LE ISTANZE SOCIALI E L'EMERGENZA DELL'ASSOLUTO

Qualifiche dell'autore: 
cifrante, segretario dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

La nozione di sociale ha conosciuto, negli ultimi vent’anni, una trasformazione radicale, che ha fatto riconsiderare gran parte delle accezioni che la riguardavano. Tanto il concetto di variabile sociale dato dalla suddivisione dei ruoli e del lavoro, di Durkheim, quanto quello di spinta intrinseca all’equilibrio e all’omeostasi proposto da Pareto hanno un valore molto meno assoluto e prevalente rispetto al passato, a vantaggio di teorie che tengono maggiormente conto della variazione come elemento costante e originario e di una mobilità dall’andamento imprevedibile a priori, come sottolineato recentemente da Giddens. Al posto di un’idea di socialità intesa come socializzazione dei bisogni, molto spesso fondata sulla presunzione di questi e su una rappresentazione dell’Altro, come avvertito per prima dalla cifrematica, si sta affermando una nozione di sociale che dà maggior rilievo alle istanze che interessano la salute e il lavoro ma anche la civiltà, la cultura, la stessa poltica, che deve proporsi sempre più frequentemente con modalità d’intervento innovative, che combinino, anche, la questione culturale con quella sociale. Il sistema non profit e i dispositivi che lo specificano offrono oggi strumenti insostituibili del welfare plurale per elaborare e per strutturare, in direzione della civiltà, interventi efficaci in situazioni di grande emergenza sociale. Una parte molto importante è costitutita anche dagl’interventi dell’Unione Europea, sia come stanziamenti diretti nel sociale, sia come finanziamento di corsi di formazione per giovani che tengano conto degli aspetti più rilevanti di questo, cui si sono dedicati importanti Enti di Formazione come la Fondazione di Cultura Internazionale “Armando Verdiglione” Onlus e l’Associazione Psicanalitica Italiana Onlus. 
Le telecomunicazioni, il movimento di persone e di merci, una nuova concezione dell’internazionalismo che non può più non tenere conto delle istanze poste, talvolta in modo pacifico, talaltra in modo drammatico, dai rappresentanti di altre culture hanno tolto la nozione di sociale dall’ambito, ormai ristretto, del discorso occidentale in cui era nata e in cui si era sviluppata. Gli stessi concetti di solidarietà, di cooperazione, di volontariato non sono più quelli dei secoli scorsi e neanche quelli degli ultimi vent’anni, in quanto è cambiato, soprattutto, l’approccio culturale alle tematiche inerenti tali significanti. Si tratta sempre meno di rivolgersi in modo altruistico e oblativo all’altro rappresentato; si tratta piuttosto d’individuare le questioni, culturali, di carattere economico, di salute, di vita e, soprattutto, di civiltà più importanti e d’intervenire in modo originale e efficace laddove ciascuna di esse ha rilievo, in qualunque parte del pianeta. 
Tra i moltissimi esempi che possono essere portati al riguardo, ci sembra particolarmente opportuno e paradigmatico, per gli accadimenti che in questi mesi interessano il pianeta e per un aspetto attuale molto importante della vita civile in Italia, citarne due. Il primo è costituito dall’attività dell’Organizzazione Non Governativa Emergency, con sede legale e organizzativa a Milano ma con sedi operative in molti paesi oggetto di conflitti, il secondo dalla per ora meno nota Agenzia di Solidarietà per il Lavoro, con sede sempre a Milano e con operatività diffusa alla Lombardia. Entrambe risultano importanti anche per il grande interesse che dedicano all’informazione e alla formazione, che ritengono essenziale per l’espletamento dell’attività e per la qualità dell’intervento, e in questo ambito, nella conduzione di corsi del Fondo Sociale Europeo, abbiamo avuto il piacere d’incontrarle e di fare un breve tragitto assieme a ciascuna di esse.
