IL PAESAGGIO COME BENE CULTURALE

Qualifiche dell'autore: 
direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici dell'Emilia Romagna

Con il Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, il paesaggio è considerato a pieno titolo nell’ambito dei beni culturali in quanto parte costitutiva di un territorio e patrimonio di una comunità e della sua storia. La sua nozione attuale deriva anche dalla Convenzione europea del paesaggio, secondo cui il paesaggio non consiste nelle astratte bellezze panoramiche e naturali, di cui parla la legge 1497 del ‘39, ma è un territorio abitato da una comunità che lo percepisce in un certo modo e lo conserva di conseguenza. Questa nozione non è nella nostra tradizione di legge, però, l’abbiamo fatta nostra con la ratifica della Convenzione, nel 2006.

In quanto alle competenze in materia di tutela esiste una netta distinzione: allo stato, e per esso al MiBAC, quella dei beni culturali; alle regioni, quella del paesaggio. In realtà, la delega della tutela paesaggistica alle regioni risale al 1977, quando la materia “paesaggio” viene riunificata all’urbanistica. Fin da allora, alle regioni spetta la stesura del piano paesaggistico, già previsto, pur senza risultati, dalla legge 1497. Sette anni dopo, però, il decreto Galasso assegnava allo stato la facoltà di valutare a posteriori la legittimità delle autorizzazioni rilasciate dagli enti locali, poiché, al di là delle migliori intenzioni legislative, la delega alle regioni aveva, in molti casi, vanificato i vincoli paesaggistici. Dal 2008, con il Dlgs 63, le soprintendenze possono nuovamente dare un parere preventivo in merito ai progetti che riguardano il paesaggio, anche se questo nuovo sistema non è ancora entrato in vigore a causa della continue proroghe. La materia è resa molto complessa dall’intreccio di normative statali e regionali derivante dal sistema delle deleghe e delle subdeleghe.

Il decreto Galasso vincolava per legge alcune zone importanti sotto il profilo paesaggistico, come le coste o i rilievi appenninici e alpini al di sopra di una certa altezza, e rendeva obbligatoria la stesura dei piani paesaggistici. Alcune regioni, Emilia Romagna in testa, hanno adempiuto all’obbligo, altre, invece, vi si sono sottratte, almeno fino al 2001. Tuttavia, la pianificazione spesso si risolveva nel riconoscimento dei valori del territorio e nella loro descrizione cartografica, priva di una normativa d’uso. Era, cioè, uno studio del paesaggio regionale, non un piano paesaggistico, cui spetta stabilire la tutela e l’uso del territorio, in base alla sua organizzazione e alla sua possibilità di crescita edificatoria o di gestione. Non a caso, il piano paesaggistico rientra nel cosiddetto piano del territorio, le cui analisi di respiro regionale forniscono le linee guida cui si rifanno, poi, le pianificazioni successive delle province e dei comuni.

La normativa del piano paesaggistico deriva dall’esame del paesaggio e delle cosiddette singole unità di paesaggio (ad esempio, la fascia marina, quella pedecollinare, ecc.), che, indipendentemente dalla suddivisione amministrativa, esprimono valori uguali in una fascia territoriale. Oggi, in base al Dlgs 63/2008, c’è l’obbligo di copianificazione fra le regioni e il Ministero solo per le aree tutelate, ma, poiché il concetto di “paesaggio” è esteso all’intero territorio, stiamo lavorando con la Regione Emilia Romagna per portare a termine, entro l’anno, l’accordo che ci condurrà a copianificare sull’intero ambito regionale.