LA MEMORIA DELL'ATTUALE

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psicanalista, cifrematico, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Basta dare un’occhiata intorno e l’arte sembra trionfare: le grandi mostre si riempiono di visitatori, le città “d’arte” traboccano di turisti, le banche fanno a gara per finanziare i restauri di palazzi, porte e chiese, anche a Bologna, dove i cittadini con una sottoscrizione senza precedenti salvano dalla rovina la Basilica di Santo Stefano. A prima vista, tutti amano l’arte, tutti vogliono che la città sia bella, e le associazioni s’impegnano per questo con il volontariato. Anche per la cultura, c’è un gran daffare: i dibattiti si moltiplicano, gli incontri internazionali fungono da parata per i presidenti di associazioni di categoria e di ordini professionali, e la cultura viene invocata a gran voce in sfilate di moda e fiere di prodotti tipici. L’arte è ovunque, tutto è cultura, se si dà un’occhiata intorno e a prima vista. Che spettacolo!

Le arti e le invenzioni della parola non sono spettacolari, anzi non si vedono con gli occhi. Pittura, scultura, architettura, danza, musica, cinema nella parola sono arti più acustiche che visive, esigono l’ascolto, non la visione. Procedono dall’apertura, lungo la ricerca e il fare, la prova di realtà e la prova di verità. Non tutto è arte, non tutto è cultura. Il libro di Alessandro Taglioni, La materia, Dio, l’arte (Spirali), di cui si parla in questo numero, indica che opera d’arte è “lotta, riuscita, scuola”. L’arte non è più, romanticamente, la creazione soggettiva di un oggetto oppure, secondo il concettualismo, creazione dell’idea dell’oggetto o dell’idea dell’arte. In assenza di facoltà o di performance, l’arte è un aspetto della parola, è cammino artistico, è articolazione e svolgimento delle cose nella parola. Nell’elaborazione di Taglioni l’arte partecipa all’itinerario intellettuale, in cui Dio non è il modello del creatore, ma è idea impensabile, inconcepibile, irrappresentabile. Idea che opera, in modo per dir così megalomane, cioè non opera umanamente, ma non agisce, come invece vorrebbero i fondamentalismi. Idea che opera perché le cose che si fanno giungano al compimento, a scriversi.

In questa accezione, Marco Castellucci può intitolare il suo catalogo L’acquerello di Dio (Spirali). Fin dal Rinascimento la pittura, in particolare, è arte del colore, trova la sua condizione nell’assoluto. Ma chi, dopo cinque secoli d’iconoclastia e d’iconodulia, riprende il gesto di Leonardo e incontra la pittura dove la cifrematica, la scienza della parola, la situa, alla punta della scrittura? Con Castellucci, Dio come idea dell’assoluto opera perché la pittura giunga a scriversi, dissipando il naturalismo e il concettualismo. Questo acquerello non è facile: arte intellettuale la pittura di Castellucci perché, attenendosi all’urgenza e all’occorrenza, non concede nulla alla soggettività e alle sue rappresentazioni e, in modo pragmatico, si scrive fino all’evento e all’avvenimento.

Definito la decima musa, il cinema, e in particolare quello italiano, troppo spesso ha anteposto un messaggio ideologico alla cultura e all’informazione: lo sostiene qui Paolo Pillitteri, già sindaco di Milano, ma anche attento studioso e critico cinematografico. In effetti, solo anteponendo la creatività soggettiva alla narrazione, l’artista può fare quello che vuole, infischiandosene della verità storica e della memoria, trasformando l’invenzione e l’artificio richiesti da ciascuna opera in manipolazione. L’inganno voluto dal soggetto esclude l’inganno strutturale dell’immagine, la sua inobiettività, la sua “artifiziosa natura”, come dice Leonardo.

L’ideologia, l’idea che agisce anziché operare, si nutre di provincialismo. Con la sua lettura delle opere di artisti europei, il poeta cinese Shen Dali afferma che l’arte pone l’istanza di una cultura internazionale e intersettoriale, perché sconcerta i parametri di ogni cultura, sia occidentale che orientale, intesa come l’insieme dei miti o dei riti di un popolo. La cultura come invenzione della parola è formazione e trasformazione, non mentalità o convenzione sociale, che poggiano sui ricordi. La memoria come tradizione sfocia nell’invenzione, che si scrive lungo il percorso culturale. Mentre la memoria come insegnamento sfocia nell’arte.

Il percorso culturale e il cammino artistico si combinano nell’itinerario, nel viaggio intellettuale. Le cose, le persone, la città, l’impresa sono tratte dalle arti e dalle invenzioni nella vita come viaggio, nel viaggio intellettuale, nel suo ritmo e nel suo approdo alla qualità, alla cifra del viaggio. Il viaggio è la combinatoria intellettuale che giunge a compimento. Impossibile viaggiare per chi vive di ricordi, il viaggio poggia sulla memoria. Memoria in atto, memoria come invenzione e arte, memoria come struttura del viaggio, struttura della città, struttura dell’impresa. Quale impresa può giungere alla riuscita se tralascia la struttura della memoria, se trascura le arti e le invenzioni della parola?

Il viaggio non mira alla conoscenza, va in direzione della qualità. Poiché è strutturato dalla memoria, il viaggio è restituzione in qualità, non restituzione in pristino. La restituzione in pristino è il viaggio senza memoria, è il viaggio del ritorno all’origine. Gli imprenditori impegnati nel restauro testimoniano in questo numero, come nel precedente, che con l’arte del restauro la memoria non è ripetizione dell’identico, ma una virtù dell’attuale, essenziale per la restituzione in qualità. L’invenzione è la memoria in atto, è la memoria che si scrive, con il rischio e la scommessa intellettuali che contraddistinguono l’impresa.