L’Agenzia di Solidarietà per il Lavoro, sorta soprattutto per l’opera e a seguito dell’esperienza personale di Sergio Cusani, è dedicata a chi si è imbattuto nell’esperienza carceraria, in termini tuttavia di assoluta invenzione, promuovendo lo studio, la formazione, la responsabilità e l’accesso al lavoro, anche a quelli più qualificati, e fornendo, contemporaneamente, orientamento sulla materia anche ai rappresentanti della comunità che non vi si sono mai imbattuti.
Emergency è nata a Milano nel 1994, come piccola associazione di alcune persone, con l’intento d’intervenire con iniziative di carattere sanitario e di ordine umanitario di lunga durata in favore delle “vittime civili” dei conflitti armati, ma, contemporaneamente, di dotarsi di tutti gli strumenti, in particolare di quelli editoriali e mediatici e dei dispositivi d’incontro con il pubblico, atti a promuovere una cultura di pace e di solidarietà sociale. Tale iniziativa ha portato a individuare la più importante, e per decenni nascosta, emergenza umanitaria del pianeta: la guerra, non dichiarata ma senza sosta, contro le popolazioni civili, in particolare nelle zone rurali di paesi già teatro di conflitti, attraverso l’uso intensivo di mine antiuomo. La disseminazione in sessantasette paesi di centodieci milioni di tali strumenti esplosivi di lunga durata, come hanno rivelato ricerche dei più importanti istituti militari e civili, ha causato al pianeta il maggior numero di vittime civili – morti, feriti e mutilati – negli ultimi vent’anni, in ragione, rispetto a quelle militari, di nove a uno. Per un ossimoro che indica come il male e la colpa non siano mai localizzabili e attribuibili univocamente, l’Italia, che, insieme a Stati Uniti, Cina e Unione Sovietica è stato il paese che ha più prodotto e esportato tali ordigni, è anche quello che ha avviato negli ultimi anni le iniziative di maggiore rilievo internazionale per combatterli. Come promotrice di un’iniziativa politica che, nel 1997, ha portato alla loro messa al bando. Come costitutrice di una task force tecnica di sminamento, diretta e coordinata dal più giovane rappresentante di una dinastia italiana di costruttori di mine, che ha deciso di riciclare l’azienda e di dedicarsi a tale compito. E, soprattutto, per l’opera di Emergency e del suo maggiore promotore e operatore, il chirurgo milanese Gino Strada. Avendo avvertito, tra i primi, la vastità del problema e utilizzando al meglio, con i suoi collaboratori, competenze personali, le risorse del fund-raising, le possibilità offerte dal riutilizzo di materiale sanitario ancora efficiente e confidando, in termini assoluti, sulla collaborazione delle popolazioni locali, anche di quelle apparentemente più ostili, ha aperto, in sei anni, otto ospedali e centri di riabilitazione. A Erbil, Diana, Dohuk e Sulaimaniya nel Kurdistan iracheno, a Goderich in Sierra Leone, in Afganistan ad Anabah nella valle del Panshir e nella stessa Kabul, sedi fino a ieri di fazioni acerrime nemiche e in armi tra loro, oltre all’importante Centro Chirurgico “Ilaria Alpi” di Battambang, in Cambogia. Le tecniche operatorie di Gino Strada e i successivi trattamenti riabilitativi, ortesici e protesici, applicati a oltre duecentomila persone, stanno costituendo nuove modalità della chirurgia d’urgenza nelle zone di guerra, studiate già in vari paesi. Una sua dichiarazione di questi giorni, dall’Afganistan, è particolarmente importante riguardo al problema dell’entità delle vittime civili. Ha affermato che, nei suoi due ospedali del paese, all’inizio della guerra attuale esse sono “leggermente” aumentate. Se la storia ci tramanda che le guerre hanno un inizio e una fine, la battaglia, per molti, soprattutto per i più umili e per i più miti, è ancora quotidiana e occorre che vi sia non solo chi vi porta rimedio, ma anche chi vi dia voce e la faccia giungere a scrittura.