mondo, molti pensarono che fosse quantomeno imprudente: invece la sua fu veramente un’incredibile intuizione: l’Aceto Balsamico di Modena iniziava allora la sua diffusione nei mercati di tutto il mondo.